venerdì 31 dicembre 2010

Siracide - Quattordicesimo appuntamento

Torna l'appuntamento con il Siracide

14

1Beato l'uomo che non ha peccato con le parole
e non è tormentato dal rimorso dei peccati.
2Beato chi non ha nulla da rimproverarsi
e chi non ha perduto la sua speranza.

3A un uomo gretto non conviene la ricchezza,
a che servono gli averi a un uomo avaro?
4Chi accumula a forza di privazioni accumula per altri,
con i suoi beni faran festa gli estranei.
5Chi è cattivo con se stesso con chi si mostrerà buono?
Non sa godere delle sue ricchezze.
6Nessuno è peggiore di chi tormenta se stesso;
questa è la ricompensa della sua malizia.
7Se fa il bene, lo fa per distrazione;
ma alla fine mostrerà la sua malizia.
8È malvagio l'uomo dall'occhio invidioso;
volge altrove lo sguardo e disprezza la vita altrui.
9L'occhio dell'avaro non si accontenta di una parte,
l'insana cupidigia inaridisce l'anima sua.
10Un occhio cattivo è invidioso anche del pane
e sulla sua tavola esso manca.
11Figlio, per quanto ti è possibile, tràttati bene
e presenta al Signore le offerte dovute.
12Ricòrdati che la morte non tarderà
e il decreto degli inferi non t'è stato rivelato.
13Prima di morire fa' del bene all'amico,
secondo le tue possibilità sii con lui generoso.
14Non privarti di un giorno felice;
non ti sfugga alcuna parte di un buon desiderio.
15Forse non lascerai a un altro le tue sostanze
e le tue fatiche per esser divise fra gli eredi?
16Regala e accetta regali, distrai l'anima tua,
perché negli inferi non c'è gioia da ricercare.
17Ogni corpo invecchia come un abito,
è una legge da sempre: "Certo si muore!".
18Come foglie verdi su un albero frondoso:
le une lascia cadere, altre ne fa spuntare,
lo stesso avviene per le generazioni di carne e di sangue:
le une muoiono, altre ne nascono.
19Ogni opera corruttibile scompare;
chi la compie se ne andrà con essa.

20Beato l'uomo che medita sulla sapienza
e ragiona con l'intelligenza,
e considera nel cuore le sue vie:
ne penetrerà con la mente i segreti.
22La insegue come uno che segue una pista,
si apposta sui suoi sentieri.
23Egli spia alle sue finestre
e starà ad ascoltare alla sua porta.
24Fa sosta vicino alla sua casa
e fisserà un chiodo nelle sue pareti;
25alzerà la propria tenda presso di essa
e si riparerà in un rifugio di benessere;
26metterà i propri figli sotto la sua protezione
e sotto i suoi rami soggiornerà;
27da essa sarà protetto contro il caldo,
egli abiterà all'ombra della sua gloria.


COMMENTO

Pagano bene e tanto umiltà, carità e fedeltà al Signore. La prepotenza e l'avarizia strettamente collegate tra esse sono invece la caparra per l'inferno. Fin dall'Antico Testamento, e naturalmente non poteva essere altrimenti, viene denunciata la cattiva condotta e promossa la condotta dei giusti, questo perché Dio è da sempre e per sempre buono, giusto e misericordioso.

Gli invidiosi anche possedendo ricchezze invidiano il pane del prossimo, a vantaggio di nessuno. L'invidia è un peccato capitale e come tale conduce l'anima al male poiché l'invidia stessa ne è sostanza (del male). Come si combatte questo peccato? Innanzitutto cominciando con una vita di preghiera nell'unione con Cristo, lasciandosi guidare dallo Spirito Santo e facendo carità. Chi accumula ricchezze, ricchezze brama quindi invidia gli averi degli altri, ma chi dona, ancor più vuol donare, nella gioia. La carità è la regina delle virtù e praticata permette di vincere i vizi dell'avarizia e dell'invidia. Se l'avaro smettesse di accumulare e iniziasse a donare ai poveri i suoi beni, sperimenterebbe quella gioia immensa di dare scoprendo così la vera ricchezza, quella del cuore e che fa pregustare le dolcezze eterne del Cielo. Ciò che l'avaro non sa è che la vera ricchezza non consiste nell'accumulare materia, ma tesori nei cieli. La ricchezza dell'amore val più di milioni. A cosa mi servono i soldi se sono circondato da false amicizie, se vivo privo di quel vero e sincero amore? L'avaro pensa che l'amore è una favola ed è roba per frignoni, ma l'Amore è una Persona, Dio il quale opera tutto in tutti. Ricevere e dare amore è ricchezza, non oggetti privi di spirito quindi di vita. Un oggetto per la sua forma e per il suo pregio seduce e inganna molti uomini, tant'è che molti lo preferiscono all'affetto di una persona. Ma l'oggetto essendo materia non val più dello spirito e di conseguenza non può dar la gioia che dà una persona. Per questi molti accumulano perché l'euforia vissuta per un oggetto passa, così si cerca di superare questo vuoto con un altro oggetto per vivere un'altra ebbrezza, ma non ci riuscirà mai perché l'anima, anche quella dell'avaro, è fatta per dare e ricevere amore e non potendo ricevere amore da un oggetto non potrà mai essere veramente felice né può esserlo ricevendo visite di comodo di false amicizie che neppure possono dare quella gioia che dà solo il Signore e gli uomini di Dio che portano nel cuore l'amore del Signore. L'avaro si accontenta delle amicizie di comodo, se le ha, perché crede di esser da loro esaltato, ma non è così. In verità sappiamo, come ci insegna la Bibbia, in particolare proprio nel libro del Siracide, che ci sono gli amici "compagni a tavola" che nella fortuna sono come noi stessi, ma nella sciagura si allontaneranno. Questo quasi tutti avranno potuto constatarlo almeno una volta nella propria vita. La materia dunque non può darci la vera gioia poiché quella viene solo da Dio, quindi dall'Amore. L'invidia figlia dell'avarizia desidera la felicità degli altri, quella felicità che l'anima si è privata per i suoi eccessivi accumuli. Perché privare gli altri del bene? L'avaro non sa che un giorno il Signore gli toglierà tutti i beni accumulati e i poveri saranno saziati eternamente nel Regno dei Cieli, come nella parabola del ricco e del giovane Lazzaro. Apriamo il cuore a Cristo e alle necessità dei fratelli, doniamo, doniamo con gioia e riceveremo una ricompensa che val più di tutti i tesori della terra.

All'inizio del capitolo leggiamo delle beatitudini verso l'uomo che non ha peccato con le parole e non è tormentato per il rimorso dei suoi peccati, che non ha nulla da rimproverarsi e non ha perso la speranza. E' veramente così, veramente l'uomo che non pecca vive serenamente i suoi giorni nella speranza della salvezza del Signore. I rimorsi e le colpe sono un macigno che nessuno potrà mai cancellare, se non Dio solo. Chi non commette peccati vive sereno e chi l'ha commessi sappia che Gesù è venuto per liberarlo da quei peccati. L'uomo peccatore si penta sinceramente e non commetta mai più peccato. Per ottenere il perdono però occorre partecipare al Sacramento della Riconciliazione. Forse alcuni uomini sentono il bisogno di chiedere perdono al Signore, ma evitano la Chiesa perché non hanno un buon rapporto con essa né con i sacerdoti. Ma la Sapienza di Dio ci insegna che occorre umiliarsi e mortificarsi per scoprire la bellezza delle cose e ottenerne i benefici.  Andare in Chiesa è di vitale importanza per l'anima poiché in essa si manifesta in modo evidente l'Amore e la Misericordia del Signore. Nessuno può dire di non aver provato quella sensazione di leggerezza dopo una sana confessione. Quella sensazione che sentiamo in verità è lo Spirito Santo che agisce nelle nostre anime e le purifica da tutte le sue colpe, è la Misericordia di Dio che tutto può, tutto dimentica per amor nostro. Confessiamoci spesso, non pecchiamo e saremo uomini beati come le parole iniziali di questo capitolo.

Per concludere ci soffermiamo sulla parte finale del quattordicesimo capitolo che abbiamo letto quest'oggi. Se torniamo indietro e rileggiamo dal versetto 20, notiamo come i riferimenti alla Sapienza sembrano fatti al Signore ed in effetti è così perché Gesù è Sapienza di Dio. Dio in Cristo tutto ci ha rivelato; la Sapienza è Dio, l'Amore è Dio; chi segue Gesù Cristo Figlio di Dio, vivrà sotto l'ombra della Sua gloria, chi fa la Volontà di Dio si ripara dai pericoli sotto la Sua Potente Destra.

giovedì 30 dicembre 2010

Catechismo della Chiesa Cattolica - VII parte

Continuiamo l'appuntamento con la lettura del Catechismo della Chiesa Cattolica e lo facciamo attraverso la lettura dell'Articolo 2 del secondo capitolo: 

Articolo 2

LA TRASMISSIONE DELLA RIVELAZIONE DIVINA


74 Dio “vuole che tutti gli uomini siano salvati ed arrivino alla conoscenza della verità” (1Tm 2,4), cioè di Gesù Cristo [Cf Gv 14,6 ]. È necessario perciò che il Cristo sia annunciato a tutti i popoli e a tutti gli uomini e che in tal modo la Rivelazione arrivi fino ai confini del mondo:
Dio, con la stessa somma benignità, dispose che quanto Egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le genti, rimanesse sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 7].


I. La Tradizione apostolica

75 “Cristo Signore, nel quale trova compimento tutta la Rivelazione del sommo Dio, ordinò agli Apostoli di predicare a tutti, comunicando loro i doni divini, come la fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale, il Vangelo che, prima promesso per mezzo dei profeti, Egli ha adempiuto e promulgato di sua bocca” [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 7].

La predicazione apostolica...

76 La trasmissione del Vangelo, secondo il comando del Signore, è stata fatta in due modi:

- oralmente, “dagli Apostoli, i quali nella predicazione orale, con gli esempi e le istituzioni trasmisero sia ciò che avevano ricevuto dalla bocca, dal vivere insieme e dalle opere di Cristo, sia ciò che avevano imparato per suggerimento dello Spirito Santo”;

- per iscritto, “da quegli Apostoli e uomini della loro cerchia, i quali, sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, misero in iscritto l'annunzio della della salvezza” [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 7].

...continuata attraverso la successione apostolica

77 “Affinché il Vangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, gli Apostoli lasciarono come successori i vescovi, ad essi affidando il loro proprio compito di magistero” [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 7]. Infatti, “la predicazione apostolica, che è espressa in modo speciale nei libri ispirati, doveva essere conservata con successione continua fino alla fine dei tempi” [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 7].

78 Questa trasmissione viva, compiuta nello Spirito Santo, è chiamata Tradizione, in quanto è distinta dalla Sacra Scrittura, sebbene ad essa strettamente legata. Per suo tramite “la Chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni, tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede” [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 7]. “Le asserzioni dei santi Padri attestano la vivificante presenza di questa Tradizione, le cui ricchezze sono trasfuse nella pratica e nella vita della Chiesa che crede e che prega” [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 7].

79 In tal modo la comunicazione, che il Padre ha fatto di sé mediante il suo Verbo nello Spirito Santo, rimane presente e operante nella Chiesa: “Dio, il quale ha parlato in passato, non cessa di parlare con la Sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito Santo, per mezzo del quale la viva voce del Vangelo risuona nella Chiesa, e per mezzo di questa nel mondo, introduce i credenti a tutta intera la verità e fa risiedere in essi abbondantemente la Parola di Cristo” [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 7].

III. L'interpretazione del deposito della fede

Il deposito della fede affidato alla totalità della Chiesa

84 Il “deposito” (1Tm 6,20) [Cf 2Tm 1,12-14 ] della fede (“depositum fidei”), contenuto nella Sacra Tradizione e nella Sacra Scrittura, è stato affidato dagli Apostoli alla totalità della Chiesa. “Aderendo ad esso tutto il popolo santo, unito ai suoi Pastori, persevera costantemente nell'insegnamento degli Apostoli e nella comunione, nella frazione del pane e nelle orazioni, in modo che, nel ritenere, praticare e professare la fede trasmessa, si crei una singolare unità di spirito tra vescovi e fedeli” [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 10].

Il Magistero della Chiesa

85 “L'ufficio di interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa è stato affidato al solo Magistero vivente della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo”, [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 10] cioè ai vescovi in comunione con il successore di Pietro, il vescovo di Roma.

86 Questo “Magistero però non è al di sopra della Parola di Dio, ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l'assistenza dello Spirito Santo, piamente la ascolta, santamente la custodisce e fedelmente la espone, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone da credere come rivelato da Dio” [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 10].
87 I fedeli, memori della Parola di Cristo ai suoi Apostoli: “Chi ascolta voi, ascolta me” ( Lc 10,16), [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 20] accolgono con docilità gli insegnamenti e le direttive che vengono loro dati, sotto varie forme, dai Pastori.

I dogmi della fede

88 Il Magistero della Chiesa si avvale in pienezza dell'autorità che gli viene da Cristo quando definisce qualche dogma, cioè quando, in una forma che obbliga il popolo cristiano ad un'irrevocabile adesione di fede, propone verità contenute nella Rivelazione divina, o anche quando propone in modo definitivo verità che hanno con quelle una necessaria connessione.


89 Tra i dogmi e la nostra vita spirituale c'è un legame organico. I dogmi sono luci sul cammino della nostra fede, lo rischiarano e lo rendono sicuro. Inversamente, se la nostra vita è retta, la nostra intelligenza e il nostro cuore saranno aperti ad accogliere la luce dei dogmi della fede [Cf  Gv 8,31-32 ].

90 I mutui legami e la coerenza dei dogmi si possono trovare nel complesso della Rivelazione del Mistero di Cristo [Cf Concilio Vaticano I: Denz.-Schönm., 3016: “nexus mysteriorum”; Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 25]. “Esiste un ordine o "gerarchia" nelle verità della dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso col fondamento della fede cristiana” [Conc. Ecum. Vat. II, Unitatis redintegratio, 11].

Il senso soprannaturale della fede

91 Tutti i fedeli sono partecipi della comprensione e della trasmissione della verità rivelata. Hanno ricevuto l'unzione dello Spirito Santo che insegna loro ogni cosa [Cf 1Gv 2,20;  1Gv 2,27 ] e li guida “alla verità tutta intera” ( Gv 16,13). 

92 “La totalità dei fedeli... non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa proprietà mediante il senso soprannaturale della fede in tutto il popolo quando "dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici" esprime l'universale suo consenso in materia di fede e di costumi” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 12].

93 “Infatti, per quel senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, il popolo di Dio, sotto la guida del sacro Magistero, ... aderisce indefettibilmente "alla fede una volta per tutte trasmessa ai santi", con retto giudizio penetra in essa più a fondo e più pienamente l'applica nella vita” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 12].

La crescita nell'intelligenza della fede

94 Grazie all'assistenza dello Spirito Santo, l'intelligenza tanto delle realtà quanto delle parole del deposito della fede può progredire nella vita della Chiesa:

- “Con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor loro”; [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 8] in particolare “la ricerca teologica... prosegue nella conoscenza profonda della verità rivelata” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 62; cf 44; Id., Dei Verbum, 23; 24; Id., Unitatis redintegratio, 4].

- “Con la profonda intelligenza che” i credenti “provano delle cose spirituali”; [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 8] “Divina eloquia cum legente crescunt - le parole divine crescono insieme con chi le legge” [San Gregorio Magno, Homilia in Ezechielem, 1, 7, 8: PL 76, 843D].

- “Con la predicazione di coloro i quali, con la successione episcopale, hanno ricevuto un carisma certo di verità” [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 8].

95 “È chiaro dunque che la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro tal mente connessi e congiunti che non possono indipendentemente sussistere e che tutti insieme, ciascuno secondo il proprio modo, sotto l'azione di un solo Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime” [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 10].

 IN SINTESI

96 Ciò che Cristo ha affidato agli Apostoli, costoro l'hanno trasmesso con la predicazione o per iscritto, sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, a tutte le generazioni, fino al ritorno glorioso di Cristo.

97 “La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio” , [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 10] nel quale, come in uno specchio, la Chiesa pellegrina contempla Dio, fonte di tutte le sue ricchezze.

98 “La Chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita, nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa stessa è, tutto ciò che essa crede” [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 10].

99 Tutto il popolo di Dio, in virtù del suo senso soprannaturale della fede, non cessa di accogliere il dono della Rivelazione divina, di penetrarlo sempre più profondamente e di viverlo più pienamente.

100 L'ufficio di interpretare autenticamente la Parola di Dio è stato affidato al solo Magistero della Chiesa, al Papa e ai vescovi in comunione con lui.


mercoledì 29 dicembre 2010

Sapienza - Quindicesimo appuntamento

Torna l'appuntamento con il Libro della Sapienza per attingere sapere utile per la santità:

16

1Per questo furon giustamente puniti con esseri simili
e tormentati da numerose bestiole.
2Invece di tale castigo, tu beneficasti il tuo popolo;
per appagarne il forte appetito gli preparasti
un cibo di gusto squisito, le quaglie.
3Gli egiziani infatti, sebbene bramosi di cibo,
disgustati dagli animali inviati contro di loro
perdettero anche il naturale appetito;
questi invece, dopo una breve privazione,
gustarono un cibo squisito.
4Era necessario che a quegli avversari
venisse addosso una carestia inevitabile
e che a questi si mostrasse soltanto
come erano tormentati i loro nemici.

5Quando infatti li assalì il terribile furore delle bestie
e perirono per i morsi di tortuosi serpenti,
la tua collera non durò sino alla fine.
6Per correzione furono spaventati per breve tempo,
avendo già avuto un pegno di salvezza
a ricordare loro i decreti della tua legge.
7Infatti chi si volgeva a guardarlo
era salvato non da quel che vedeva,
ma solo da te, salvatore di tutti.
8Anche con ciò convincesti i nostri nemici
che tu sei colui che libera da ogni male.
9Gli egiziani infatti furono uccisi dai morsi
di cavallette e di mosche,
né si trovò un rimedio per la loro vita,
meritando di essere puniti con tali mezzi.
10Invece contro i tuoi figli
neppure i denti di serpenti velenosi prevalsero,
perché intervenne la tua misericordia a guarirli.
11Perché ricordassero le tue parole,
feriti dai morsi, erano subito guariti,
per timore che, caduti in un profondo oblio,
fossero esclusi dai tuoi benefici.
12Non li guarì né un'erba né un emolliente,
ma la tua parola, o Signore, la quale tutto risana.
13Tu infatti hai potere sulla vita e sulla morte;
conduci giù alle porte degli inferi e fai risalire.
14L'uomo può uccidere nella sua malvagità,
ma non far tornare uno spirito già esalato,
né liberare un'anima già accolta negli inferi.

15È impossibile sfuggire alla tua mano:
16gli empi, che rifiutavano di conoscerti,
furono colpiti con la forza del tuo braccio,
perseguitati da strane piogge e da grandine,
da acquazzoni travolgenti, e divorati dal fuoco.
17E, cosa più strana, l'acqua che tutto spegne
ravvivava sempre più il fuoco:
l'universo si fa alleato dei giusti.
18Talvolta la fiamma si attenuava
per non bruciare gli animali inviati contro gli empi
e per far loro comprendere a tal vista
che erano incalzati dal giudizio di Dio.
19Altre volte anche in mezzo all'acqua
la fiamma bruciava oltre la potenza del fuoco
per distruggere i germogli di una terra iniqua.
20Invece sfamasti il tuo popolo con un cibo degli angeli,
dal cielo offristi loro un pane già pronto senza fatica,
capace di procurare ogni delizia e soddisfare ogni gusto.
21Questo tuo alimento manifestava
la tua dolcezza verso i tuoi figli;
esso si adattava al gusto di chi l'inghiottiva
e si trasformava in ciò che ognuno desiderava.
22Neve e ghiaccio resistevano al fuoco senza sciogliersi,
perché riconoscessero che i frutti dei nemici
il fuoco distruggeva ardendo tra la grandine
e folgoreggiando tra le piogge.
23Al contrario, perché si nutrissero i giusti,
dimenticava perfino la propria virtù.
24La creazione infatti a te suo creatore obbedendo,
si irrigidisce per punire gli ingiusti,
ma s'addolcisce a favore di quanti confidano in te.
25Per questo anche allora, adattandosi a tutto,
serviva alla tua liberalità che tutti alimenta,
secondo il desiderio di chi era nel bisogno,
26perché i tuoi figli, che ami, o Signore, capissero
che non le diverse specie di frutti nutrono l'uomo,
ma la tua parola conserva coloro che credono in te.
27Ciò che infatti non era stato distrutto dal fuoco
si scioglieva appena scaldato da un breve raggio di sole,
28perché fosse noto che si deve prevenire il sole
per renderti grazie
e pregarti allo spuntar della luce,
29poiché la speranza dell'ingrato
si scioglierà come brina invernale
e si disperderà come un'acqua inutilizzabile.


COMMENTO

In questo sedicesimo capitolo del Libro della Sapienza possiamo meditare la Giustizia e la Misericordia di Dio: l'una punisce rettamente, l'altra edifica coloro che sono pentiti dei loro peccati. Vediamo poi l'obbedienza del creato ai comandi del Signore, come quando le acque si aprirono nell'Esodo o quando la tempesta cessò di tormentare gli apostoli sul lago di Tiberiade dopo che Cristo le ordinò di calmarsi. La natura impetuosa spesso ci stupisce con la sua potenza, ma dovremmo stupirci di più della Parola del Signore che è in grado di volgerla contro e di sedarla.

Da un lato vediamo il popolo egiziano, infedele e idolatra colpito da aspri castighi e dall'altra vediamo il popolo ebraico beneficato dalla bontà del Signore. Gli ebrei e gli egiziani rappresentano rispettivamente il buono e il cattivo, il giusto e l'infingardo. Quale premio dà ai giusti e ai peccatori? Ai primi grandi benefici e ai secondi il conto da pagare per i loro delitti. Questa Sacra Scrittura deve farci riflettere sulla nostra condotta: siamo abbastanza buoni da meritarci quei benefici riservati ai giusti? O meritevoli di castighi per i nostri peccati? Dio è certamente Misericordioso, ma non dimentichiamoci che il nostro Dio è anche Giusto; Egli infatti perdona a chi si pente e pratica una buona condotta ma punisce quanti continuano nei loro peccati. Gesù è la Divina Misericordia ma ricordiamoci che Egli verrà nell'ultimo giorno come giusto Giudice pertanto pensiamoci spesso prima di peccare. Gesù mantiene sempre le Sue promesse e donerà tante gioie a chi si convertirà in giusto servo, ma aspri e infiniti dolori a chi si ribellerà allo Spirito Santo sino alla fine.

Pentiamoci dei nostri peccati, chiediamo il perdono e lasciamoci riempire e guidare dallo Spirito Santo perché possiamo anche noi mangiare quel cibo squisito che è Gesù Eucaristico e ottenere così tanti benefici.

martedì 28 dicembre 2010

La Città di Dio - III parte

Riprendiamo la lettura dell'opera di Sant'Agostino nota come "La città di Dio". Oggi continuiamo a vedere Sant'Agostino confrontare gli dei dell'antichità greco-romana con Cristo e vediamo come solo dinanzi a Cristo si sia fermata e sospesa la ferocia e la crudeltà della legge di guerra che impone il saccheggio e la distruzione totale di tutto e di tutti: 


4. Come ho detto, la stessa Troia, madre del popolo romano, non poté difendere nei templi degli dèi i propri cittadini dal fuoco e ferro dei Greci che onoravano gli stessi dèi. Anzi Fenice e il fiero Ulisse, guardie scelte, sorvegliavano il bottino nel tempio di Giunone. In esso vengono raccolti gli oggetti preziosi di Troia sottratti alle case bruciate, gli altari, i vasi d'oro massiccio e le vesti sacre. Stanno attorno in lunga fila fanciulli e madri tremanti 16. Fu scelto dunque il tempio sacro a una dea sì grande non perché si ritenne illecito sottrarre di lì i prigionieri ma perché si era deciso di chiuderveli. Ed ora confronta con i luoghi eretti in memoria dei nostri Apostoli quel tempio non di un qualsiasi dio subalterno o della turba degli dèi inferiori ma della stessa sorella e moglie di Giove e regina di tutti gli dèi. In esso veniva trasportato il bottino trafugato ai templi incendiati e agli dèi non per esser donato ai vinti ma diviso fra i vincitori. Nei nostri templi invece veniva ricondotto con onore e rispetto religioso ciò che pur trovato altrove si scoprì appartenesse ad essi. Lì fu perduta la libertà, qui conservata; lì fu ribadita la schiavitù, qui proibita; là venivano stipati per divenire proprietà dei nemici che divenivano padroni, qua perché rimanessero liberi venivano condotti da nemici pietosi. Infine il tempio di Giunone era stato scelto dall'avarizia e superbia dei frivoli Greci, le basiliche di Cristo dalla liberalità e anche umiltà dei fieri barbari. Ma forse i Greci nella loro vittoria risparmiarono i templi degli dèi che avevano in comune e non osarono uccidere o far prigionieri i miseri Troiani vinti che ci si rifugiavano. Virgilio, secondo l'usanza dei poeti, avrebbe mistificato quei fatti. Al contrario egli ha narrato l'usanza dei nemici che saccheggiavano le città.

5. Ma anche Cesare, come scrive Sallustio, storico di sicura veridicità, non teme di ricordare tale usanza nel discorso che ebbe al senato sui congiurati: Furono fatti prigionieri ragazze e fanciulli, strappati i figli dalle braccia dei genitori, le madri hanno subito ciò che i vincitori si son permessi, sono stati spogliati templi e case, si sono avute stragi e incendi, infine tutto era in balia delle armi, dei cadaveri, del sangue e della morte 17. Se avesse taciuto i templi, potevamo pensare che i nemici di solito risparmiavano le dimore degli dèi. E i templi romani subivano queste profanazioni non da nemici di altra stirpe ma da Catilina e soci, nobili senatori e cittadini romani. Ma questi, si dirà, erano uomini perduti e traditori della patria.

6. Perché dunque il nostro discorso dovrebbe volgersi qua e là ai molti popoli che fecero guerra gli uni contro gli altri e non risparmiarono mai i vinti nei templi dei propri dèi? Esaminiamo i Romani stessi, riferiamoci e consideriamo, dico, i Romani, a cui lode singolare fu detto risparmiare i soggetti e assoggettare i superbi 18, anche per il fatto che, ricevuta una ingiuria, preferivano perdonare che vendicarsi 19. Giacché, per estendere il proprio dominio, hanno saccheggiato dopo l'espugnazione e la conquista tante e grandi città, ci si mostri quali templi avevano usanza di esentare perché chiunque vi si rifugiasse rimanesse libero. Forse essi lo facevano ma gli scrittori di quelle imprese non ne hanno parlato? Ma davvero essi che andavano in cerca principalmente di fatti da lodare avrebbero omesso questi che per loro erano nobilissimi esempi di rispetto? Marco Marcello, uomo illustre nella storia di Roma, occupò la ricchissima città di Siracusa. Si narra che prima la pianse mentre stava per cadere e che alla vista della strage versò lagrime per lei. Si preoccupò anche del rispetto al pudore col nemico. Infatti prima che da vincitore desse l'ordine d'invadere la città, stabilì con editto che non si violentassero persone libere 20. Tuttavia la città fu distrutta secondo l'usanza delle guerre e non si legge in qualche parte che sia stato comandato da un condottiero tanto pudorato e clemente di considerare inviolabile chi si fosse rifugiato in questo o quel tempio 21. Non sarebbe stato omesso certamente giacché non sono stati taciuti il suo pianto e l'ordine del rispetto al pudore. Fabio che distrusse la città di Taranto è lodato perché si astenne dal saccheggio delle statue. Il segretario gli chiese cosa disponesse di fare delle molte immagini degli dèi che erano state prese. Ed egli abbellì la propria morigeratezza anche con una battuta scherzosa. Chiese come fossero. Gli risposero che erano molte, grandi e anche armate. Ed egli: Lasciamo gli dèi irati ai Tarentini 22. Dunque gli storiografi di Roma non poterono passare sotto silenzio né il pianto del primo né l'umorismo di quest'ultimo, né la pudorata clemenza del primo né la scherzosa morigeratezza del secondo. Quale motivo dunque di passar sotto silenzio se per rispetto di qualcuno dei propri dèi avessero risparmiato degli individui proibendo in qualche tempio la strage o la riduzione in schiavitù?

7. E tutto ciò che nella recente sconfitta di Roma è stato commesso di rovina, uccisione, saccheggio, incendio e desolazione è avvenuto secondo l'usanza della guerra. Ma si è verificato anche un fatto secondo una nuova usanza. Per un inconsueto aspetto degli eventi la rozzezza dei barbari è apparsa tanto mite che delle spaziose basiliche sono state scelte e designate per essere riempite di cittadini da risparmiare. In esse nessuno doveva essere ucciso, da esse nessuno sottratto, in esse molti erano condotti da nemici pietosi perché conservassero la libertà, da esse nessuno neanche dai crudeli nemici doveva esser condotto fuori per esser fatto prigioniero. E chiunque non vede che il fatto è dovuto al nome di Cristo e alla civiltà cristiana è cieco, chiunque lo vede e non lo riconosce è ingrato e chiunque si oppone a chi lo riconosce è malato di mente. Un individuo cosciente non lo attribuisca alla ferocia dei barbari. Animi tanto fieri e crudeli ha sbigottito, ha frenato, ha moderato fuori dell'ordinario colui che, mediante il profeta, tanto tempo avanti aveva predetto: Visiterò con la verga le loro iniquità e con flagelli i loro peccati ma non allontanerò da loro la mia misericordia 23.

lunedì 27 dicembre 2010

I Proverbi - Quindicesimo appuntamento

Torna l'appuntamento del lunedì con I Proverbi: oggi prestiamo attenzione a queste parole ricche di saggezza per attingere sapere utile per il nostro ed altrui cammino di santità:

15

1Una risposta gentile calma la collera,
una parola pungente eccita l'ira.
2La lingua dei saggi fa gustare la scienza,
la bocca degli stolti esprime sciocchezze.
3In ogni luogo sono gli occhi del Signore,
scrutano i malvagi e i buoni.
4Una lingua dolce è un albero di vita,
quella malevola è una ferita al cuore.
5Lo stolto disprezza la correzione paterna;
chi tiene conto dell'ammonizione diventa prudente.
6Nella casa del giusto c'è abbondanza di beni,
sulla rendita dell'empio incombe il dissesto.
7Le labbra dei saggi diffondono la scienza,
non così il cuore degli stolti.
8Il sacrificio degli empi è in abominio al Signore,
la supplica degli uomini retti gli è gradita.
9La condotta perversa è in abominio al Signore;
egli ama chi pratica la giustizia.
10Punizione severa per chi abbandona il retto sentiero,
chi odia la correzione morirà.
11Gl'inferi e l'abisso sono davanti al Signore,
tanto più i cuori dei figli dell'uomo.
12Lo spavaldo non vuol essere corretto,
egli non si accompagna con i saggi.
13Un cuore lieto rende ilare il volto,
ma, quando il cuore è triste, lo spirito è depresso.
14Una mente retta ricerca il sapere,
la bocca degli stolti si pasce di stoltezza.
15Tutti i giorni son brutti per l'afflitto,
per un cuore felice è sempre festa.
16Poco con il timore di Dio
è meglio di un gran tesoro con l'inquietudine.
17Un piatto di verdura con l'amore
è meglio di un bue grasso con l'odio.
18L'uomo collerico suscita litigi,
il lento all'ira seda le contese.
19La via del pigro è come una siepe di spine,
la strada degli uomini retti è una strada appianata.
20Il figlio saggio allieta il padre,
l'uomo stolto disprezza la madre.
21La stoltezza è una gioia per chi è privo di senno;
l'uomo prudente cammina diritto.
22Falliscono le decisioni prese senza consultazione,
riescono quelle prese da molti consiglieri.
23È una gioia per l'uomo saper dare una risposta;
quanto è gradita una parola detta a suo tempo!
24Per l'uomo assennato la strada della vita è verso l'alto,
per salvarlo dagli inferni che sono in basso.
25Il Signore abbatte la casa dei superbi
e rende saldi i confini della vedova.
26Sono in abominio al Signore i pensieri malvagi,
ma gli sono gradite le parole benevole.
27Sconvolge la sua casa chi è avido di guadagni disonesti;
ma chi detesta i regali vivrà.
28La mente del giusto medita prima di rispondere,
la bocca degli empi esprime malvagità.
29Il Signore è lontano dagli empi,
ma egli ascolta la preghiera dei giusti.
30Uno sguardo luminoso allieta il cuore;
una notizia lieta rianima le ossa.
31L'orecchio che ascolta un rimprovero salutare
avrà la dimora in mezzo ai saggi.
32Chi rifiuta la correzione disprezza se stesso,
chi ascolta il rimprovero acquista senno.
33Il timore di Dio è una scuola di sapienza,
prima della gloria c'è l'umiltà.


COMMENTO

Dove possiamo trovare riscontro a queste parole? Nella vita di tutti i giorni: guardiamo agli stolti, ai ribelli, guardiamo alla loro condotta e vediamo quale è il loro guadagno? L'infelicità, la desolazione interiore. Guardiamo invece ai puri di cuore, agli umili, ai saggi, agli obbedienti e guardiamo quanto è grande la loro gioia, pur nel poco! In sintesi in questo proverbio sono riassunti i benefici di coloro che osservano i comandi del Signore e gli svantaggi di quanti li rifiutano. Chi ascolta i rimproveri, i consigli, imparerà e il sapere è una grande ricchezza. Ma chi disprezza il rimprovero dei genitori, non imparerà mai quelle nozioni semplici ma fondamentali che aiutano tantissimo nella vita di ciascun individuo. Guardiamo ai drogati, persone che non hanno accolto o non hanno ricevuto i consigli dei genitori, ed eccole, povere anime a cercare un senso in cose dannose che non possono darlo perché il senso ce lo dà solo Dio!

Meglio una misera zuppa gustata nell'amore, che una bistecca divorata nell'ira; ci sarà capitato almeno una volta di sederci a tavola e pranzare con succulenti piatti dopo un litigio: non ne abbiamo gustato nemmeno un grammo. Al contrario, una zuppa gustata nella quiete ci ha lasciati soddisfatti. Guardiamo ai ricchi: mangiano e bevono in quantità ma la loro fame e sete è insaziabile poiché la loro vera fame è quella di Dio, quindi finché saranno lontani dal Signore, non saranno mai contenti di quello che hanno, al contrario del povero che pur nella miseria gioisce poiché pregando sazia la sua fame di Dio poiché si nutre della Sua Presenza!

I figli ribelli non potranno mai gustare la vera Pace poiché quella è data agli obbedienti. Le parole dei giusti sono un toccasana per chi è nel dolore, al contrario quelle degli stolti sono veramente veleno somministrato dalla loro lingua malefica e questo possiamo constatarlo nella vita di tutti i giorni. Se prestiamo attenzione alle parole del Signore, ci renderemo conto di tutte queste cose scritte in questo capitolo de I Proverbi.

Consigliamo la rilettura del capitolo per contemplarla in ogni suo rigo. Ci renderemo così conto quanto sono vere queste parole che vengono dalla Divina Sapienza.

domenica 26 dicembre 2010

Il Libro di Giobbe - Quindicesimo appuntamento

Torna l'appuntamento con Il Libro di Giobbe: prosegue oggi la risposta del protagonista di questo Libro Sapienziale e cioè Giobbe:


17


1Il mio spirito vien meno,
i miei giorni si spengono;
non c'è per me che la tomba!
2Non sono io in balìa di beffardi?
Fra i loro insulti veglia il mio occhio.
3Sii tu la mia garanzia presso di te!
Qual altro vorrebbe stringermi la destra?
4Poiché hai privato di senno la loro mente,
per questo non li lascerai trionfare.
5Come chi invita gli amici a parte del suo pranzo,
mentre gli occhi dei suoi figli languiscono;
6così son diventato ludibrio dei popoli
sono oggetto di scherno davanti a loro.
7Si offusca per il dolore il mio occhio
e le mie membra non sono che ombra.
8Gli onesti ne rimangono stupiti
e l'innocente s'indigna contro l'empio.
9Ma il giusto si conferma nella sua condotta
e chi ha le mani pure raddoppia il coraggio.
10Su, venite di nuovo tutti:
io non troverò un saggio fra di voi.
11I miei giorni sono passati, svaniti i miei progetti,
i voti del mio cuore.
12Cambiano la notte in giorno,
la luce - dicono - è più vicina delle tenebre.
13Se posso sperare qualche cosa, la tomba è la mia casa,
nelle tenebre distendo il mio giaciglio.
14Al sepolcro io grido: "Padre mio sei tu!"
e ai vermi: "Madre mia, sorelle mie voi siete!".
15E la mia speranza dov'è?
Il mio benessere chi lo vedrà?
16Scenderanno forse con me nella tomba
o caleremo insieme nella polvere!


COMMENTO

Potremmo dire: ma che fede ha Giobbe se dà per scontata la tomba, la morte come causa dei suoi sollievi? E forse è ciò che gli amici di Giobbe pensano al vedere il loro amico. In realtà Giobbe non solo dimostra di avere Fede ma fa del lamento un palliativo che possa in parte alleggerire le sue pene. Magari, dovremmo dire, se l'umanità assumesse il comportamento di Giobbe. Oggi vediamo gli uomini (e le donne) bestemmiare in modo atroce il nome del Signore quando sono afflitti dalle sofferenze e nei peggiori dei casi bestemmiano per un nulla. Giobbe invece non si adira contro il Signore, ma assume un atteggiamento di servo penitente, sempre fedele al Signore. Gli amici di Giobbe non comprendono questo, anzi sembrano quasi scocciati dei lamenti del loro amico, ma se prestiamo attenzione all'Antico Testamento ci accorgiamo che sono molti i Libri che raccolgono lamenti di uomini nel corso della storia umana. E forse anche noi a volte ci sentiamo disturbati dei lamenti degli altri, un po' come gli amici di Giobbe i quali anziché consolare il loro amico, infliggono ulteriori coltellate nelle già sanguinanti piaghe dell'amato servo del Signore. Il lamento fa parte della vita umana ed è giusto qualora non contenga bestemmie o toni cattivi verso il Signore. Possiamo dire che c'è il giusto modo per lamentarsi nella sofferenza, pregando con Fede e Speranza. Le bestemmie, i toni accesi, le imprecazioni, sono un inutile modo per alleviare le sofferenze, anzi queste le accrescono, aumentano i nostri peccati, quindi le pene e i castighi. Nella sofferenza, se proprio dobbiamo lamentarci, facciamolo con serenità, con pianto dolce, non aggressivo, sull'esempio di Giobbe. Sempre siano accompagnati le nostre sofferenze dalla fervente preghiera, colma di Fede.

sabato 25 dicembre 2010

Il Natale del Signore dai sermoni di Sant'Antonio

Nel giorno di Natale, attingiamo alla Sapienza di Sant'Antonio da Padova e leggiamo il suo sermone dedicato proprio al Vangelo di Natale.: 


1. In quel tempo: “Un editto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutto il mondo” (Lc 2,1). In questo vangelo si devono considerare tre eventi:

- il censimento del mondo,

- la nascita del Salvatore,

- l’annuncio dell’angelo ai pastori.

Con l’aiuto di Dio presenteremo brevemente ognuno dei tre avvenimenti.


I. il censimento del mondo

2. Censimento del mondo: “Uscì un editto”. Osserva che in questa prima parte si dice, in senso morale, che chi vuole veramente pentirsi dei peccati commessi, deve prima di tutto “fare il censimento”, “descrivere” come dice il vangelo, con contrizione tutta la sua vita, e poi accostarsi alla confessione.

“Uscì un editto di Cesare Augusto”. Cesare, che s’interpreta “signore del potere”, e Augusto, “in solenne atteggiamento”, rappresenta Dio onnipotente, Signore di tutto il creato: “La mia mano ha fatto tutto questo” (Is 66,2); e “sotto di lui si piegano coloro che reggono il mondo” (Gb 9,13), cioè il peso del mondo, quindi i prelati della chiesa e principi del mondo. Dio sta in atteggiamento solenne perché, come dice Daniele: “Mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano” (Dn 7,10).

Si dice che uno sta (in piedi) quando è pronto ad andare in aiuto ai suoi; invece che siede, quando esercita il giudizio: in entrambe le positure è nobile, solenne, maestoso.

Questo nostro “imperatore” emette ogni giorno un editto per mezzo dei suoi banditori, cioè i predicatori della chiesa, perché venga censito tutto il mondo. Il mondo è detto anche orbe, dal lat. orbis, cerchio, appunto per la sua rotondità: infatti l’oceano, circondandolo da ogni parte, ne lambisce tutt’intorno i confini. La vita dell’uomo è un orbe, cioè come un cerchio: infatti nella Genesi gli viene detto: Sei terra e alla terra ritornerai (cf. Gn 3,19).

L’uomo deve censire, deve descrivere tutto questo cerchio, ripensando nell’amarezza della sua anima a ciò che ha commesso nella fanciullezza, nell’adolescenza, nella giovinezza e anche nella vecchiaia. E osserva che dice “tutto” il cerchio, per indicare che deve descrivere i peccati commessi con il cuore, con la bocca, con le azioni, e i peccati di omissione, e le loro circostanze: e questo è indicato dal fatto che non dice “scrivere” ma “descrivere”, che significa scrivere i vari modi e i vari luoghi del peccato.

“Questo primo censimento fu fatto dal governatore della Siria Quirino” (Lc 2,2).

Quirino, che s’interpreta “erede”, è figura del penitente, erede di Dio e coerede di Cristo (cf. Rm 8,17), il quale dice: “La mia eredità è splendida per me” (Sal 15,6). Il penitente fa il primo censimento dei suoi peccati quando, per prima cosa, cerca diligentemente, con profonda contrizione, ciò che ha commesso e ciò che ha omesso. Egli è il governatore della Siria, nome che significa “altezza”, cioè l’altezza della superbia e dell’arroganza. Dice Giobbe del diavolo: “Egli vede tutte le cose alte, ed è il re di tutti i figli della superbia” (Gb 41,25). Quale potere è più degno di lode, di quello che si esercita su se stessi e nell’umiliare la propria superbia?


3. “E tutti andavano” (Lc 2,3). Ecco il giusto procedimento da seguire nel pentirsi: prima censire tutti i propri peccati e poi andare alla confessione. “Andavano tutti per farsi registrare” (Lc 2,3). Ahimè, quanto pochi sono oggi quelli che vanno! Perciò si lamenta Geremia: “Le vie di Sion piangono, perché non c’è chi si rechi alla solennità” (Lam 1,4).

Ma “Giuseppe” – cioè il vero penitente, “della casa e della famiglia di Davide” (Lc 2,4), il re che veramente si pentì e alla cui casa il Signore promise: “In quel giorno vi sarà una sorgente zampillante per la casa di Davide” (Zc 13,1) – questo “Giuseppe” vi andò. La sorgente della misericordia divina zampilla per la comunità dei penitenti, “per la purificazione del peccatore e della donna immonda” (Zc 13,1), lava cioè in essi sia i peccati palesi che quelli occulti.

“Giuseppe salì dalla Galilea”, – nome che significa “ruota” (vicenda) e indica la suddetta descrizione della propria vita –, “dalla città di Nazaret” (Lc 2,4), che significa “fiore”. Al fiore segue il frutto: è per mezzo del fiore che si arriva al frutto. Così anche alla contrizione deve seguire la confessione: per mezzo della contrizione si arriva al frutto della confessione, cioè all’assoluzione e alla riconciliazione.

E osserva che Giuseppe salì “per farsi registrare insieme con Maria, sua sposa, che era incinta” (Lc 2,5). Maria s’interpreta “mare amaro”, e simboleggia la duplice amarezza con la quale il penitente deve salire alla Giudea, cioè alla confessione, nella quale c’è la città di Davide “che si chiama Betlemme” (Lc 2,5), cioè “casa del pane”. E questa simboleggia il cibo delle lacrime: “Le mie lacrime furono il mio pane” (Sal 41,4).

Con tutto questo concordano le parole di Isaia: “Per la salita di Luchit salirà piangendo; sulla via di Coronaim alzeranno grida di contrizione” (Is 15,5). Ecco il mare amaro. Luchit s’interpreta “guance” o “mascelle”, Coronaim “sfogo della loro tristezza”. Il piangente, cioè il penitente, sale alla confessione tutto bagnato di lacrime, che dalle sue guance salgono a Dio, come dice l’Ecclesiastico: “Le lacrime della vedova non scendono forse sulle sue guance e il suo grido non si alza forse contro chi gliele fa versare? E dalle sue guance salgono fino al cielo, e il Signore che esaudisce, forse non le gradirà?” (Eccli 35,1819). Lo sfogo della tristezza è il dolore del cuore contrito, dal quale deve scaturire il grido della confessione, che il penitente deve elevare per confessare tutto con sincerità e chiarezza.

4. Osserva ancora che Giuseppe salì con Maria, che era incinta. L’anima, amareggiate per il duplice dolore dei suoi peccati, viene come impregnata dal timore di Dio, come dice Isaia: “Come colei che è incinta, quando si avvicina il parto soffre e grida per il dolore, così siamo stati noi davanti al tuo volto” o, secondo una diversa traduzione, “per paura di te”; “o Signore, abbiamo concepito, abbiamo sofferto i dolori del parto, abbiamo partorito lo spirito di salvezza” (Is 26,17-18). Il volto di Cristo, che verrà per il giudizio, impregna di timore l’anima, affinché concepisca e partorisca lo spirito di salvezza.

II. la nascita del salvatore

5. “E avvenne che, mentre si trovavano lì...” (Lc 2,6). Lì, dove? Nella casa del pane: anche Maria è la casa del pane. Il pane degli angeli si è trasformato in latte per i bambini, affinché i bambini diventassero angeli. “Lasciate che i bambini vengano a me” (Mc 10,14) perché succhino e si sazino all’abbondanza della sua consolazione (cf. Is 66,11).

Osserva che il latte è di sapore dolce e di gradevole aspetto. Così Cristo, come dice “Bocca d’Oro” (Giovanni Crisostomo), attirava a sé gli uomini con la sua dolcezza come il diamante7 attira il ferro; egli afferma di se stesso: “Chi mangia di me avrà ancora fame e chi beve di me avrà ancora sete” (Eccli 24,29); ed è anche di incantevole aspetto, infatti gli angeli desiderano fissare in lui lo sguardo (cf. 1Pt 1,12).

“Si compirono per lei i giorni del parto” (Lc 2,6). Ecco la pienezza dei tempi (cf. Gal 4,4), il giorno della salvezza (cf. 2Cor 6,2), l’anno della benevolenza” (cf. Sal 64,12). Dalla caduta di Adamo fino all’avvento di Cristo fu tempo vuoto; infatti dice Geremia: “Guardai la terra, ed ecco che era vuota e senza nulla” (Ger 4,23), perché il diavolo aveva distrutto ogni cosa; fu giorno di dolore e di malattia; dice infatti il salmo: “Sei sempre stato vicino al letto del suo dolore” (Sal 40,4); fu anno della maledizione, e dice la Genesi: “Maledetta sia la terra per quello che hai fatto” (Gn 3,17). Ma oggi “si sono compiuti i giorni del parto”. Dalla pienezza di questo giorno noi tutti abbiamo ricevuto (cf. Gv 1,16). E il salmo: “Saremo riempiti con i beni della tua casa” (Sal 64,5).

A te, o beata Vergine, sia lode e gloria, perché oggi siamo stati ricolmati dei beni della tua casa, cioè del tuo grembo. Noi che prima eravamo vuoti, ora siamo pieni; noi che prima eravamo malati, ora siamo sani; noi che prima eravamo maledetti, ora siamo benedetti, perché, come dice il Cantico dei Cantici: “Ciò che da te proviene è il paradiso”, o Maria! (Ct 4,13).


6. Continua l’evangelista: “Diede alla luce il suo figlio primogenito” (Lc 2,7). Ecco la bontà, ecco il paradiso! Correte dunque, o ingordi, o avari, o usurai, voi cui piace più il denaro che Dio, correte e comprate senza denaro e senza alcuna permuta (Is 55,1) il frumento e il grano che oggi la Vergine ha tratto dal tesoro del suo grembo. Diede dunque alla luce il figlio. Quale figlio? Il Figlio di Dio, Dio lui stesso. O tu, donna più felice di ogni altra, che hai avuto il figlio in comune con Dio Padre! Di quale gloria risplenderebbe una misera donna se avesse un figlio da un imperatore di questo mondo? Di gran lunga più grande è la gloria di Maria che ha condiviso il Figlio con Dio Padre.

“Partorì il Figlio suo”. Il Padre ha dato la divinità, la Madre l’umanità; il Padre ha dato la maestà, la Madre l’infermità. “Partorì il suo Figlio”, l’Emmanuele, cioè il “Dio con noi” (cf. Mt 1,23): chi dunque sarà contro di noi? (cf. Rm 8,31).

Dice infatti Isaia: “Sul suo capo ha posto l’elmo della salvezza” (Is 59,17). L’elmo è l’umanità, il capo è la divinità; il capo è nascosto sotto l’elmo, la divinità è nascosta sotto l’umanità. Quindi nessun timore: la vittoria è dalla nostra parte, perché con noi c’è un Dio in armi. Grazie a te, o Vergine gloriosa, giacché per merito tuo Dio è con noi.

“Partorì dunque il figlio suo primogenito”, cioè generato dal Padre prima di tutti i secoli; o anche primogenito tra i morti (cf. Col 1,18), oppure primogenito tra molti fratelli (cf. Rm 8,29).



7. “Lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia” (Lc 2,7). O povertà, o umiltà! Il padrone di tutte le cose è avvolto in fasce, il re degli angeli è adagiato in una stalla. Vergògnati, o insaziabile avarizia! Sprofonda, o umana superbia!

“Lo avvolse in fasce”. Osserva che Cristo all’inizio e alla fine della sua vita viene avvolto in fasce. “Giuseppe (d’Arimatea) – dice Marco –, comprato un lenzuolo, calò Gesù dalla croce e ve lo avvolse” (Mc 15,46). Beato colui che finirà la sua vita avvolto nella sindone, cioè nell’innocenza battesimale.

Il vecchio Adamo, quando fu cacciato dal paradiso terrestre, venne ricoperto di una tunica di pelli (cf. Gn 3,21); la pelle, quanto più si lava, tanto più si deteriora: e in ciò è raffigurata la sua carnalità e quella dei suoi discendenti. Invece il nuovo Adamo viene avvolto in panni, che nella loro bianchezza raffigurano il candore della Madre sua, l’innocenza battesimale e la gloria della risurrezione finale.

“E lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2,7), detto in lat. diversorium. Ecco – come è scritto nei Proverbi – “la cerva amabile e il delizioso cerbiatto” (Pro 5,19). Dice la Storia Naturale che la cerva partorisce nella strada battuta” (frequentata); così la beata Vergine partorì nella strada, che è pure un diversorium, come l’albergo, così chiamato perché ad esso si arriva da diverse strade.

III. l’annuncio dell’angelo ai pastori

8. “C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte e custodivano il loro gregge” (Lc 2,8).

Le “veglie” si chiamano anche excubiae o stazioni. In antico i romani dividevano la notte in quattro veglie (quattro turni di guardia) e a turno custodivano la città. La notte raffigura la vita presente, nella quale camminiamo a tastoni come di notte. Non ci vediamo neanche tra di noi, cioè non vediamo la nostra coscienza; spesso inciampiamo con i piedi, cioè con i nostri sentimenti ed affetti. Chi vuole custodire validamente la sua città durante questa notte (della vita), deve stare alzato e vegliare attentamente per tutti i quattro turni, fare cioè le quttro veglie.

La prima veglia raffigura l’impurità della nostra nascita, la seconda raffigura la malizia e la cattiveria che ci accompagnano, la terza raffigura lo stato miserando del nostro peregrinare e la quarta il pensiero della morte. Nella prima l’uomo deve vegliare per umiliare e disprezzare se stesso, nella seconda per mortificarsi, nella terza per piangere e nella quarta per suscitare un salutare timore. Beati quei pastori che fanno questo durante le quattro veglia di questa notte, perché così difendono veramente il loro gregge.

Osserva che il pastore veglia sul suo gregge per due motivi: per non essere derubato dai predoni, e perché il gregge non venga assalito dal lupo. Tutti noi siamo pastori, e il nostro gregge è formato dai nostri buoni pensieri e dai nostri santi desideri. Su questo gregge dobbiamo fare un’attenta guardia durante le quattro veglie suddette, perché il predone, cioè il diavolo non ci derubi con le sue maligne suggestioni, e il lupo, cioè la concupiscenza della carne, non ci assalga strappandoci il consenso. A coloro che vegliano in questo modo viene annunziata la gioia di questa natività.



9. “E l’angelo disse ai pastori: Ecco, io vi annunzio una grande gioia, perché oggi vi è nato il Salvatore...” (Lc 2,10.11). Con questo concordano le parole della Genesi: “Nacque Isacco. E Sara disse: Il Signore mi ha dato il sorriso e chiunque lo saprà, sorriderà con me “ (Gn 21,5-6). Sara s’interpreta “principessa” o “carbone”, ed è figura della gloriosa Vergine, principessa e regina nostra, infiammata dallo Spirito Santo come il carbone dal fuoco. Oggi Dio le ha dato il sorriso, perché da lei è nato il nostro sorriso. “Io vi annunzio una grande gioia”, perché è nato il sorriso, perché è nato Cristo.

Questo abbiamo udito oggi dall’angelo: “Chiunque lo sentirà, sorriderà insieme con me”. Sorridiamo dunque ed esultiamo insieme con la beata Vergine, perché Dio ci ha dato il sorriso, cioè il motivo di sorridere e di gioire con lei e in lei: “Oggi vi è nato il Salvatore”. Se uno si trovasse in punto di morte o fosse condannato all’ergastolo, e gli venisse annunziato: Ecco, è arrivato uno che ti salverà! Forse che non sorriderebbe, forse che non esulterebbe? Certamente! Esultiamo quindi anche noi, nella serenità della coscienza e nell’amore autentico (cf. 2Cor 6,6), perché oggi ci è nato il Salvatore, colui che ci salverà dalla schiavitù del diavolo e dall’ergastolo dell’inferno.



10. E per trovare questa gioia ci è dato un segno, quando l’angelo soggiunge: “Questo sarà per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia” (Lc 2,12). Qui dobbiamo osservare due cose: l’umiltà e la povertà. Beato colui che avrà questo segno nella fronte e nella mano, cioè nella professione di fede e nelle opere. Che cosa significa dire: “Troverete un bambino”, se non che troverete la sapienza che balbetta, la potenza resa debole, la maestà abbassata, l’immenso fatto bambino, il ricco fattosi poverello, il re degli angeli che giace in una stalla, il cibo degli angeli divenuto quasi fieno per gli animali, colui che da nulla può essere contenuto, adagiato in una stretta mangiatoia? “Questo dunque sarà per voi il segno”, perché non andiate in rovina insieme con gli Egiziani e gli abitanti di Gerico.

Per il Verbo incarnato, per il parto verginale, per il Salvatore nato sia gloria a Dio Padre nei cieli altissimi, e sia pace in terra agli uomini che egli ama (cf. Lc 2,14). Si degni di concederci questa pace colui che è benedetto nei secoli. Amen.

CONTINUA 

venerdì 24 dicembre 2010

Natale negli scritti dei Padri della Chiesa

Per l'occasione della Vigilia di Natale, anche l'Angolo della Sapienza rivolge il suo sguardo alla venuta del Salvatore che è il culmine di tutta la Sapienza profetica della Bibbia: per questo motivo, ascoltiamo la sapienza di due Padri della Chiesa, Sant'Ireneo (vescovo) e San Leone Magno (Papa):

Dal trattato Contro le eresie di sant’Ireneo, vescovo


Dio e tutte le opere di Dio sono gloria dell'uomo; e l'uomo è la sede in cui si raccoglie tutta la sapienza e la potenza di Dio. Come il medico dà prova della sua bravura nei malati, così anche Dio manifesta se stesso negli uomini. Perciò Paolo afferma: «Dio ha chiuso tutte le cose nelle tenebre dell'incredulità per usare a tutti misericordia» (cfr. Rm 11, 32). Non allude alle potenze spirituali, ma all'uomo che si mise di fronte a Dio in stato di disobbedienza e perdette la immortalità. In seguito però ottenne la misericordia di Dio per i meriti e il tramite del Figlio suo. Ebbe così in lui la dignità di figlio adottivo.

Se l'uomo riceverà senza vana superbia l'autentica gloria che viene da ciò che è stato creato e da colui che lo ha creato cioè da Dio, l'onnipotente, l'artefice di tutte le cose che esistono, e se resterà nell'amore di lui in rispettosa sottomissione e in continuo rendimento di grazie, riceverà ancora gloria maggiore e progredirà sempre più in questa via fino a divenire simile a colui che per salvarlo è morto.

Il Figlio stesso di Dio infatti scese «in una carne simile a quella del peccato» (Rm 8, 3) per condannare il peccato, e, dopo averlo condannato, escluderlo completamente dal genere umano. Chiamò l'uomo alla somiglianza con se stesso, lo fece imitatore di Dio, lo avviò sulla strada indicata dal Padre perché potesse vedere Dio e gli diede in dono il Padre.

Il Verbo di Dio pose la sua abitazione tra gli uomini e si fece Figlio dell'uomo, per abituare l'uomo a comprendere Dio e per abituare Dio a mettere la sua dimora nell'uomo secondo la volontà del Padre. Per questo Dio stesso ci ha dato come «segno» della nostra salvezza colui che, nato dalla Vergine, è l'Emmanuele: poiché lo stesso Signore era colui che salvava coloro che di per se stessi non avevano nessuna possibilità di salvezza.

Isaia stesso aveva predetto questo: Irrobustitevi, mani fiacche e ginocchia vacillanti, coraggio, smarriti di cuore, confortatevi, non temete; ecco il nostro Dio, opera la giustizia, darà la ricompensa. Egli stesso verrà e sarà la nostra salvezza (cfr. Is 35, 4).

Questo indica che non da noi, ma da Dio, che ci aiuta, abbiamo la salvezza.



Dai Discorsi di san Leone Magno, papa

Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c'è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti perché il nostro Signore, vincitore del peccato e della morte, non avendo trovato nessuno libero dalla colpa, è venuto per la liberazione di tutti.

Il Figlio di Dio infatti, giunta la pienezza dei tempi che l'impenetrabile disegno divino aveva disposto, volendo riconciliare con il suo Creatore la natura umana, l'assunse lui stesso

Deponiamo dunque «l'uomo vecchio con la condotta di prima» (Ef 4, 22) e, poiché siamo partecipi della generazione di Cristo, rinunziamo alle opere della carne. Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all'abiezione di un tempo con una condotta indegna.

Ricòrdati chi è il tuo Capo e di quale Corpo sei membro.

Ricòrdati che, strappato al potere delle tenebre, sei stato trasferito nella luce del Regno di Dio. Con il sacramento del battesimo sei diventato tempio dello Spirito Santo! Non mettere in fuga un ospite così illustre con un comportamento riprovevole e non sottometterti di nuovo alla schiavitù del demonio. Ricorda che il prezzo pagato per il tuo riscatto è il sangue di Cristo. 

giovedì 23 dicembre 2010

Catechismo della Chiesa Cattolica - VI parte

Continuiamo l'appuntamento con la lettura del Catechismo della Chiesa Cattolica e lo facciamo leggendo la Sintesi di quanto letto la scorsa settimana, proseguendo con due versi del secondo capitolo con sintesi annessa:





IN SINTESI

44 L'uomo è per natura e per vocazione un essere religioso. Poiché viene da Dio e va a Dio, l'uomo non vive una vita pienamente umana, se non vive liberamente il suo rapporto con Dio.

45 L'uomo è creato per vivere in comunione con Dio, nel quale trova la propria felicità: “Quando mi sarò unito a Te con tutto me stesso, non esisterà per me dolore e pena. Sarà vera vita la mia, tutta piena di Te” [Sant'Agostino, Confessiones, 10, 28, 39].

46 Quando ascolta il messaggio delle creature e la voce della propria coscienza, l'uomo può raggiungere la certezza dell'esistenza di Dio, causa e fine di tutto.

47 La Chiesa insegna che il Dio unico e vero, nostro Creatore e Signore, può essere conosciuto con certezza attraverso le sue opere, grazie alla luce naturale della ragione umana [Cf Concilio Vaticano I: Denz. -Schönm., 3026].

48 Partendo dalle molteplici perfezioni delle creature, similitudini del Dio infinitamente perfetto, possiamo realmente parlare di Dio, anche se il nostro linguaggio limitato non ne esaurisce il Mistero.

49 “La creatura senza il Creatore svanisce” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 36]. Ecco perché i credenti sanno di essere spinti dall'amore di Cristo a portare la luce del Dio vivente a coloro che lo ignorano o lo rifiutano.





CAPITOLO SECONDO

DIO VIENE INCONTRO ALL'UOMO

50 Per mezzo della ragione naturale, l'uomo può conoscere Dio con certezza a partire dalle sue opere. Ma esiste un altro ordine di conoscenza a cui l'uomo non può affatto arrivare con le sue proprie forze, quello della Rivelazione divina [Cf Concilio Vaticano I: Denz. -Schönm., 3015]. Per una decisione del tutto libera, Dio si rivela e si dona all'uomo svelando il suo Mistero, il suo disegno di benevolenza prestabilito da tutta l'eternità in Cristo a favore di tutti gli uomini. Egli rivela pienamente il suo disegno inviando il suo Figlio prediletto, nostro Signore Gesù Cristo, e lo Spirito Santo.



Articolo 1
LA RIVELAZIONE DI DIO
I. Dio rivela il suo “disegno di benevolenza”

51 “Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà, mediante il quale gli uomini, per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono così resi partecipi della divina natura” [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 2].

52 Dio che “abita una luce inaccessibile” ( 1Tm 6,16) vuole comunicare la propria vita divina agli uomini da lui liberamente creati, per farne figli adottivi nel suo unico Figlio [Cf Ef 1,4-5 ]. Rivelando se stesso, Dio vuole rendere gli uomini capaci di rispondergli, di conoscerlo e di amarlo ben più di quanto sarebbero capaci da se stessi.

53 Il disegno divino della Rivelazione si realizza ad un tempo “con eventi e parole” che sono “intimamente connessi tra loro” [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 2] e si chiariscono a vicenda. Esso comporta una “pedagogia divina” particolare: Dio si comunica gradualmente all'uomo, lo prepara per tappe a ricevere la Rivelazione soprannaturale che egli fa di se stesso e che culmina nella persona e nella missione del Verbo incarnato, Gesù Cristo.

Sant'Ireneo di Lione parla a più riprese di questa pedagogia divina sotto l'immagine della reciproca familiarità tra Dio e l'uomo: “Il Verbo di Dio pose la sua abitazione tra gli uomini e si è fatto Figlio dell'uomo, per abituare l'uomo a comprendere Dio e per abituare Dio a mettere la sua dimora nell'uomo secondo la volontà del Padre” [Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 3, 20, 2; cf p. esempio 3, 17, 1; 4, 12, 4; 4, 21, 3].


II. Le tappe della Rivelazione

Fin dal principio, Dio si fa conoscere

54 “Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo, offre agli uomini nelle cose create una perenne testimonianza di sé. Inoltre, volendo aprire la via della salvezza celeste, fin dal principio manifestò se stesso ai progenitori” [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 3]. Li ha invitati ad una intima comunione con sé rivestendoli di uno splendore di grazia e di giustizia.

55 Questa Rivelazione non è stata interrotta dal peccato dei nostri progenitori. Dio, in realtà, “dopo la loro caduta, con la promessa della Redenzione, li risollevò nella speranza della salvezza ed ebbe costante cura del genere umano, per dare la vita eterna a tutti coloro i quali cercano la salvezza con la perseveranza nella pratica del bene” [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 3].

“Quando, per la sua disobbedienza, l'uomo perse la tua amicizia, tu non l'hai abbandonato in potere della morte... Molte volte hai offerto agli uomini la tua alleanza” [Messale Romano, Preghiera eucaristica IV].


L'Alleanza con Noè

56 Dopo che l'unità del genere umano è stata spezzata dal peccato, Dio cerca prima di tutto di salvare l'umanità passando attraverso ciascuna delle sue parti. L'Alleanza con Noè dopo il diluvio [Cf Gen 9,9 ] esprime il principio dell'Economia divina verso le “nazioni”, ossia gli uomini riuniti in gruppi, “ciascuno secondo la propria lingua e secondo le loro famiglie, nelle loro nazioni” (Gen 10,5) [Cf Gen 10,20-31 ].


57 Quest'ordine, ad un tempo cosmico, sociale e religioso della pluralità delle nazioni, [Cf At 17,26-27 ] ha lo scopo di limitare l'orgoglio di una umanità decaduta, la quale, concorde nella malvagità, [Cf Sap 10,5 ] vorrebbe fare da se stessa la propria unità alla maniera di Babele [Cf Gen 11,4-6 ]. Ma, a causa del peccato, [Cf Rm 1,18-25 ] sia il politeismo sia l'idolatria della nazione e del suo capo, costituiscono una continua minaccia di perversione pagana per questa Economia provvisoria.


58 L'Alleanza con Noè resta in vigore per tutto il tempo delle nazioni, [Cf Lc 21,24 ] fino alla proclamazione universale del Vangelo. La Bibbia venera alcune grandi figure delle “nazioni”, come “Abele il giusto”, il re-sacerdote Melchisedech, [Cf Gen 14,18 ] figura di Cristo, [Cf Eb 7,3 ] i giusti “Noè, Daniele e Giobbe” (Ez 14,14). La Scrittura mostra così a quale altezza di santità possano giungere coloro che vivono secondo l'Alleanza di Noè nell'attesa che Cristo riunisca “insieme tutti i figli di Dio che erano dispersi” (Gv 11,52).


Dio elegge Abramo

59 Per riunire tutta l'umanità dispersa, Dio sceglie Abraham chiamandolo fuori dal suo paese, dalla sua parentela, dalla casa di suo padre, [Cf Gen 12,1 ] per fare di lui Abraham, vale a dire “il padre di una moltitudine di popoli” (Gen 17,5): “In te saranno benedette tutte le nazioni della terra” (Gn 12,3 LXX) [Cf Gal 3,8 ].


60 Il popolo discendente da Abramo sarà il depositario della promessa fatta ai patriarchi, il popolo della elezione, [Cf Rm 11,28 ] chiamato a preparare la ricomposizione, un giorno, nell'unità della Chiesa, di tutti i figli di Dio; [Cf Gv 11,52; 60 Gv 10,16 ] questo popolo sarà la radice su cui verranno innestati i pagani diventati credenti [Cf Rm 11,17-18; 60 Rm 11,24 ].

61 I patriarchi e i profeti ed altre figure dell'Antico Testamento sono stati e saranno sempre venerati come santi in tutte le tradizioni liturgiche della Chiesa.


Dio forma Israele come suo popolo

62 Dopo i patriarchi, Dio forma Israele quale suo popolo salvandolo dalla schiavitù dell'Egitto. Conclude con lui l'Alleanza del Sinai e gli dà, per mezzo di Mosè, la sua legge, perché lo riconosca e lo serva come l'unico Dio vivo e vero, Padre provvido e giusto giudice, e stia in attesa del Salvatore promesso [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 3].


63 Israele è il Popolo sacerdotale di Dio, [Cf Es 19,6 ] colui che “porta il Nome del Signore” ( Dt 28,10). È il Popolo di coloro “a cui Dio ha parlato quale primogenito”, [Messale Romano, Venerdì Santo: Preghiera universale VI] il Popolo dei “fratelli maggiori” nella fede di Abramo.


64 Attraverso i profeti, Dio forma il suo Popolo nella speranza della salvezza, nell'attesa di una Alleanza nuova ed eterna destinata a tutti gli uomini [Cf Is 2,2-4 ] e che sarà inscritta nei cuori [Cf Ger 31,31-34; Eb 10,16 ]. I profeti annunziano una radicale redenzione del Popolo di Dio, la purificazione da tutte le sue infedeltà, [Cf Ez 36 ] una salvezza che includerà tutte le nazioni [Cf Is 49,5-6; Is 53,11 ]. Saranno soprattutto i poveri e gli umili del Signore [Cf Sof 2,3 ] che porteranno questa speranza. Le donne sante come Sara, Rebecca, Rachele, Miryam, Debora, Anna, Giuditta ed Ester hanno hanno conservato viva la speranza della salvezza d'Israele. Maria ne è l'immagine più luminosa [Cf Lc 1,38 ].


III. Cristo Gesù - “Mediatore e pienezza di tutta la Rivelazione”
[Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 2]
Dio ha detto tutto nel suo Verbo

65 “Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” ( Eb 1,1-2). Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, è la Parola unica, perfetta e definitiva del Padre, il quale in lui dice tutto, e non ci sarà altra parola che quella. San Giovanni della Croce, sulle orme di tanti altri, esprime ciò in maniera luminosa, commentando Eb 1,1-2 :

Dal momento in cui ci ha donato il Figlio suo, che è la sua unica e definitiva Parola, ci ha detto tutto in una sola volta in questa sola Parola e non ha più nulla da dire. . . Infatti quello che un giorno diceva parzialmente ai profeti, l'ha detto tutto nel suo Figlio, donandoci questo tutto che è il suo Figlio. Perciò chi volesse ancora interrogare il Signore e chiedergli visioni o rivelazioni, non solo commetterebbe una stoltezza, ma offenderebbe Dio, perché non fissa il suo sguardo unicamente in Cristo e va cercando cose diverse e novità [San Giovanni della Croce, Salita al monte Carmelo, 2, 22, cf Liturgia delle Ore, I, Ufficio delle letture del lunedì della seconda settimana di Avvento].


Non ci sarà altra Rivelazione

66 “L'Economia cristiana, in quanto è Alleanza Nuova e definitiva, non passerà mai e non è da aspettarsi alcuna nuova Rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo” [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 4]. Tuttavia, anche se la Rivelazione è compiuta, non è però completamente esplicitata; toccherà alla fede cristiana coglierne gradualmente tutta la portata nel corso dei secoli.

67 Lungo i secoli ci sono state delle rivelazioni chiamate “private”, alcune delle quali sono state riconosciute dall'autorità della Chiesa. Esse non appartengono tuttavia al deposito della fede. Il loro ruolo non è quello di “migliorare” o di “completare” la Rivelazione definitiva di Cristo, ma di aiutare a viverla più pienamente in una determinata epoca storica. Guidato dal Magistero della Chiesa, il senso dei fedeli sa discernere e accogliere ciò che in queste rivelazioni costituisce un appello autentico di Cristo o dei suoi santi alla Chiesa.
La fede cristiana non può accettare “rivelazioni” che pretendono di superare o correggere la Rivelazione di cui Cristo è il compimento. È il caso di alcune Religioni non cristiane ed anche di alcune recenti sette che si fondano su tali “rivelazioni”.





IN SINTESI

68 Per amore, Dio si è rivelato e si è donato all'uomo. Egli offre così una risposta definitiva e sovrabbondante agli interrogativi che l'uomo si pone sul senso e sul fine della propria vita.

69 Dio si è rivelato all'uomo comunicandogli gradualmente il suo Mistero attraverso gesti e parole.

70 Al di là della testimonianza che dà di se stesso nelle cose create, Dio si è manifestato ai nostri progenitori. Ha loro parlato e, dopo la caduta, ha loro promesso la salvezza [Cf Gen 3,15 ] ed offerto la sua Alleanza.

71 Dio ha concluso con Noè una Alleanza eterna tra lui e tutti gli esseri viventi [Cf Gen 9,16 ]. Essa durerà tanto quanto durerà il mondo.

72 Dio ha eletto Abramo ed ha concluso una Alleanza con lui e la sua discendenza. Ne ha fatto il suo popolo al quale ha rivelato la sua Legge per mezzo di Mosè. Lo ha preparato, per mezzo dei profeti, ad accogliere la salvezza destinata a tutta l'umanità.

73 Dio si è rivelato pienamente mandando il suo proprio Figlio, nel quale ha stabilito la sua Alleanza per sempre. Egli è la Parola definitiva del Padre, così che, dopo di lui, non vi sarà più un'altra Rivelazione.