sabato 25 dicembre 2010

Il Natale del Signore dai sermoni di Sant'Antonio

Nel giorno di Natale, attingiamo alla Sapienza di Sant'Antonio da Padova e leggiamo il suo sermone dedicato proprio al Vangelo di Natale.: 


1. In quel tempo: “Un editto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutto il mondo” (Lc 2,1). In questo vangelo si devono considerare tre eventi:

- il censimento del mondo,

- la nascita del Salvatore,

- l’annuncio dell’angelo ai pastori.

Con l’aiuto di Dio presenteremo brevemente ognuno dei tre avvenimenti.


I. il censimento del mondo

2. Censimento del mondo: “Uscì un editto”. Osserva che in questa prima parte si dice, in senso morale, che chi vuole veramente pentirsi dei peccati commessi, deve prima di tutto “fare il censimento”, “descrivere” come dice il vangelo, con contrizione tutta la sua vita, e poi accostarsi alla confessione.

“Uscì un editto di Cesare Augusto”. Cesare, che s’interpreta “signore del potere”, e Augusto, “in solenne atteggiamento”, rappresenta Dio onnipotente, Signore di tutto il creato: “La mia mano ha fatto tutto questo” (Is 66,2); e “sotto di lui si piegano coloro che reggono il mondo” (Gb 9,13), cioè il peso del mondo, quindi i prelati della chiesa e principi del mondo. Dio sta in atteggiamento solenne perché, come dice Daniele: “Mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano” (Dn 7,10).

Si dice che uno sta (in piedi) quando è pronto ad andare in aiuto ai suoi; invece che siede, quando esercita il giudizio: in entrambe le positure è nobile, solenne, maestoso.

Questo nostro “imperatore” emette ogni giorno un editto per mezzo dei suoi banditori, cioè i predicatori della chiesa, perché venga censito tutto il mondo. Il mondo è detto anche orbe, dal lat. orbis, cerchio, appunto per la sua rotondità: infatti l’oceano, circondandolo da ogni parte, ne lambisce tutt’intorno i confini. La vita dell’uomo è un orbe, cioè come un cerchio: infatti nella Genesi gli viene detto: Sei terra e alla terra ritornerai (cf. Gn 3,19).

L’uomo deve censire, deve descrivere tutto questo cerchio, ripensando nell’amarezza della sua anima a ciò che ha commesso nella fanciullezza, nell’adolescenza, nella giovinezza e anche nella vecchiaia. E osserva che dice “tutto” il cerchio, per indicare che deve descrivere i peccati commessi con il cuore, con la bocca, con le azioni, e i peccati di omissione, e le loro circostanze: e questo è indicato dal fatto che non dice “scrivere” ma “descrivere”, che significa scrivere i vari modi e i vari luoghi del peccato.

“Questo primo censimento fu fatto dal governatore della Siria Quirino” (Lc 2,2).

Quirino, che s’interpreta “erede”, è figura del penitente, erede di Dio e coerede di Cristo (cf. Rm 8,17), il quale dice: “La mia eredità è splendida per me” (Sal 15,6). Il penitente fa il primo censimento dei suoi peccati quando, per prima cosa, cerca diligentemente, con profonda contrizione, ciò che ha commesso e ciò che ha omesso. Egli è il governatore della Siria, nome che significa “altezza”, cioè l’altezza della superbia e dell’arroganza. Dice Giobbe del diavolo: “Egli vede tutte le cose alte, ed è il re di tutti i figli della superbia” (Gb 41,25). Quale potere è più degno di lode, di quello che si esercita su se stessi e nell’umiliare la propria superbia?


3. “E tutti andavano” (Lc 2,3). Ecco il giusto procedimento da seguire nel pentirsi: prima censire tutti i propri peccati e poi andare alla confessione. “Andavano tutti per farsi registrare” (Lc 2,3). Ahimè, quanto pochi sono oggi quelli che vanno! Perciò si lamenta Geremia: “Le vie di Sion piangono, perché non c’è chi si rechi alla solennità” (Lam 1,4).

Ma “Giuseppe” – cioè il vero penitente, “della casa e della famiglia di Davide” (Lc 2,4), il re che veramente si pentì e alla cui casa il Signore promise: “In quel giorno vi sarà una sorgente zampillante per la casa di Davide” (Zc 13,1) – questo “Giuseppe” vi andò. La sorgente della misericordia divina zampilla per la comunità dei penitenti, “per la purificazione del peccatore e della donna immonda” (Zc 13,1), lava cioè in essi sia i peccati palesi che quelli occulti.

“Giuseppe salì dalla Galilea”, – nome che significa “ruota” (vicenda) e indica la suddetta descrizione della propria vita –, “dalla città di Nazaret” (Lc 2,4), che significa “fiore”. Al fiore segue il frutto: è per mezzo del fiore che si arriva al frutto. Così anche alla contrizione deve seguire la confessione: per mezzo della contrizione si arriva al frutto della confessione, cioè all’assoluzione e alla riconciliazione.

E osserva che Giuseppe salì “per farsi registrare insieme con Maria, sua sposa, che era incinta” (Lc 2,5). Maria s’interpreta “mare amaro”, e simboleggia la duplice amarezza con la quale il penitente deve salire alla Giudea, cioè alla confessione, nella quale c’è la città di Davide “che si chiama Betlemme” (Lc 2,5), cioè “casa del pane”. E questa simboleggia il cibo delle lacrime: “Le mie lacrime furono il mio pane” (Sal 41,4).

Con tutto questo concordano le parole di Isaia: “Per la salita di Luchit salirà piangendo; sulla via di Coronaim alzeranno grida di contrizione” (Is 15,5). Ecco il mare amaro. Luchit s’interpreta “guance” o “mascelle”, Coronaim “sfogo della loro tristezza”. Il piangente, cioè il penitente, sale alla confessione tutto bagnato di lacrime, che dalle sue guance salgono a Dio, come dice l’Ecclesiastico: “Le lacrime della vedova non scendono forse sulle sue guance e il suo grido non si alza forse contro chi gliele fa versare? E dalle sue guance salgono fino al cielo, e il Signore che esaudisce, forse non le gradirà?” (Eccli 35,1819). Lo sfogo della tristezza è il dolore del cuore contrito, dal quale deve scaturire il grido della confessione, che il penitente deve elevare per confessare tutto con sincerità e chiarezza.

4. Osserva ancora che Giuseppe salì con Maria, che era incinta. L’anima, amareggiate per il duplice dolore dei suoi peccati, viene come impregnata dal timore di Dio, come dice Isaia: “Come colei che è incinta, quando si avvicina il parto soffre e grida per il dolore, così siamo stati noi davanti al tuo volto” o, secondo una diversa traduzione, “per paura di te”; “o Signore, abbiamo concepito, abbiamo sofferto i dolori del parto, abbiamo partorito lo spirito di salvezza” (Is 26,17-18). Il volto di Cristo, che verrà per il giudizio, impregna di timore l’anima, affinché concepisca e partorisca lo spirito di salvezza.

II. la nascita del salvatore

5. “E avvenne che, mentre si trovavano lì...” (Lc 2,6). Lì, dove? Nella casa del pane: anche Maria è la casa del pane. Il pane degli angeli si è trasformato in latte per i bambini, affinché i bambini diventassero angeli. “Lasciate che i bambini vengano a me” (Mc 10,14) perché succhino e si sazino all’abbondanza della sua consolazione (cf. Is 66,11).

Osserva che il latte è di sapore dolce e di gradevole aspetto. Così Cristo, come dice “Bocca d’Oro” (Giovanni Crisostomo), attirava a sé gli uomini con la sua dolcezza come il diamante7 attira il ferro; egli afferma di se stesso: “Chi mangia di me avrà ancora fame e chi beve di me avrà ancora sete” (Eccli 24,29); ed è anche di incantevole aspetto, infatti gli angeli desiderano fissare in lui lo sguardo (cf. 1Pt 1,12).

“Si compirono per lei i giorni del parto” (Lc 2,6). Ecco la pienezza dei tempi (cf. Gal 4,4), il giorno della salvezza (cf. 2Cor 6,2), l’anno della benevolenza” (cf. Sal 64,12). Dalla caduta di Adamo fino all’avvento di Cristo fu tempo vuoto; infatti dice Geremia: “Guardai la terra, ed ecco che era vuota e senza nulla” (Ger 4,23), perché il diavolo aveva distrutto ogni cosa; fu giorno di dolore e di malattia; dice infatti il salmo: “Sei sempre stato vicino al letto del suo dolore” (Sal 40,4); fu anno della maledizione, e dice la Genesi: “Maledetta sia la terra per quello che hai fatto” (Gn 3,17). Ma oggi “si sono compiuti i giorni del parto”. Dalla pienezza di questo giorno noi tutti abbiamo ricevuto (cf. Gv 1,16). E il salmo: “Saremo riempiti con i beni della tua casa” (Sal 64,5).

A te, o beata Vergine, sia lode e gloria, perché oggi siamo stati ricolmati dei beni della tua casa, cioè del tuo grembo. Noi che prima eravamo vuoti, ora siamo pieni; noi che prima eravamo malati, ora siamo sani; noi che prima eravamo maledetti, ora siamo benedetti, perché, come dice il Cantico dei Cantici: “Ciò che da te proviene è il paradiso”, o Maria! (Ct 4,13).


6. Continua l’evangelista: “Diede alla luce il suo figlio primogenito” (Lc 2,7). Ecco la bontà, ecco il paradiso! Correte dunque, o ingordi, o avari, o usurai, voi cui piace più il denaro che Dio, correte e comprate senza denaro e senza alcuna permuta (Is 55,1) il frumento e il grano che oggi la Vergine ha tratto dal tesoro del suo grembo. Diede dunque alla luce il figlio. Quale figlio? Il Figlio di Dio, Dio lui stesso. O tu, donna più felice di ogni altra, che hai avuto il figlio in comune con Dio Padre! Di quale gloria risplenderebbe una misera donna se avesse un figlio da un imperatore di questo mondo? Di gran lunga più grande è la gloria di Maria che ha condiviso il Figlio con Dio Padre.

“Partorì il Figlio suo”. Il Padre ha dato la divinità, la Madre l’umanità; il Padre ha dato la maestà, la Madre l’infermità. “Partorì il suo Figlio”, l’Emmanuele, cioè il “Dio con noi” (cf. Mt 1,23): chi dunque sarà contro di noi? (cf. Rm 8,31).

Dice infatti Isaia: “Sul suo capo ha posto l’elmo della salvezza” (Is 59,17). L’elmo è l’umanità, il capo è la divinità; il capo è nascosto sotto l’elmo, la divinità è nascosta sotto l’umanità. Quindi nessun timore: la vittoria è dalla nostra parte, perché con noi c’è un Dio in armi. Grazie a te, o Vergine gloriosa, giacché per merito tuo Dio è con noi.

“Partorì dunque il figlio suo primogenito”, cioè generato dal Padre prima di tutti i secoli; o anche primogenito tra i morti (cf. Col 1,18), oppure primogenito tra molti fratelli (cf. Rm 8,29).



7. “Lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia” (Lc 2,7). O povertà, o umiltà! Il padrone di tutte le cose è avvolto in fasce, il re degli angeli è adagiato in una stalla. Vergògnati, o insaziabile avarizia! Sprofonda, o umana superbia!

“Lo avvolse in fasce”. Osserva che Cristo all’inizio e alla fine della sua vita viene avvolto in fasce. “Giuseppe (d’Arimatea) – dice Marco –, comprato un lenzuolo, calò Gesù dalla croce e ve lo avvolse” (Mc 15,46). Beato colui che finirà la sua vita avvolto nella sindone, cioè nell’innocenza battesimale.

Il vecchio Adamo, quando fu cacciato dal paradiso terrestre, venne ricoperto di una tunica di pelli (cf. Gn 3,21); la pelle, quanto più si lava, tanto più si deteriora: e in ciò è raffigurata la sua carnalità e quella dei suoi discendenti. Invece il nuovo Adamo viene avvolto in panni, che nella loro bianchezza raffigurano il candore della Madre sua, l’innocenza battesimale e la gloria della risurrezione finale.

“E lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2,7), detto in lat. diversorium. Ecco – come è scritto nei Proverbi – “la cerva amabile e il delizioso cerbiatto” (Pro 5,19). Dice la Storia Naturale che la cerva partorisce nella strada battuta” (frequentata); così la beata Vergine partorì nella strada, che è pure un diversorium, come l’albergo, così chiamato perché ad esso si arriva da diverse strade.

III. l’annuncio dell’angelo ai pastori

8. “C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte e custodivano il loro gregge” (Lc 2,8).

Le “veglie” si chiamano anche excubiae o stazioni. In antico i romani dividevano la notte in quattro veglie (quattro turni di guardia) e a turno custodivano la città. La notte raffigura la vita presente, nella quale camminiamo a tastoni come di notte. Non ci vediamo neanche tra di noi, cioè non vediamo la nostra coscienza; spesso inciampiamo con i piedi, cioè con i nostri sentimenti ed affetti. Chi vuole custodire validamente la sua città durante questa notte (della vita), deve stare alzato e vegliare attentamente per tutti i quattro turni, fare cioè le quttro veglie.

La prima veglia raffigura l’impurità della nostra nascita, la seconda raffigura la malizia e la cattiveria che ci accompagnano, la terza raffigura lo stato miserando del nostro peregrinare e la quarta il pensiero della morte. Nella prima l’uomo deve vegliare per umiliare e disprezzare se stesso, nella seconda per mortificarsi, nella terza per piangere e nella quarta per suscitare un salutare timore. Beati quei pastori che fanno questo durante le quattro veglia di questa notte, perché così difendono veramente il loro gregge.

Osserva che il pastore veglia sul suo gregge per due motivi: per non essere derubato dai predoni, e perché il gregge non venga assalito dal lupo. Tutti noi siamo pastori, e il nostro gregge è formato dai nostri buoni pensieri e dai nostri santi desideri. Su questo gregge dobbiamo fare un’attenta guardia durante le quattro veglie suddette, perché il predone, cioè il diavolo non ci derubi con le sue maligne suggestioni, e il lupo, cioè la concupiscenza della carne, non ci assalga strappandoci il consenso. A coloro che vegliano in questo modo viene annunziata la gioia di questa natività.



9. “E l’angelo disse ai pastori: Ecco, io vi annunzio una grande gioia, perché oggi vi è nato il Salvatore...” (Lc 2,10.11). Con questo concordano le parole della Genesi: “Nacque Isacco. E Sara disse: Il Signore mi ha dato il sorriso e chiunque lo saprà, sorriderà con me “ (Gn 21,5-6). Sara s’interpreta “principessa” o “carbone”, ed è figura della gloriosa Vergine, principessa e regina nostra, infiammata dallo Spirito Santo come il carbone dal fuoco. Oggi Dio le ha dato il sorriso, perché da lei è nato il nostro sorriso. “Io vi annunzio una grande gioia”, perché è nato il sorriso, perché è nato Cristo.

Questo abbiamo udito oggi dall’angelo: “Chiunque lo sentirà, sorriderà insieme con me”. Sorridiamo dunque ed esultiamo insieme con la beata Vergine, perché Dio ci ha dato il sorriso, cioè il motivo di sorridere e di gioire con lei e in lei: “Oggi vi è nato il Salvatore”. Se uno si trovasse in punto di morte o fosse condannato all’ergastolo, e gli venisse annunziato: Ecco, è arrivato uno che ti salverà! Forse che non sorriderebbe, forse che non esulterebbe? Certamente! Esultiamo quindi anche noi, nella serenità della coscienza e nell’amore autentico (cf. 2Cor 6,6), perché oggi ci è nato il Salvatore, colui che ci salverà dalla schiavitù del diavolo e dall’ergastolo dell’inferno.



10. E per trovare questa gioia ci è dato un segno, quando l’angelo soggiunge: “Questo sarà per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia” (Lc 2,12). Qui dobbiamo osservare due cose: l’umiltà e la povertà. Beato colui che avrà questo segno nella fronte e nella mano, cioè nella professione di fede e nelle opere. Che cosa significa dire: “Troverete un bambino”, se non che troverete la sapienza che balbetta, la potenza resa debole, la maestà abbassata, l’immenso fatto bambino, il ricco fattosi poverello, il re degli angeli che giace in una stalla, il cibo degli angeli divenuto quasi fieno per gli animali, colui che da nulla può essere contenuto, adagiato in una stretta mangiatoia? “Questo dunque sarà per voi il segno”, perché non andiate in rovina insieme con gli Egiziani e gli abitanti di Gerico.

Per il Verbo incarnato, per il parto verginale, per il Salvatore nato sia gloria a Dio Padre nei cieli altissimi, e sia pace in terra agli uomini che egli ama (cf. Lc 2,14). Si degni di concederci questa pace colui che è benedetto nei secoli. Amen.

CONTINUA 

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