domenica 17 ottobre 2010

Il Libro di Giobbe - Quinta parte

Continuiamo ad osservare la storia di Giobbe, con la risposta di quest'ultimo alle accuse dell'amico Elifaz:
 

1Allora Giobbe rispose:

2Se ben si pesasse il mio cruccio
e sulla stessa bilancia si ponesse la mia sventura...
3certo sarebbe più pesante della sabbia del mare!
Per questo temerarie sono state le mie parole,
4perché le saette dell'Onnipotente mi stanno infitte,
sì che il mio spirito ne beve il veleno
e terrori immani mi si schierano contro!
5Raglia forse il somaro con l'erba davanti
o muggisce il bue sopra il suo foraggio?
6Si mangia forse un cibo insipido, senza sale?
O che gusto c'è nell'acqua di malva?
7Ciò che io ricusavo di toccare
questo è il ributtante mio cibo!
8Oh, mi accadesse quello che invoco,
e Dio mi concedesse quello che spero!
9Volesse Dio schiacciarmi,
stendere la mano e sopprimermi!
10Ciò sarebbe per me un qualche conforto
e gioirei, pur nell'angoscia senza pietà,
per non aver rinnegato i decreti del Santo.
11Qual la mia forza, perché io possa durare,
o qual la mia fine, perché prolunghi la vita?
12La mia forza è forza di macigni?
La mia carne è forse di bronzo?
13Non v'è proprio aiuto per me?
Ogni soccorso mi è precluso?
14A chi è sfinito è dovuta pietà dagli amici,
anche se ha abbandonato il timore di Dio.
15I miei fratelli mi hanno deluso come un torrente,
sono dileguati come i torrenti delle valli,
16i quali sono torbidi per lo sgelo,
si gonfiano allo sciogliersi della neve,
17ma al tempo della siccità svaniscono
e all'arsura scompaiono dai loro letti.
18Deviano dalle loro piste le carovane,
avanzano nel deserto e vi si perdono;
19le carovane di Tema guardano là,
i viandanti di Saba sperano in essi:
20ma rimangono delusi d'avere sperato,
giunti fin là, ne restano confusi.
21Così ora voi siete per me:
vedete che faccio orrore e vi prende paura.
22Vi ho detto forse: "Datemi qualcosa"
o "dei vostri beni fatemi un regalo"
23o "liberatemi dalle mani di un nemico"
o "dalle mani dei violenti riscattatemi"?
24Istruitemi e allora io tacerò,
fatemi conoscere in che cosa ho sbagliato.
25Che hanno di offensivo le giuste parole?
Ma che cosa dimostra la prova che viene da voi?
26Forse voi pensate a confutare parole,
e come sparsi al vento stimate i detti di un disperato!
27Anche sull'orfano gettereste la sorte
e a un vostro amico scavereste la fossa.
28Ma ora degnatevi di volgervi verso di me:
davanti a voi non mentirò.
29Su, ricredetevi: non siate ingiusti!
Ricredetevi; la mia giustizia è ancora qui!
30C'è forse iniquità sulla mia lingua
o il mio palato non distingue più le sventure?
 
7

1Non ha forse un duro lavoro l'uomo sulla terra
e i suoi giorni non sono come quelli d'un mercenario?
2Come lo schiavo sospira l'ombra
e come il mercenario aspetta il suo salario,
3così a me son toccati mesi d'illusione
e notti di dolore mi sono state assegnate.
4Se mi corico dico: "Quando mi alzerò?".
Si allungano le ombre e sono stanco di rigirarmi fino
all'alba.
5Ricoperta di vermi e croste è la mia carne,
raggrinzita è la mia pelle e si disfà.
6I miei giorni sono stati più veloci d'una spola,
sono finiti senza speranza.
7Ricordati che un soffio è la mia vita:
il mio occhio non rivedrà più il bene.
8Non mi scorgerà più l'occhio di chi mi vede:
i tuoi occhi saranno su di me e io più non sarò.
9Una nube svanisce e se ne va,
così chi scende agl'inferi più non risale;
10non tornerà più nella sua casa,
mai più lo rivedrà la sua dimora.
11Ma io non terrò chiusa la mia bocca,
parlerò nell'angoscia del mio spirito,
mi lamenterò nell'amarezza del mio cuore!
12Son io forse il mare oppure un mostro marino,
perché tu mi metta accanto una guardia?
13Quando io dico: "Il mio giaciglio mi darà
sollievo,
il mio letto allevierà la mia sofferenza",
14tu allora mi spaventi con sogni
e con fantasmi tu mi atterrisci.
15Preferirei essere soffocato,
la morte piuttosto che questi miei dolori!
16Io mi disfaccio, non vivrò più a lungo.
Lasciami, perché un soffio sono i miei giorni.
17Che è quest'uomo che tu nei fai tanto conto
e a lui rivolgi la tua attenzione
18e lo scruti ogni mattina
e ad ogni istante lo metti alla prova?
19Fino a quando da me non toglierai lo sguardo
e non mi lascerai inghiottire la saliva?
20Se ho peccato, che cosa ti ho fatto,
o custode dell'uomo?
Perché m'hai preso a bersaglio
e ti son diventato di peso?
21Perché non cancelli il mio peccato
e non dimentichi la mia iniquità?
Ben presto giacerò nella polvere,
mi cercherai, ma più non sarò!

COMMENTO 

La scorsa volta avevamo visto l'amico di Giobbe, Elifaz, pronunciare la sua convinzione che le sventure che avevano colpito Giobbe erano una sorta di retribuzione di Dio per la sua iniquità. In sostanza, ricordiamo che allora è vigente presso il popolo ebraico, il pensiero della colpevolezza intrinseca di coloro che erano vittime di sventure. Ma Giobbe non ci sta: in queste parole traspare chiaramente il suo grido di innocenza perchè non riesce a capire il motivo di tali sventure che hanno devastato la sua esistenza. E non si capacita nemmeno del fatto che gli amici, invece di aiutarlo, gettano fango su di lui, non credendo alle sue parole. Paragona gli amici ai fiumi che in tempo di bisogno e cioè in tempo di siccità svaniscono e così le carovane che viaggiano nel deserto, sperano di far affidamento su di essi, rimanendo però delusi nel ritrovarli prosciugati. Questa è una metafora abbastanza dura che però non sorprende, visto che anche oggigiorno l'amicizia non è concepita sempre come aiuto nel momento del bisogno. Anzi, nel momento del bisogno, gli amici tendono ad allontanarsi come vediamo quotidianemente, sempre facendo le dovute eccezioni. Metaforicamente parlando quindi l'amico, per Giobbe, è come quel fiume che ti abbandona nel momento in cui tu ne hai davvero bisogno e cioè in tempo di siccità oppure durante una traversata nel deserto: questi, infatti, sono i momenti più duri dove l'uomo ha bisogno di acqua per reidratarsi e non trovandola si sente abbandonato al suo destino. 
Così l'amico di Giobbe, Elifaz, sembra aver abbandonato il suo amico Giobbe nel momento della sventura e cioè nel momento in cui egli ha maggior bisogno di conforto. Pensate al paradosso della situazione: Giobbe viene colpito da sventure indicibili e invece di ricevere conforto dagli amici che hanno condiviso con lui le gioie, viene da loro colpevolizzato, al punto da imputargli ogni responsabilità dinanzi a Dio. E' davvero incredibile perchè è come se ad una madre che ha perso il suo figlio, gli si addossi la colpa per non aver amato Dio!

Nella seconda parte, invece, Giobbe si scaglia contro la miseria della sua esistenza e in un certo senso (chiaramente rispettoso e assolutamente non blasfemo) contro Dio per il semplice motivo che non riesce a spiegarsi perchè sia accaduto tutto questo, considerato che lui non ritiene di aver mai fatto torto a Lui né di aver trasgredito la Legge. PEr questo fa riferimento alla miseria della sua esistenza quasi volesse dire che lui è solo un povero uomo la cui vita è come un soffio che può spegnersi da un momento all'altro, perdendo così la possibilità di rivedere la sua stessa dimora. Egli si chiede in sostanza dove sarebbe la colpa che ha attirato l'ira di Dio e si rivolge proprio a Lui per chiedergLi il motivo per il quale è stato preso a bersaglio e chiede anche perchè non può cancellare il suo peccato (quasi ammettendo come Davide nei salmi, che lui può aver commesso qualcosa senza rendersene effettivamente conto e per questo chiede perdono).
Ma noi sappiamo che le sventure non sono state frutto di Dio, ma di satana e quindi nel proseguo della lettura vedremo la verità dei fatti, partendo dal presupposto sicuro che Dio non lancia sventure in base al grado di empietà come più volte ha ribadito Gesù il quale invece ci esorta ad imparare da quei tragici eventi come la rovina della Torre di Siloe per riparare i propri errori prima che sia troppo tardi: un invito che dovremmo incidere nella nostra mente perchè non conosciamo né il giorno e né l'ora. 
Un'ultima cosa da sottolineare: Giobbe richiama su di sé la morte pur non di violare i decreti del Santo. Sia questo un esempio per tutti noi che ormai abbiamo dimenticato i decreti di Dio per costruirci una visione della Legge tutta personale, parziale e giustificatrice. 


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