martedì 28 settembre 2010

Qoèlet - Secondo appuntamento

Torna l'appuntamento settimanale con il Qoélet. Oggi leggiamo il secondo passo, anche esso intriso di un forte pessimismo, ma che ha una ragion d'essere innegabile:


Io ho detto in cuor mio: "Vieni, dunque, ti voglio mettere alla prova con la gioia: Gusta il piacere!". Ma ecco anche questo è vanità.


Del riso ho detto: "Follia!"
e della gioia: "A che giova?".


Ho voluto soddisfare il mio corpo con il vino, con la pretesa di dedicarmi con la mente alla sapienza e di darmi alla follia, finché non scoprissi che cosa convenga agli uomini compiere sotto il cielo, nei giorni contati della loro vita. Ho intrapreso grandi opere, mi sono fabbricato case, mi sono piantato vigneti. Mi sono fatto parchi e giardini e vi ho piantato alberi da frutto d'ogni specie; mi sono fatto vasche, per irrigare con l'acqua le piantagioni. Ho acquistato schiavi e schiave e altri ne ho avuti nati in casa e ho posseduto anche armenti e greggi in gran numero più di tutti i miei predecessori in Gerusalemme. Ho accumulato anche argento e oro, ricchezze di re e di province; mi sono procurato cantori e cantatrici, insieme con le delizie dei figli dell'uomo. Sono divenuto grande, più potente di tutti i miei predecessori in Gerusalemme, pur conservando la mia sapienza. Non ho negato ai miei occhi nulla di ciò che bramavano, né ho rifiutato alcuna soddisfazione al mio cuore, che godeva d'ogni mia fatica; questa è stata la ricompensa di tutte le mie fatiche. Ho considerato tutte le opere fatte dalle mie mani e tutta la fatica che avevo durato a farle: ecco, tutto mi è apparso vanità e un inseguire il vento: non c'è alcun vantaggio sotto il sole.
Ho considerato poi la sapienza, la follia e la stoltezza. "Che farà il successore del re? Ciò che è già stato fatto". Mi sono accorto che il vantaggio della sapienza sulla stoltezza è il vantaggio della luce sulle tenebre:


Il saggio ha gli occhi in fronte,
ma lo stolto cammina nel buio.
Ma so anche che un'unica sorte
è riservata a tutt'e due.


Allora ho pensato: "Anche a me toccherà la sorte dello stolto! Allora perché ho cercato d'esser saggio? Dov'è il vantaggio?". E ho concluso: "Anche questo è vanità". Infatti, né del saggio né dello stolto resterà un ricordo duraturo e nei giorni futuri tutto sarà dimenticato. Allo stesso modo muoiono il saggio e lo stolto.
Ho preso in odio la vita, perché mi è sgradito quanto si fa sotto il sole. Ogni cosa infatti è vanità e un inseguire il vento. Ho preso in odio ogni lavoro da me fatto sotto il sole, perché dovrò lasciarlo al mio successore. E chi sa se questi sarà saggio o stolto? Eppure potrà disporre di tutto il mio lavoro, in cui ho speso fatiche e intelligenza sotto il sole. Anche questo è vanità! Sono giunto al punto di disperare in cuor mio per tutta la fatica che avevo durato sotto il sole, perché chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare i suoi beni a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e grande sventura.
Allora quale profitto c'è per l'uomo in tutta la sua fatica e in tutto l'affanno del suo cuore con cui si affatica sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e preoccupazioni penose; il suo cuore non riposa neppure di notte. Anche questo è vanità! Non c'è di meglio per l'uomo che mangiare e bere e godersela nelle sue fatiche; ma mi sono accorto che anche questo viene dalle mani di Dio. Difatti, chi può mangiare e godere senza di lui? Egli concede a chi gli è gradito sapienza, scienza e gioia, mentre al peccatore dà la pena di raccogliere e d'ammassare per colui che è gradito a Dio. Ma anche questo è vanità e un inseguire il vento!

COMMENTO

Beh, che cosa si può dire su questo? Certo, vi è una componente pessimistica notevole in queste considerazioni, però vi è sicuramente una verità in queste parole. Ed in un certo senso, richiamano alla mente la Parabola di Gesù che forse conviene leggere, proprio per riflettere su queste parole e su come Gesù sia davvero il compimento dell'Antico Testamento:

 «La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. 17 Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? 18 E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19 Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. 20 Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? 21 Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio». 

Questa parabola sembra proprio ripetere il pensiero del Qoèlet: il messaggio che promana da entrambi gli scritti è che non serve a nulla procurarsi beni terreni, riempirsi la pancia, e soddisfare ogni minimo desiderio, perchè la vita non è eterna: prima o poi la morte giungerà e per di più, noi non conosciamo né il giorno e né l'ora: e potrebbe accadere come quell'uomo ricco che perde la vita proprio nel momento in cui aveva intenzione di iniziare a godersela con i beni accumulati. Ecco perchè tutto è vanità e tutto è un inseguire il vento: tutto è inutile se non posto nell'ottica di Dio. Dice bene il Qoélet, chi può mangiare e godere senza di Lui? Dopotutto, tutto viene da Lui e a Lui dobbiamo ritornare: quindi a cosa serve affaticarsi se con noi non possiamo portare nulla? Faremo come ha detto il Quélet: ci preoccuperemmo inutilmente dei beni, sapendo che essi finiranno nelle mani degli eredi che si ritrovano tutto senza aver faticato nemmeno! Anzi, essi godranno del frutto delle fatiche altrui! Dunque, come vedremo più avanti, dobbiamo cercare di vivere compiendo opere nell'ottica di Dio, della vita futura (cioè quell'eterna), accumulando tesori nei Cieli come dice Gesù e non in terra dove saranno sottoposte a ruggine, tignola e alla successione del tempo!

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