lunedì 31 gennaio 2011

I Proverbi - Ventesimo appuntamento

Continuiamo il nostro itinerario del lunedì con il Libro dei Proverbi, leggendo e meditando il ventesimo capitolo:

20

1Il vino è rissoso, il liquore è tumultuoso;
chiunque se ne inebria non è saggio.
2La collera del re è simile al ruggito del leone;
chiunque lo eccita rischia la vita.
3È una gloria per l'uomo astenersi dalle contese,
attaccar briga è proprio degli stolti.
4Il pigro non ara d'autunno,
e alla mietitura cerca, ma non trova nulla.
5Come acque profonde sono i consigli nel cuore umano,
l'uomo accorto le sa attingere.
6Molti si proclamano gente per bene,
ma una persona fidata chi la trova?
7Il giusto si regola secondo la sua integrità;
beati i figli che lascia dietro di sé!
8Il re che siede in tribunale
dissipa ogni male con il suo sguardo.
9Chi può dire: "Ho purificato il cuore,
sono mondo dal mio peccato?".
10Doppio peso e doppia misura
sono due cose in abominio al Signore.
11Già con i suoi giochi il fanciullo dimostra
se le sue azioni saranno pure e rette.
12L'orecchio che ascolta e l'occhio che vede:
l'uno e l'altro ha fatto il Signore.
13Non amare il sonno per non diventare povero,
tieni gli occhi aperti e avrai pane a sazietà.
14"Robaccia, robaccia" dice chi compra:
ma mentre se ne va, allora se ne vanta.
15C'è oro e ci sono molte perle,
ma la cosa più preziosa sono le labbra istruite.
16Prendigli il vestito perché si è fatto garante per un altro
e tienilo in pegno per gli estranei.
17È piacevole all'uomo il pane procurato con frode,
ma poi la sua bocca sarà piena di granelli di sabbia.
18Pondera bene i tuoi disegni, consigliandoti,
e fa' la guerra con molta riflessione.
19Chi va in giro sparlando rivela un segreto,
non associarti a chi ha sempre aperte le labbra.
20Chi maledice il padre e la madre
vedrà spegnersi la sua lucerna nel cuore delle tenebre.
21I guadagni accumulati in fretta da principio
non saranno benedetti alla fine.
22Non dire: "Voglio ricambiare il male",
confida nel Signore ed egli ti libererà.
23Il doppio peso è in abominio al Signore
e le bilance false non sono un bene.
24Dal Signore sono diretti i passi dell'uomo
e come può l'uomo comprender la propria via?
25È un laccio per l'uomo esclamare subito: "Sacro!"
e riflettere solo dopo aver fatto il voto.
26Un re saggio passa al vaglio i malvagi
e ritorna su di loro con la ruota.
27Lo spirito dell'uomo è una fiaccola del Signore
che scruta tutti i segreti recessi del cuore.
28Bontà e fedeltà vegliano sul re,
sulla bontà è basato il suo trono.
29Vanto dei giovani è la loro forza,
ornamento dei vecchi è la canizie.
30Le ferite sanguinanti spurgano il male,
le percosse purificano i recessi del cuore.


COMMENTO

La doppia misura è in abominio al Signore; l'ipocrisia, il "doppiogiochismo" è una cosa non gradita da Dio, soprattutto quando ci si professa buon cristiani davanti agli altri e poi dietro si pratica una condotta non conforme ai precetti del Signore. Ancora una volta leggiamo consigli per una buona condotta, come ad esempio quello di non lasciarsi prendere dalla pigrizia o anche il non seguire chi ha sempre da criticare qualcosa nei fratelli. Ancora una volta leggiamo l'esortazione a non trasgredire il quarto comandamento: "Onora tuo padre e tua madre". Perché è tanto importante questo comandamento? Ci sono tante risposte da dare a questa domanda. Giovanni Paolo II definiva la famiglia "Chiesa domestica". Chi ama il padre e la madre certamente crescerà nell'amore e nell'istruzione e sarà saggio. Inoltre la famiglia è immagine della Trinità: il padre, la madre e il figlio (o i figli) sono chiamati a scambiarsi l'amore, come il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Una persona moralmente arriva facilmente a comprendere che è giusto onorare i propri genitori: essi ci hanno concepito, hanno trascorso notti insonni nei nostri primi mesi di vita, hanno lavorato duramente per farci crescere, ma nonostante ciò lo hanno fatto con gioia, per amor nostro. I genitori ci hanno amato prima ancora di concepirci, così come Dio ci ha amati prima ancora che ci creasse. Particolarmente nei genitori si identifica il Signore, Lui che è Padre in eterno, tanto che da aver comandato di onorare il padre e la madre. Pensiamo a Dio Figlio, quando assunse natura umana e divenne simile a noi: ha avuto dei genitori terreni e li ha amati e onorati.

Verso la fine di questo capitolo de I Proverbi, leggiamo una frase molto bella e intensa, nello specifico nel versetto 27. Il Signore conosce tutto di noi, anche quei pensieri che noi riteniamo segreti e inaccessibili. Dobbiamo sempre considerare questo, dobbiamo ricordarci di essere sempre al cospetto di Dio, soprattutto quando siamo in procinto di cadere in peccato, tanto da vergognarci delle nostre azioni, evitando di trasgredire le leggi del Signore.

Concludiamo meditando il versetto finale: La sofferenza purifica e santifica soprattutto quando è offerta a Dio. Gesù è venuto a farci conoscere la verità: quello che un tempo era considerato maledizione, oggi invece sappiamo che è strumento di redenzione; così come la croce che da strumento di morte è diventato strumento di vita eterna. La sofferenza dunque è occasione di santificazione e benediciamo il Signore ogni qual volta soffriamo perché ci ha donato uno strumento di espiazione.

domenica 30 gennaio 2011

Il Libro di Giobbe - Ventesimo appuntamento

Torna l'appuntamento con il Libro di Giobbe; questa settimana leggiamo e meditiamo la risposta di Elifaz il Temanita: 

1Elifaz il Temanita prese a dire:

2Può forse l'uomo giovare a Dio,
se il saggio giova solo a se stesso?
3Quale interesse ne viene all'Onnipotente che tu sia giusto
o che vantaggio ha, se tieni una condotta integra?
4Forse per la tua pietà ti punisce
e ti convoca in giudizio?
5O non piuttosto per la tua grande malvagità
e per le tue iniquità senza limite?
6Senza motivo infatti hai angariato i tuoi fratelli
e delle vesti hai spogliato gli ignudi.
7Non hai dato da bere all'assetato
e all'affamato hai rifiutato il pane,
8la terra l'ha il prepotente
e vi abita il tuo favorito.
9Le vedove hai rimandato a mani vuote
e le braccia degli orfani hai rotto.
10Ecco perché d'intorno a te ci sono lacci
e un improvviso spavento ti sorprende.
11Tenebra è la tua luce e più non vedi
e la piena delle acque ti sommerge.
12Ma Dio non è nell'alto dei cieli?
Guarda il vertice delle stelle: quanto sono alte!
13E tu dici: "Che cosa sa Dio?
Può giudicare attraverso la caligine?
14Le nubi gli fanno velo e non vede
e sulla volta dei cieli passeggia".
15Vuoi tu seguire il sentiero d'un tempo,
già battuto da uomini empi,
16che prima del tempo furono portati via,
quando un fiume si era riversato sulle loro fondamenta?
17Dicevano a Dio: "Allontànati da noi!
Che cosa ci può fare l'Onnipotente?".
18Eppure egli aveva riempito le loro case di beni,
anche se i propositi degli empi erano lontani da lui.
19I giusti ora vedono e ne godono
e l'innocente si beffa di loro:
20"Sì, certo è stata annientata la loro fortuna
e il fuoco ne ha divorati gli avanzi!".
21Su, riconcìliati con lui e tornerai felice,
ne riceverai un gran vantaggio.
22Accogli la legge dalla sua bocca
e poni le sue parole nel tuo cuore.
23Se ti rivolgerai all'Onnipotente con umiltà,
se allontanerai l'iniquità dalla tua tenda,
24se stimerai come polvere l'oro
e come ciottoli dei fiumi l'oro di Ofir,
25allora sarà l'Onnipotente il tuo oro
e sarà per te argento a mucchi.
26Allora sì, nell'Onnipotente ti delizierai
e alzerai a Dio la tua faccia.
27Lo supplicherai ed egli t'esaudirà
e tu scioglierai i tuoi voti.
28Deciderai una cosa e ti riuscirà
e sul tuo cammino splenderà la luce.
29Egli umilia l'alterigia del superbo,
ma soccorre chi ha gli occhi bassi.
30Egli libera l'innocente;
tu sarai liberato per la purezza delle tue mani.


COMMENTO


Elifaz continua a rimanere fermo sulle sue posizioni: egli cioè continua a pensare che Giobbe si sia meritato tutte le sventure che ha subito perchè Dio castiga solo in nome della giustizia. Infatti, secondo Elifaz, Dio non può castigare il giusto, ma solo colui che nasconde l'empietà e la malvagità nel cuore. E per sostenere la sua tesi, denuncia ciò che Giobbe, secondo lui, ha commesso: Senza motivo infatti hai angariato i tuoi fratelli
e delle vesti hai spogliato gli ignudi. Non hai dato da bere all'assetato e all'affamato hai rifiutato il pane, la terra l'ha il prepotente e vi abita il tuo favorito. Le vedove hai rimandato a mani vuote e le braccia degli orfani hai rotto.


Elifaz pensa che Giobbe venga punito da Dio a causa di tutta questa ingiustizia (tra l'altro non commessa realmente da Giobbe), ma non sa ciò che dice. Egli ancora non riesce a comprendere il disegno di Dio e ragiona peccando di sapienza. Partendo da questa situazione di superiorità morale, addirittura comincia a dettare la strada da seguire per evitare i castighi divini: nulla da eccepire, poiché quello che delinea è un giusto sentiero, ma il problema è un altro e sta alla base di tutto il discorso. Elifaz non comprende che causa della sventura non è Dio, ma satana che sta tentando Giobbe per farlo vacillare nella fede nel Signore. Elifaz invece dimostra di comportarsi non come amico che cerca di comprendere e che cerca di risollevare l'amico in difficoltà: lui si comporta al contrario, mostrando l'aspetto di un vero fariseo simile a quelli che Gesù incontrerà nel Suo cammino terreno. Ancora una volta, vediamo come il formalismo e il pregiudizio prevalgono sul cuore e sull'amore e ciò porta continuamente fuori strada: Elifaz ne è la prova vivente!

 

sabato 29 gennaio 2011

Il Sabato dei Salmi - Salmo 39 (38) - L'uomo è un nulla davanti a Dio

Salmo 39   

L'uomo è un nulla davanti a Dio 
[1]Al maestro del coro, Iditun.Salmo. Di Davide. 

[2]Ho detto: «Veglierò sulla mia condotta
per non peccare con la mia lingua;
porrò un freno alla mia bocca
mentre l'empio mi sta dinanzi».
[3]Sono rimasto quieto in silenzio: tacevo privo di bene,
la sua fortuna ha esasperato il mio dolore.
[4]Ardeva il cuore nel mio petto,
al ripensarci è divampato il fuoco;
allora ho parlato:
[5]«Rivelami, Signore, la mia fine;
quale sia la misura dei miei giorni
e saprò quanto è breve la mia vita». 

[6]Vedi, in pochi palmi hai misurato i miei giorni
e la mia esistenza davanti a te è un nulla.
Solo un soffio è ogni uomo che vive,
[7]come ombra è l'uomo che passa;
solo un soffio che si agita,
accumula ricchezze e non sa chi le raccolga. 

[8]Ora, che attendo, Signore?
In te la mia speranza.
[9]Liberami da tutte le mie colpe,
non rendermi scherno dello stolto.
[10]Sto in silenzio, non apro bocca,
perché sei tu che agisci. 

[11]Allontana da me i tuoi colpi:
sono distrutto sotto il peso della tua mano.
[12]Castigando il suo peccato tu correggi l'uomo,
corrodi come tarlo i suoi tesori.
Ogni uomo non è che un soffio. 

[13]Ascolta la mia preghiera, Signore,
porgi l'orecchio al mio grido,
non essere sordo alle mie lacrime,
poiché io sono un forestiero,
uno straniero come tutti i miei padri.
[14]Distogli il tuo sguardo, che io respiri,
prima che me ne vada e più non sia.


COMMENTO

Vigilare ("Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione" Mt, 26,41), vigilare per non peccare. Così esordisce il Salmo soffermandosi sull'importanza del vegliare. Vegliare, stare attenti a non lasciarsi prendere dal fuoco dell'ira che divampa dinnanzi agli insulti o agli scherni dei provocatori. Porrò un freno alla mia bocca, dice Davide, mentre l'empio mi sta dinanzi, proprio come fece Gesù davanti ai suoi schernitori nel pretorio di Pilato; tacque, nonostante gli schiaffi e gli insulti, tenne chiuse la sua bocca perché è questa la condotta che l'uomo deve avere dinnanzi ai suoi persecutori e Gesù ce ne da il diretto esempio con la sua vita, morte e resurrezione.

Meditare la pochezza dei nostri giorni, meditare la nostra piccolezza dinnanzi a Lui, L'Onnipotente, è un esercizio di fondamentale importanza, un esercizio che gradualmente vince la superbia. L'uomo si inganna nell'illudersi di avere in potere molte cose, s'inganna nel sognare una vita immortale in questa valle di miserie. Ed è così che l'uomo si ribella a Dio; "non ne ho bisogno", pensa in cuor suo, non sente il bisogno perché inghiottito dalle sue illusioni. Crede di poter sostituire Dio, lui che da Dio è stato formato. Invece noi uomini, davanti a Dio siamo davvero un brutto nulla. Eppure Egli ci ama ed ha riguardo per la Sua creatura fatta da Lui a Sua immagine e somiglianza. Siamo un nulla e Lui è morto per noi. Pensiamo; Dio che è tutto si è annientato per noi che siamo nulla su quel misero legno destinato agli scellerati. Lui il Santissimo, l'Eterno Giudice, eternamente giusto, si è lasciato inchiodare a quel legno come un malfattore. Per chi e per cosa? Per noi nullità e per salvarci dall'eterna morte. Siamo uomini ingrati, siamo davvero dei miserabili quando non riconosciamo la bontà del nostro Dio, quando voltiamo le spalle a Colui che è Tutto, si è fatto niente per noi che siamo nulla. D'ora in avanti proponiamo di ringraziare ogni giorno il Signore per gli innumerevoli benefici che ci ha elargito nella Sua infinità bontà.

Sto in silenzio,  non apro bocca, perché sei tu che agisci, dice il santo Re di Gerusalemme. Facciano nostre queste parole davanti agli schernitori dei nostri giorni, con un'aggiunta: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34). Davanti ai nostri persecutori, tacciamo perché Egli ci sosterrà e preghiamo perché li perdoni. Quando ci accuseranno, non preoccupiamoci perché sarà Lui che ci aiuterà: "Quando vi condurranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi come discolparvi o che cosa dire; perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire" (Lc 12,11-12).

Come Davide, siamo tutti forestieri, come gli ebrei che soggiornarono in una terra non loro e si dichiararono ospiti nella terra del Signore. Così anche noi nella casa del Padre, non comportiamoci con schiamazzi, ma con riverenza accostiamoci davanti al Tabernacolo, perché siamo sì figli Suoi, ma siamo anche ospiti per Sua grande bontà ed è per questo dobbiamo mantenere il massimo rispetto e il buon decoro quando siamo in Chiesa, nel Tempio Santo del Signore. E' importante riconoscere di essere "ospiti" perché non abbiamo a sentire nel nostro cuore il desiderio cattivo di appropriarci di cose che non ci appartengono, come gli stolti che allungano la mano e insozzano la casa che non gli appartiene. Siamo saggi e riconosciamo che tutto quello che ci è stato dato, non è nostro, ma è dono di Dio.

venerdì 28 gennaio 2011

Siracide - Diciottesimo appuntamento

Torna l'appuntamento con il Siracide; oggi diamo uno sguardo al diciottesimo capitolo:


1Colui che vive per sempre ha creato l'intero universo.
2Il Signore soltanto è riconosciuto giusto.
3A nessuno è possibile svelare le sue opere
e chi può indagare le sue grandezze?
4La potenza della sua maestà chi potrà misurarla?
Chi riuscirà a narrare le sue misericordie?
5Non c'è nulla da togliere e nulla da aggiungere;
non è possibile indagare le meraviglie del Signore.
6Quando uno ha finito, allora comincia;
quando si ferma, allora rimane perplesso.


7Che è l'uomo? E a che può servire?
Qual è il suo bene e qual è il suo male?
8Quanto al numero dei giorni dell'uomo,
cento anni sono già molti.
9Come una goccia d'acqua nel mare e un grano di sabbia
così questi pochi anni in un giorno dell'eternità.
10Per questo il Signore è paziente con gli uomini
e riversa su di essi la sua misericordia.
11Vede e conosce che la loro sorte è misera,
per questo moltiplica il perdono.
12La misericordia dell'uomo riguarda il prossimo,
la misericordia del Signore ogni essere vivente.
13Egli rimprovera, corregge, ammaestra
e guida come un pastore il suo gregge.
14Ha pietà di quanti accettano la dottrina
e di quanti sono zelanti per le sue decisioni.


15Figlio, ai benefici non aggiungere il rimprovero,
e a ogni dono parole amare.
16La rugiada non mitiga forse il calore?
Così una parola è più pregiata del dono.
17Ecco, non vale una parola più di un ricco dono?
L'uomo caritatevole offre l'una e l'altro.
18Lo stolto rimprovera senza riguardo,
il dono dell'invidioso fa languire gli occhi.


19Prima di parlare, impara;
curati ancor prima di ammalarti.
20Prima del giudizio esamina te stesso,
così al momento del verdetto troverai perdono.
21Umìliati, prima di cadere malato,
e quando hai peccato, mostra il pentimento.
22Nulla ti impedisca di soddisfare a tempo un voto,
non aspettare fino alla morte per sdebitarti.
23Prima di fare un voto prepara te stesso,
non fare come un uomo che tenta il Signore.
24Pensa all'ira del giorno della morte,
al tempo della vendetta,
quando egli distoglierà lo sguardo da te.
25Pensa alla carestia nel tempo dell'abbondanza;
alla povertà e all'indigenza nei giorni di ricchezza.
26Dal mattino alla sera il tempo cambia;
e tutto è effimero davanti al Signore.
27Un uomo saggio è circospetto in ogni cosa;
nei giorni del peccato si astiene dalla colpa.
28Ogni uomo assennato conosce la sapienza
e a colui che l'ha trovata rende omaggio.
29Quelli istruiti nel parlare anch'essi diventano saggi,
fanno piovere massime eccellenti.


30Non seguire le passioni;
poni un freno ai tuoi desideri.
31Se ti concedi la soddisfazione della passione,
essa ti renderà oggetto di scherno ai tuoi nemici.
32Non godere una vita di piaceri,
sua conseguenza è una doppia povertà.
33Non impoverire scialacquando con denaro preso a prestito,
quando non hai nulla nella borsa.

Questo passo del Siracide mette subito in contrapposizione Dio con l'uomo. Vediamo da un lato tessere le lodi della grandezza del Signore e dall'altro tessere la miseria umana. L'uomo non è paragonabile a Dio e questo lo sappiamo: ancora oggi c'è chi cerca di indagare la Sua consistenza, il Suo essere, le meraviglie da Lui compiute: ma c'è qualcuno che può realmente farlo? C'è qualcuno che riesce a spiegare l'inspiegabile? A distanza di millenni, nessun uomo è riuscito ad andare oltre la previsione di Dio: molti scienziati si sono persino convertiti perchè dinanzi alla maestosità dell'esistenza, non hanno trovato alcuna risposta che potesse spiegare tutto quanto ci circonda. Ecco, il Siracide raffigura proprio questo: l'incapacità umana nel poter indagare la grandezza del Signore Dio il quale è inimitabile. Anche nel perdono siamo nettamente diversi perchè noi siamo chiamati ad usar misericordia verso il prossimo, ma Dio si muove a misericordia verso ogni creatura, verso la più insignificante del creato. Tanta è la linea di separazione tra noi uomini e Colui che ci ha dato la vita ed è pari all'ingratitudine mostrata da noi e soprattutto da coloro che negano la Sua esistenza.

Dall'altra parte, il Siracide invita ad un'attenta riflessione su noi stessi e cioè a quello che definiamo esame di coscienza. Tutti noi siamo chiamati a quest'esame: dobbiamo cercare di vedere le nostre colpe, chieder perdono per esse e cercare di correggerle. Così saremo non solo lontano dall'ira di Dio nel giorno del Giudizio, ma potremo aiutare anche il nostro fratello a veder meglio, come anche Gesù dice nel Vangelo (infatti, Egli dice di correggere prima la trave nel nostro occhio, in modo da poter aiutare a vedere chi ha la pagliuzza nel suo occhio) ed in più potremo acquisire sempre più sapienza, la quale è una delle virtù più importanti dell'uomo.

Infine, troviamo una raccomandazione importante: ricercare il dominio di sé stessi, ponendo un freno alle passioni e ai desideri che ci attirano, sia di natura carnale e sia di natura materiale come il danaro e gli oggetti inutili. Oggigiorno questo richiamo assume un valore essenziale perchè la società tende a giustificare sotto l'etichetta della naturalità e della normalità, quelli che sono chiaramente passioni e desideri impuri. Ecco dunque il fondamento che molti cercano:  Non seguire le passioni; poni un freno ai tuoi desideri.

giovedì 27 gennaio 2011

Catechismo della Chiesa Cattolica - XI parte

Proseguiamo con il Capitolo 3 del Catechismo della Chiesa Cattolica: la scorsa settimana abbiamo letto l'Articolo 1, oggi invece ci soffermiamo sull'Articolo 2: Noi crediamo.

Articolo 2 -  NOI CREDIAMO

166 La fede è un atto personale: è la libera risposta dell'uomo all'iniziativa di Dio che si rivela. La fede però non è un atto isolato. Nessuno può credere da solo, così come nessuno può vivere da solo. Nessuno si è dato la fede da se stesso, così come nessuno da se stesso si è dato l'esistenza. Il credente ha ricevuto la fede da altri e ad altri la deve trasmettere. Il nostro amore per Gesù e per gli uomini ci spinge a parlare ad altri della nostra fede. In tal modo ogni credente è come un anello nella grande catena dei credenti. Io non posso credere senza essere sorretto dalla fede degli altri, e, con la mia fede, contribuisco a sostenere la fede degli altri.


167 « Io credo »: 212 è la fede della Chiesa professata personalmente da ogni credente, soprattutto al momento del Battesimo. « Noi crediamo »: 213 è la fede della Chiesa confessata dai Vescovi riuniti in Concilio, o, più generalmente, dall'assemblea liturgica dei credenti. « Io credo »: è anche la Chiesa, nostra Madre, che risponde a Dio con la sua fede e che ci insegna a dire: « Io credo », « Noi crediamo ».


I. «Guarda, Signore, alla fede della tua Chiesa»


168 È innanzi tutto la Chiesa che crede, e che così regge, nutre e sostiene la mia fede. È innanzi tutto la Chiesa che, ovunque, confessa il Signore, (« Te per orbem terrarum sancta confitetur Ecclesia La santa Chiesa proclama la tua gloria su tutta la terra », cantiamo nel « Te Deum ») e con essa e in essa anche noi siamo trascinati e condotti a confessare: « Io credo », « Noi crediamo ». Dalla Chiesa riceviamo la fede e la vita nuova in Cristo mediante il Battesimo. Nel « Rituale Romano » il ministro del Battesimo domanda al catecumeno: « Che cosa chiedi alla Chiesa di Dio? ». E la risposta è: « La fede » – « Che cosa ti dona la fede? » – « La vita eterna ». 214


169 La salvezza viene solo da Dio; ma, poiché riceviamo la vita della fede attraverso la Chiesa, questa è nostra Madre: « Noi crediamo la Chiesa come Madre della nostra nuova nascita, e non nella Chiesa come se essa fosse l'autrice della nostra salvezza ». 215 Essendo nostra Madre, la Chiesa è anche l'educatrice della nostra fede.


II. Il linguaggio della fede


170 Noi non crediamo in alcune formule, ma nelle realtà che esse esprimono e che la fede ci permette di « toccare ». « L'atto [di fede] del credente non si ferma all'enunciato, ma raggiunge la realtà [enunciata] ». 216 Tuttavia, noi accostiamo queste realtà con l'aiuto delle formulazioni della fede. Esse ci permettono di esprimere e di trasmettere la fede, di celebrarla in comunità, di assimilarla e di viverla sempre più intensamente.


171 La Chiesa, che è « colonna e sostegno della verità » (1 Tm 3,15), conserva fedelmente la fede, che fu trasmessa ai credenti una volta per tutte. 217 È la Chiesa che custodisce la memoria delle parole di Cristo e trasmette di generazione in generazione la confessione di fede degli Apostoli. Come una madre che insegna ai suoi figli a parlare, e quindi a comprendere e a comunicare, la Chiesa nostra Madre ci insegna il linguaggio della fede per introdurci nell'intelligenza della fede e nella vita.


III. Una sola fede


172 Da secoli, attraverso molte lingue, culture, popoli e nazioni, la Chiesa non cessa di confessare la sua unica fede, ricevuta da un solo Signore, trasmessa mediante un solo Battesimo, radicata nella convinzione che tutti gli uomini non hanno che un solo Dio e Padre. 218 Sant'Ireneo di Lione, testimone di questa fede, dichiara:


173 « In realtà, la Chiesa, sebbene diffusa in tutto il mondo fino alle estremità della terra, avendo ricevuto dagli Apostoli e dai loro discepoli la fede [...], conserva questa predicazione e questa fede con cura e, come se abitasse un'unica casa, vi crede in uno stesso identico modo, come se avesse una sola anima ed un cuore solo, e predica le verità della fede, le insegna e le trasmette con voce unanime, come se avesse una sola bocca ». 219


174 « Infatti, se le lingue nel mondo sono varie, il contenuto della Tradizione è però unico e identico. E non hanno altra fede o altra Tradizione né le Chiese che sono in Germania, né quelle che sono in Spagna, né quelle che sono presso i Celti (in Gallia), né quelle dell'Oriente, dell'Egitto, della Libia, né quelle che sono al centro del mondo ». 220 « Il messaggio della Chiesa è dunque veridico e solido, poiché essa addita a tutto il mondo una sola via di salvezza ». 221


175 « Conserviamo con cura questa fede che abbiamo ricevuto dalla Chiesa, perché, sotto l'azione dello Spirito di Dio, essa, come un deposito di grande valore, chiuso in un vaso prezioso, continuamente ringiovanisce e fa ringiovanire anche il vaso che la contiene ». 222


In sintesi


176 La fede è un'adesione personale di tutto l'uomo a Dio che si rivela. Comporta un'adesione dell'intelligenza e della volontà alla Rivelazione che Dio ha fatto di sé attraverso le sue opere e le sue parole.


177 « Credere » ha perciò un duplice riferimento: alla persona e alla verità; alla verità per la fiducia che si accorda alla persona che l'afferma.


178 Non dobbiamo credere in nessun altro se non in Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.


179 La fede è un dono soprannaturale di Dio. Per credere, l'uomo ha bisogno degli aiuti interiori dello Spirito Santo.


180 « Credere » è un atto umano, cosciente e libero, che ben s'accorda con la dignità della persona umana.


181 « Credere » è un atto ecclesiale. La fede della Chiesa precede, genera, sostiene e nutre la nostra fede. La Chiesa è la Madre di tutti i credenti. « Nessuno può avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa per Madre ». 223


182 « Noi crediamo tutto ciò che è contenuto nella Parola di Dio, scritta o tramandata, e che è proposto dalla Chiesa come divinamente rivelato ». 224


183 La fede è necessaria alla salvezza. Il Signore stesso lo afferma: « Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato » (Mc 16,16).


184 «La fede [...] è una pregustazione della conoscenza che ci renderà beati nella vita futura». 225


Il Credo

Simbolo degli Apostoli226Credo niceno-costantinopolitano227
Io credo in Dio, Padre onnipotente,
Creatore del cielo e della terra.
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente,
Creatore del cielo e della terra,
di tutte le cose visibili e invisibili.
E in Gesù Cristo, suo unico Figlio,
nostro Signore,
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo,
Unigenito Figlio di Dio,
nato dal Padre prima di tutti i secoli:
Dio da Dio, Luce da Luce,
Dio vero da Dio vero,
generato, non creato,
della sostanta del Padre;
per mezzo di Lui tutte le cose
sono state create.
Per noi uomini e per la nostra salvezza
discese dal cielo,
il quale fu concepito di Spirito Santo,
nacque da Maria Vergine,
e per opera dello Spirito Santo
si è incarnato nel seno della Vergine Maria
e si è fatto uomo.
patì sotto Ponzio Pilato,
fu crocifisso, morì e fu sepolto;
discese agli inferi;
Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato
morì e fu sepolto.
il terzo giorno risuscitò da morte;
salì al cielo,
siede alla destra di Dio Padre onnipotente:
di là verrà a giudicare i vivi e i morti.
Il terzo giorno è risuscitato,
secondo le Scritture,
è salito al cielo, siede alla destra del Padre.
E di nuovo verrà, nella gloria
per giudicare i vivi e i morti
e il suo regno non avrà fine.
Credo nello Spirito Santo,Credo nello Spirito Santo,
che è Signore e dà la vita,
e procede dal Padre e dal Figlio.
Con il Padre e il Figlio
è adorato e glorificato,
e ha parlato per mezzo dei profeti.
la santa Chiesa cattolica,
la comunione dei santi,
Credo la Chiesa,
una santa cattolica e apostolica.
la remissione dei peccati,
la risurrezione della carne,
la vita eterna.
Amen
Professo un solo Battesimo
per il perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti
e la vita del mondo che verrà.
Amen

mercoledì 26 gennaio 2011

Verità della Fede - I parte

Iniziamo un nuovo ed importante percorso attraverso una delle opere più intense di Sant'Alfonso Maria de' Liguori: Verità della Fede. Quest'opera scritta dal Santo Fondatore dei Redentoristi si propone di dimostrare come la religione Cattolica sia l'unica vera  e di confutare le dichiarazioni di uomini stolti attraverso una accurata analisi. Con acume prova l'esistenza di Dio e dell'anima attraverso una chiara esposizione.


Vi invitiamo pertanto a leggere questo bellissimo libro dal quale attingere tanto sapere a beneficio della fede. Cominciamo con il primo capitolo preceduto dalle parole di Sant'Alfonso rivolte alla Vergine Maria con le quali inizia questa bellissima opera, esponendo i motivi per i quali ha scritto questo grande libro apologetico.








Verità della Fede

di Sant'Alfonso Maria de' Liguori

ALLA DIVINA MADRE MARIA

Qui non crediderit, condemnabitur. Marci 16. 16.

Signora, io vedendo e piangendo i danni che in questi tempi stan facendo gl'increduli al popolo cristiano, e desiderando di vedervi dato riparo, non essendomi ciò permesso dalle mie deboli forze, ho voluto prima di morire impiegarmi almeno a scoprire i loro errori, e confutarli, acciocché gl'incauti non restino ingannati da' loro sofismi. Per tanto ho pensato di dare alla luce questa mia opera. Ma a che mai ella gioverà, se dal vostro favore non viene avvalorata? O Maria, voi già mirate dal cielo la strage d'anime che fa l'inferno oggidì per mezzo di questi errori disseminati in più regni, dove prima ha regnato intatta la santa fede. Ma non siete voi quella, a cui sta concessa la gloria di sopprimere e distruggere tutte le eresie? Di voi canta la chiesa: Cunctas haereses interemisti in universo mundo. A voi dunque tocca di abbattere colla vostra potente mano questi nemici della croce di Gesù Cristo. Affaticatevi pertanto, o gran Madre di Dio, a liberarci dal danno che trama l'inferno a tante anime semplici; e perciò degnatevi di prendere ancora sotto il vostro patrocinio questo mio povero libro, acciocché quelli nelle cui mani capiterà non si lascino illudere dagl'inganni di questi increduli moderni: e se mai taluno fosse rimasto abbagliato da' loro sofismi, apra gli occhi a riconoscere le verità della nostra santa fede, senza la quale non vi è speranza di salute.


PARTE PRIMA - CONTRO I MATERIALISTI CHE NEGANO
L'ESISTENZA DI DIO

CAP. I. Intento dell'opera, coll'avvertenza di più cose intorno a' pregi della fede cristiana.

1. La massima di cui si servono oggidì certi scrittori moderni è che debbonsi venerare le verità della fede, ma non hanno da disprezzarsi i lumi della ragion naturale, di cui è dotato l'uomo per distinguere il vero dal falso. E quindi eglino si han presa la libertà di pensare; e da questa son passati poi a farsi anche lecita la libertà di dubitare delle verità della fede che loro sembrano non conformi alla ragione. Per tanto in questi ultimi tempi è uscita fuori una moltitudine di libri pestiferi ripieni di empietà; ma è l'uno difforme dall'altro. Questi libri vanno in lingua francese sotto diversi titoli speciosi, come: I Costumi - Lo Spirito - L'Esame della Religione - La Religione delle Dame - Il Trattato della ragione umana - Pensieri Filosofici - Il Telliamed - L'Emilio - Virtù de' Pagani - Filosofia del buon senso - Lo spirito delle leggi - La continuazione di difesa dello Spirito delle leggi - Le lettere della religione essenziale dell'uomo - Le lettere Giudaiche - Le Principesse del Malabar - Il Celibato Filosofico - L'analisi del Bayle - Il Dizionario Enciclopedico - Le Opere fatte per sua difesa - Il Contratto sociale - Il Dizionario Filosofico - Le Lettere del Montaigne - Epistola sull'Istoria generale - La Filosofia dell'Istoria - Il Dispotismo orientale, e molti altri col nome diNovelle, Satire, Romanzi, Drammi e simili. Di questi chi dice che la religione è nata dalla ragione di stato: chi dal timore delle pene: chi nega l'esistenza di Dio; e dice che tutto è materia: chi ammette Dio, ma nega la religion rivelata: chi nega la divina provvidenza, dicendo che Iddio non ha cura delle sue creature: chi dice che l'anima dell'uomo è uguale a quella delle bestie, onde opera necessariamente senza libertà: chi dice che l'anima muore col corpo; chi dice che non muore, ma per lei non v'è castigo nell'altra vita: chi dice che v'è il castigo, ma il castigo è sempre temporale, non mai eterno: chi dice che non dobbiamo osservare altra regola nel vivere, se non quella che ci detta l'interesse o il piacere, come dice Elvezio nel suo infame libretto intitolato Lo Spirito, che va in giro per le mani di molti; e perciò verso la fine della terza parte di quest'opera n'esporremo in breve le massime più principali e più perniciose, per confutarle. Tali scrittori son fallaci e furbi. Affermano alle volte più cose per certe e indubitabili, le quali sono certamente false. Di più dimostrano di venerare le cose sante, i libri di Mosè, il vangelo e la religione; e poi vanno di quando in quando spargendo fuori la bava avvelenata de' loro errori, per così ingannare i lettori ignoranti o poco accorti.

2. Gli autori di questi empj libri sono l'Hobbes, lo Spinoza, il Collins, il Tolland, l'Argens, il Voltaire, il Tindall, il Montaigne, il Wolston, l'Evremond, loShaftesbury, il Loke ed altri molti; mentre le Moine rapporta una lettera pastorale del preteso vescovo di Londra, ov'egli si lamenta del gran numero di libri usciti nuovamente in Inghilterra intinti di materialismo o deismo, oltre gli altri stampati in Olanda ed in altre parti. I mentovati autori poi sono tra loro discordi; ma tutti combattono la religione; altri alla scoperta, altri indirettamente, frammischiando insieme testi di scrittura, passi di autori gentili e mille erudizioni e brevi fatti, ma alla rinfusa, senza citazioni, senza ordine e senza fedeltà. L'empio Pietro Bayle è quello poi che guarda le spalle a tutti questi scrittori esecrandi; mentr'egli raccoglie tutte le loro empietà, ma ora le difende, ed ora le impugna; sicché il suo intento non è altro che mettere tutte le cose in dubbio, così gli errori degli increduli, come le verità della Fede, per concludere finalmente che non vi è alcuna cosa certa da credere, né alcuna religione che siam tenuti ad abbracciare1. Il pirronismo, ch'è il mettere in dubbio tutte le verità, è il sistema più pernicioso di tutti, perché non ammette alcun principio, ancorché sia certo ed evidente. Sicché non vi è modo di convincere i seguaci di tale inettissimo e brutal sistema. Poiché, dubitando essi di qualunque principio certo, non vi sono più ragioni da persuaderli. Ma che razza di uomini ragionevoli son questi, per cui non vale alcuna ragione? Dicono i pirronisti, e specialmente il signor Bayle, a cui si accompagnano il Vayer e il Montaigne, che il pirronismo è la via più propria per cattivare gl'intelletti all'ubbidienza della religione. Oh che bella faccia di pietà! Non ha dubbio che ne' dogmi che la religione insegna, e che sono superiori alla nostra intelligenza, dobbiamo cattivar l'intelletto, come dice s. Paolo, in ossequio della fede. Ma è necessario a noi l'esaminare gli argomenti della credibilità, per conoscere qual religione fra tutte sia la vera; e Dio stesso vuole che in ciò noi ci vagliamo della ragion naturale, affinché scorgendo la vera religione, c'induciamo poi col soccorso della grazia a credere tutto ciò ch'ella c'insegna, benché non comprendiamo i misteri da lei proposti. Altrimenti, se alla cieca volessimo abbracciare quella religione che ci si presenta avanti, senza accertarci prima qual sia la vera, potremmo seguire qualunque religione che vogliamo, l'ebraica, la maomettana ed anche l'idolatrica. Ma come conoscerà la vera religione chi per sistema pone in dubbio tutti i principj certi, e tutte le verità? Questi o sarà ateo, non credendo a niuna, o abbraccerà a caso qualunque religione che gli piace, benché sia falsa ed empia. Soggiunge Bayle che in tali dubbi aspettiamo da Dio la cognizione di quel che dobbiamo credere. Ma come crederà a Dio chi dubita ben anche se Dio vi sia, rigettando tutti gli argomenti che ne dimostrano l'esistenza?


3. Si lagna il signor Dorell inglese, ma buon cattolico, che anticamente gli increduli andavano sconosciuti, per non esser trattati da empj e da sciocchi; e se erano infetti di errori contro la fede, almeno non ardivano di comparir tali; ma gl'increduli moderni si dichiarano tali alla svelata, e si vantano di giudicar liberamente della divinità e della religione, per acquistarsi il nome di spiriti forti e spregiudicati. Con che pretendono di togliere ogni legge ed ogni regola di vivere. Poiché tolta la credenza di un Dio rimuneratore del bene e punitore del male, ed abolite le leggi della religione, diventa l'uomo simile, anzi peggiore de' bruti, il senso padron della ragione, l'onesto guidato dal piacere; il giusto dall'interesse, e l'onore dalla vendetta: si rende in somma lodevole ogni vizio, purché apparisca colla sembianza d'utile o dilettevole. Udiamo inoltre ciò che scrisse Edmondo Gibson vescovo di Londra in una sua lettera pastorale contro i libri degl'increduli moderni (raccolgo qui solo alcuni de' suoi sentimenti): Quai lacci non si tendono all'innocenza! Quali bestemmie contro Dio! Sembra che questa gran città sia la piazza delle irreligioni, ove si compra a prezzo d'oro l'arte di corrompere i costumi. Tra l'empietà e la rilassatezza vi è troppo grande vicinanza. L'esperienza ci mostra che quei che vivono senza timore del futuro, si abbandonano alle passioni più scellerate; e che chi non ha riguardo a Dio, neppure l'avrà per gli uomini. Si è giunto sino alla brutalità ec. Non contenti di corromper se stessi, cercano la corruzione degli altri. Non si ha avuto rossore di esporre agli occhi del popolo i bagni pubblici, con pitture le più laide e turpi. Qual più funesto esempio della situazion deplorabile, in cui ci troviamo!

4. Ecco il gran danno che porta seco l'iniqua libertà di pensare, la quale secondo il moderno modo di filosofare regna nel secolo presente, ed è cagione della ruina di molti poveri giovani, che, spinti dalla curiosità d'intendere cose nuove, leggono tai libri; ma, non sapendo poi sbrigarsi da qualche sofisma che leggendo ivi incontrano, cominciano a vacillar nella fede, ed indi, abbandonandosi a' vizj, vengono vieppiù ad accecarsi. Ma quale audacia ed empietà è questa, voler mettere a confronto dubbj nati dalle nostre deboli menti colle verità rivelate da un Dio infallibile, ch'è la verità per essenza? E far combattere la ragione colla fede? Vuole bensì il Signore che noi facciamo uso del nostro discorso; ma non già per comprendere la ragione di tutto ciò che egli ci ha rivelato, ma solo per credere con certezza ch'egli è quello che ha parlato. Posto dunque che noi ci siamo accertati che le cose proposteci a credere sono state dette da Dio, bisogna che sottomettiamo la ragione alla fede, credendo sulla parola divina tutte quelle cose che ci propone la fede a credere, benché da noi non si comprendano, non già perché siano alla ragione opposte, ma perché sono superiori alla nostra ragione.

5. Bisogna dunque distinguere, per non errare, la verità della fede dalle cose della fede. La verità della fede è manifesta alla nostra ragion naturale, ma non già le cose della fede. Perciò ella si chiama luce tra le tenebre; mentr'ella è insieme oscura e chiara. È oscura, perché c'insegna cose che noi non vediamo e non comprendiamo; onde l'apostolo chiama la fede Argumentum non apparentium1. Ciò conveniva così all'onor divino, come al nostro bene. Conveniva all'onor divino che l'uomo non solamente soggettasse a Dio la sua volontà coll'ubbidire ai suoi precetti, ma anche l'intelletto col credere a' suoi detti. Qual onore darebbe l'uomo a Dio, se credesse le sole cose che vede e comprende? Ma ben l'onora col credere quello che non vede e non comprende; e credendo tutto non per altra ragione, se non perché Iddio l'ha detto. Il qual motivo per altro fa che la certezza degli oggetti della fede, benché nella vita presente sieno a noi nascosti, superi la certezza di tutte le cose che vediamo cogli occhi, e di tutte le verità che conosciamo colle nostre menti; attesoché queste verità che conosciamo, noi non le apprendiamo se non per mezzo de' sensi, che spesso c'ingannano, o per mezzo de' nostri intelletti, secondo cui spesso noi c'inganniamo; ma le verità della fede vengono a noi manifestate da Dio, che non può ingannarsi, né può ingannare.

6. Conveniva ancora al nostro bene che le cose della fede fossero a noi oscure; perché se fossero evidenti, non vi sarebbe in noi elezione in crederle, ma necessità; sicché nel darvi il nostro assenso, non avremmo alcun merito; il quale consiste nel credere, non per necessità, ma volontariamente cose che non comprendiamo.Fides amittit meritum, scrisse s. Gregorio, cum humana ratio praebet experimentum. E perciò disse il nostro Salvatore: Beati qui non viderunt, et crediderunt1.

7. È chiara all'incontro la nostra fede, perché sono così evidenti i contrassegni della sua credibilità, che, come diceva il gran Pico della Mirandola, non solo è imprudenza, ma è pazzia il non volerla abbracciare: pazzia ed empietà, poiché per non credere si ha da resistere agli stessi lumi della natura. Testimonia tua, Davide cantò, credibilia facta sunt nimis2. E qui si ammira la divina provvidenza in aver disposto che da una parte le verità della fede sieno a noi nascoste, affinché meritiamo nel crederle; e dall'altra parte i motivi di credere ch'ella sia l'unica vera fede, sieno evidenti, affinché gl'increduli non abbiano scusa, se non vogliono seguirla.Qui vero non crediderit, condemnabitur3. Onde disse Ugone di s. Vittore: Iuste et fidelibus pro fide datur praemium, et infidelibus pro infidelitate supplicium. La ragione umana dunque è quella, dice un dotto autore, che prende l'uomo quasi per mano, e l'introduce nel santuario della fede, e, fermandosi alla soglia, lo consegna alla scuola della religione; ella non parla più, ma solamente gli dice: udite ora le lezioni di una maestra più eccellente di me; da qui innanzi ascoltate lei sola, e non cercate più a me consiglio, acquietandovi a quanto essa vi dice. Sicché la ragione esamina, prima di credere, a chi debba credere; ma quando poi si è accertata del maestro a cui dee credere, crede, e più non esamina. La ragione altro non discute, se non le prove della veracità del rivelante e della verità della rivelazione; ma, appurate le prove, più non discute le cose rivelate, ma ella stessa esorta di credere a colui che le ha rivelate.

8. Ma il punto sta che l'infedeltà della mente per lo più è castigo dell'infedeltà del cuore depravato da' vizj, e specialmente dalla superbia o dall'impudicizia. Per seguire in pratica le regole della religione, non basta persuadersi ch'ella sia vera; bisogna di più amarla. L'amore unito colla fede è quello che fa operare. Dicea s. Agostino: Non faciunt bonos et malos mores, nisi boni et mali amores.

9. E qui bisogna avvertire che l'uomo difficilmente ama un oggetto che lo rende infelice. All'incontro volentieri ama quello da cui la sua felicità dipende, e per quello facilmente rinunzia all'amore d'ogni altra cosa. Il demonio dipinge la religione cattolica come una religion tiranna che impone ai suoi seguaci fatiche e pene, e vieta loro il soddisfare alcun desiderio, obbligandoli a contraddire sempre a se stessi. Ma qui bisogna toglier l'inganno. Si oppone è vero la religione a' desiderj de' beni apparenti e falsi, ma non a' desiderj del bene vero; che anzi tutto fa per contentarli. Ella ci comanda di amar solamente Iddio, che solo può renderci felici, e contentare i desiderj del nostro cuore: Delectare in Domino, et dabit tibi petitiones cordis tui4. Onde graziosamente scrive s. Agostino5Purga amorem tuum, aquam fluentem in cloacam converte ad hortum. Viene a dire, togli l'affetto dalle creature, e dallo a Dio, e così sarai appieno felice.

10. Non è tiranna, no, la religione; ella ci sottrae dalla schiavitù de' sensi e delle passioni, facendoci accorti che noi siamo più nobili di que' miseri beni che desidera il senso. Voi cercate, ne dice, la vostra felicità? Cercatela, ma cercatela ove si trova. Cercate voi beni? Cercate quell'uno bene che contiene tutti i beni. Volete voi esser beati per sempre, o solo per pochi giorni? Volete un gaudio che vi sazj e contenti per tutta l'eternità; o pure un vil diletto che appena avuto sparisce, e vi lascia il cuore pieno di fiele? Volete voi il vero onore che vi rende stimabile presso tutto il mondo; oppure un fumo di falso onore di alcuni pochi, che esternamente vi lodano, ma internamente vi disprezzano? Voi dite che non è consiglio lasciare il bene presente per avere un bene futuro, ed evitare un futuro male; ma cambiereste voi un regno futuro, per avere un quattrino presente? Ed accettereste cinquanta anni di carcere per un'ora di spasso?

11. Pensate forse che i beni presenti possono rendervi appieno contento? Domandate a' mondani se vivono contenti co' beni di questo mondo. E dimandate poi agli amanti di Dio se vivono scontenti col viver distaccati dai beni terreni. Quelli vi diranno che non han momento di pace, e che non han provato mai vero contento. Questi vi diranno che, avendo trovato Dio, non hanno più che desiderare in questa vita; e che, se penano qui, le stesse pene ad essi sono care; mentre con quelle rendonsi più graditi all'amato loro Signore, e si fan meritevoli di maggior gaudio ne' secoli eterni. I poveri mondani vivono sempre con mille timori di molte disgrazie che quaggiù posson loro avvenire. Chi ama Dio, non teme di niente; altra disgrazia non teme che di peccare: l'unico suo timore è di dar disgusto a Dio; ma perché confida nella di lui bontà, vive sempre in pace. Venite dunque meco, dice la religione, ch'io vi condurrò per una via, aspra bensì agli occhi di carne, ma dolce ed amabile alle anime buone; e non vi lascierò, finché non vedrovvi entrati nel gaudio di quel Dio, ch'è il fonte d'ogni contento.

12. Sicché la religione non ci comanda che d'esser per sempre felici, ed altro non ci proibisce che di renderci per sempre miseri: ci comanda di acquistarci una beatitudine eterna, e ci vieta di cadere in un eterno tormento. E nel comandarci di amare Dio con tutto il nostro cuore, ci comanda d'esser felici in questa e nell'altra vita. Iddio è il nostro ultimo fine, e in ciò consiste tutto il nostro bene; sicché, amando Dio, noi amiamo colui che sol può renderci contenti. Egli vuole che non amiamo altra cosa fuori di lui, facendoci sapere che fuori di lui niuno oggetto può contentarci. Egli vuole tutto il nostro cuore, anche perché ci desidera appieno beati. Quanto di amore diamo alle creature, tanto perdiamo di felicità. Sicché il precetto di amar Dio con tutto il cuore forma la nostra piena beatitudine.

13. È inganno dunque il credere che le nostre inclinazioni sieno noi stessi, sì che il contentare le nostre passioni sia lo stesso che procurare il nostro bene. Tutto è inganno. Ditemi: non sarebbe inganno se un infermo eleggesse quel medico che gli concede tutto ciò che piace al senso, ma nuoce alla sanità; oppure lasciasse di tagliargli la postema che lo porta alla morte, per non dargli quella breve pena? Bisogna persuadersi che i nostri appetiti non sono noi, ma son nemici di noi. Il contentare i nostri sensi è lo stesso che condannarci da noi medesimi alla morte. Ah che l'esperienza troppo fa vedere che i beni del mondo non possono contentare il nostro cuore; anzi quanti più sono, più lo lascian famelico ed afflitto! E questo è tra gli altri un argomento della nostra fede, che è Dio il nostro ultimo fine, il vedere che l'uomo in questa terra, per quanto abbondi di ricchezze, di piaceri, di onori, sempre più ne ambisce, e non mai sta contento. Dunque è segno che l'uomo è creato per un bene infinito, che contenta appieno non solo i sensi del corpo, ma anche le potenze dell'anima; e questo bene non può essere altro che Dio, il quale è l'ultimo fine, per cui è creato l'uomo; altrimenti se l'uomo fosse creato per la terra, ben lo renderebbero contento i beni terreni, come già contentano i bruti, che solo per questa terra son fatti. All'incontro dimandiamo ad un s. Paolo eremita nella sua grotta, ad un s. Francesco d'Assisi nel monte di Alvernia, ad una s. Maria Maddalena de' Pazzi nel suo monastero, se desiderano niente di questo mondo; che tutti ci risponderanno: niente, niente; vogliamo solo Dio e niente più. Ma udiamo ancora un s. Agostino, che un tempo fu immerso ne' piaceri del mondo. Che dice egli quando poi distaccato da quelli si è dato a Dio? Ecco quel che confessa: Dura sunt omnia, et tu solus requies. Dio mio, dice, fuori di voi ogni cosa è pena, voi solo siete la vera pace, il vero contento.

14. Dirà taluno: io ben conosco la verità che tutta la pace sta nell'amare Dio; ma che ho da fare, se non mi sento tirare a questo santo amore? Per esservi tirato vi dico esser necessario che discacciate dal cuore gli affetti di terra, altrimenti non può entrarvi l'amor divino. Ed indi bisogna pregare e cercare a Dio stesso quest'amore: Trahe me post te in odorem unguentorum tuorum. Chi ricerca a Dio la grazia d'amarlo con vero desiderio e perseveranza, ben egli l'esaudirà; e ben saprà poi compensarlo abbondantemente anche in questa terra di tutto ciò che ha lasciato per lui. Dicea s. Agostino: Quam suave mihi subito factum est carere suavitatibus nugarum! et quas amittere metus fuerat, iam dimittere gaudium erat. Eiicebas enim eas a me, vera tu et summa suavitas, eiicebas, et intrabas pro eis omni voluptate dulcior: Per ultimo dice Davide: Gustate et videte quoniam suavis est Dominus1. Oh Dio! Perché taluno disprezza la vita santa, unita con Dio, se ancora non l'ha gustata? La gusti prima, e poi la disprezzi; ma se giunge a gustarla, certamente non più la disprezzerà.

15. La digressione fatta serva a noi per ringraziar Iddio del dono fattoci della vera fede, e per compatire all'incontro la pazzia di quegli spiriti forti che, vivendo immersi nel lezzo de' vizj, cercano di liberarsi dai rimorsi della coscienza collo studiare di rimuovere dalla loro mente la credenza di un Dio punitore de' viziosi. Si lusinghino quanto vogliono per credere che non ci sia Iddio; facciansi pure ogni forza per vivere, come dicono, spregiudicati dalle massime eterne; che la coscienza non cesserà mai nel loro cuore di latrare contro d'essi sino alla morte, dove i rimorsi si faran sentire più forti, ed in vita non troveranno mai la vera pace, ch'è privilegio solamente de' fedeli che credono ed amano Dio.

16. Bestemmia Lucrezio dicendo che il suo Epicuro, togliendo di mezzo l'esistenza di Dio, ha sgombrati i terrori dagli animi de' malvagi: onde parla così col suo maestro:
Nam simul ac ratio tua coepit vociferari,
Naturam rerum haud divina mente coortam,
Diffugiunt animi terrores.
Ma egli stesso Lucrezio, come trovò questa pace, se l'infelice (come riferisce nelle note del poema di Racine), per non poter più soffrire il tormento della sua coscienza e lo spavento della divina vendetta, volontariamente si uccise nell'età di 44 anni2?
E il suo traduttore M. Clerc in Inghilterra, anticipò il suo fine, perché s'impiccò in età d'anni 40. Scrive lo stesso Bayle (compagno fedele di Lucrezio) il quale, impugnando nelle sue opere tutte le religioni, così la vera (qual'è la cristiana) come le false, si affatica a mettere in dubbio ogni cosa di fede, acciocché non si creda più niente; scrive, dico, che Caligola, Nerone e simili mostri in mezzo alle loro scelleraggini talvolta urlavano per il terrore che dentro se stessi provavano al pensiero che vi sia l'eterno giudice punitore degli empj. Il dotto ed erudito p. Valsecchi nella sua celebre opera ultimamente data alla luce, intitolata: De' fondamenti della religione ecc. (dalla quale confesso di aver presi molti lumi) porta nel libro 1. cap. 10. num. 4. che a tempo di Enrico il grande certi libertini diceano: E non sarà possibile, o preti, che vogliate accordarci o che non vi sia peccato al mondo, e che Dio ci permetta di far quanto piace, o pure che possiamo dire che non vi sia Dio? Almeno cessate d'intorbidirci il riposo avanti la morte, qual è la dimenticanza di questa verità. Ma risponde un teologo al libertino che ciò dicea: Non è la nostra voce che v'inquieta; sono le grida ch'escono da tutte le parti del mondo, e v'intimano che vi è un Dio, il quale conosce i vostri pensieri e le vostre azioni. Sicché la base della miscredenza di questi empj, che si affaticano ne' tempi presenti a cacciar fuori tanti libri avvelenati, è l'ansia di poter fare ogni male senza rimorso e senza timore. Si conceda a costoro, dice il p. Valsecchi, d'essere impunemente malvagi, e tosto cessano di scrivere, e per fin di parlare contro la religione.

17. Ma veniamo a dar notizia dell'opera. Qui per altro non intendiamo di parlare a coloro che han bisogno di esaminar le prove della fede per abbracciarla, ma parliamo a chi già crede, affinché si consoli nella sua credenza, e ne renda grazie a quel Signore che ne l'ha fatto degno. Le prove nondimeno che qui si addurranno contro il materialismo e deismo (errori che oggi regnano e scorrono più degli altri per le regioni non solo eretiche, ma anche cattoliche) sono più che sufficienti a convincere ogni settario ch'egli va errato, e sta fuori della via della salute. Nella prima parte dunque si addurranno le prove dell'esistenza di Dio contro i materialisti, confutandosi il loro falso sistema della materia eterna. Nella seconda parte poi si proverà contro i deisti la verità della nostra religione rivelata. E nella terza parte finalmente si proverà contro tutti gl'infedeli ed eretici che la sola nostra religione cattolica è l'unica vera. Ma perché non si possono convincere gli ateisti, che negano Dio, colla verità della rivelazione divina, se prima non si dimostra loro esservi un Dio rivelante, perciò la prima parte sarà tutta impiegata in dimostrare l'esistenza di Dio.

18. Io so bene che sopra questa materia sono usciti molti libri dotti ed anche voluminosi il più tomi; ma io per desiderio di giovare al pubblico ho pensato di raccogliere da tali opere, quanto ho potuto in breve, le notizie più utili e le ragioni più convincenti a confondere le fallacie scritte da questi increduli, ed ho procurato di restringer tutto in questo libro; acciocché quelli che o non possono spendere per provvedersi delle opere grandi, o pure non han tempo di leggerle, possano qui trovare la notizia degli errori che oggidì scorrono per l'Europa, e dalle provincie oltramontane entrano per nostra disgrazia a disseminarsi anche per la nostra Italia; e trovare insieme le risposte che vi sono ai sofismi dei miscredenti.

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1 Pietro Bayle della religion pretesa riformata nacque in Carlat piccola città della contea di Foix a' 18. di novembre 1647. da Guglielmo Bayle ministro del paese. In età di 22. anni, per insinuazione del curato Buylaurens, ov'egli studiava, si fece cattolico, ma non durò tale che per 17. mesi, e ritornò ad esser protestante. Indi si ritirò in Ginevra per l'editto del re, che non permettea di fermarsi i Francia a' ricaduti nell'eresia. Con tutto ciò andò in Parigi, ed appresso ottenne la cattedra di filosofia di Sedano; ma poco vi dimorò, perché quell'accademia fu soppressa dal re; il che l'obbligò a rifugiarsi in Olanda, ove lesse filosofia e storia in Roterdam colla pensione di 500. fiorini. Ma avendo ivi dato fuori il libro Avviso a' rifugiati, per opera del signor Iurieu, che impugnò il libro come contrario alla religione, fu spogliato del suo impiego. Bayle ebbe dell'erudizione; ma esso stesso confessa che non somministra a' dotti, in ciò che scrive, se non combinazioni indigeste e molto crude. Ed avesse voluto Dio che non avesse mai scritto! Mentre i suoi libri han prodotto molto danno tra' cristiani. Egli morì nell'anno 1706. ai 28. di dicembre, in età d'anni 59. Scrisse molte opere, delle quali non occorre qui far menzione. Difese la sua religione pretesa riformata ne' suoi Trattenimenti di Massimo e Temisto, i quali non comparvero che nel 1707. dopo la sua morte. Ma l'opera sua più nociva e pestifera fu ilDizionario Storico Critico, la di cui prima edizione comparve nel 1696. Ivi molto favorì le ragioni de' Manichei, trattando dell'origine del male. Ma il sistema da lui più favorito e sparso in tutta l'opera fu il Pirronismo.

1 Hebr. 11. 1.

1 Ioan. 20. 29.

2 Ps. 92. 5.

3 Marc. 16. 16.

4 Psal. 36. 4.

5 In psal. 36. 4.

1 Psal. 33. 9.

2 Lucrezio poeta latino nacque da una famiglia romana antica e celebre. Portasi esser andato a studiare in Atene, ove, per quanto apparisce, fu discepolo di Zenone e di Fedro epicurei, ed alla loro setta si unì. Egli fu lodato da Cicerone e da Velleio pel suo sapere e la sua eloquenza. Ovidio scrisse di lui (l. 1. de Arte amandi Eleg. 15. ) così:

Carmina sublimis tunc sunt peritura Lucreti,
Exitio terras cum dabit una dies.
Morì nell'età di 43. o 44. anni di una mania che gli fu cagionata da un filtro amoroso datogli da Lucilia sua moglie, che smoderatamente l'amava. Negl'intervalli di questa sua infermità compose i suoi pestiferi libri della Natura delle cose, e questi solamente di lui ci son rimasti. Portano più autori che si uccise da lui stesso; così scrivono Vossio e Bayle da Scaligero e Gassendo. Si aggiunga alla morte di Lucrezio la morte infelice del celebre e scellerato Vanini, chiamato da Bayle inclito martire dell'ateismo, il quale (come riferisce il Grammont lib. 3. ) fu preso in Tolosa di Francia per sua miscredenza. Avendo egli finto di farsi cattolico, si differì il castigo; ma scopertasi la sua finzione, fu condannato a morte, alla quale andò il misero tutto agitato dalla smania, e così morì da disperato e da bruto. Ecco qual è la vita e la morte di coloro che si vantano di non credere né a Dio, né all'eternità.

martedì 25 gennaio 2011

La Città di Dio - VII parte

Riprendiamo la lettura dell'opera di Sant'Agostino nota come "La città di Dio". Sant'Agostino oggi si sofferma sulla questione funebre, cioè sulla questione dei cadaveri. E' una materia che molti la taccerebbero come macabra, ma è una realtà che ai tempi suscitava paura. Sì, paura che i corpi distrutti e non seppelliti ( in tempo di guerra molti corpi rimanevano senza esser seppelliti) non avrebbero potuto esser poi resuscitati. Ma Sant'Agostino spiana la strada da ogni dubbio ricordando le parole di Gesù quando disse che non erano da temere coloro che avevano potere sul corpo, ma solo colui che aveva potere sull'anima! Vediamo anche Sant'Agostino apprezzare le pratiche funebri, senza però ritenerle necessarie:


12. 1. Inoltre, dicono, in una strage così grande non si poté seppellire i cadaveri 38. Ma la fede sincera neanche di questo si preoccupa eccessivamente perché ricorda che le bestie divoratrici non impediranno che risorgano i corpi, di cui non andrà perduto neanche un capello 39. La Verità stessa non avrebbe detto: Non temete coloro che uccidono il corpo ma non possono uccidere l'anima 40, se nuocesse alla vita futura ciò che i nemici hanno deciso di fare dei corpi degli uccisi. A meno che un tizio sia tanto irragionevole da sostenere che coloro i quali uccidono il corpo non si devono temere che prima della morte uccidano il corpo, ma si devono temere che dopo la morte non lascino inumare il corpo ucciso. È falso allora, se hanno tanto potere da esercitare sui cadaveri, ciò che ha detto il Cristo: Essi uccidono il corpo ma dopo non possono fare altro 41. Ma è impossibile che sia falso ciò che la Verità ha detto. È stato detto appunto che fanno qualche cosa quando uccidono perché vi è sensibilità nel corpo da uccidere, ma poi non hanno che fare perché non vi è sensibilità nel corpo ucciso. La terra dunque non ha ricoperto molti corpi dei cristiani. Nessuno però ha posto fuori del cielo e della terra alcuno di loro, giacché li riempie con la presenza di sé colui che sa da che cosa risuscitare ciò che ha creato. Si dice nel salmo: Han posto i cadaveri dei tuoi servi come cibo agli uccelli del cielo e le carni dei tuoi santi alle belve della terra; hanno versato come acqua il loro sangue alla periferia di Gerusalemme e non vi era chi li seppellisse 42. Ma è stato detto più per evidenziare la crudeltà di coloro i quali compirono tali azioni che la mala sorte di coloro i quali le subirono. E sebbene agli occhi degli uomini questi fatti siano intollerabili e atroci, tuttavia preziosa alla presenza del Signore è la morte dei suoi santi 43. Pertanto tutte queste cose, e cioè la preparazione del funerale, l'allestimento della tomba, la parata del corteo funebre sono più una consolazione per i superstiti che aiuto per i trapassati 44. Se giovasse in qualche modo al miscredente una tomba lussuosa, nuocerebbe al credente una povera o inesistente. Una moltitudine di servi allestì al ricco coperto di porpora un solenne corteo funebre davanti agli uomini, ma ne offrì dinanzi a Dio uno molto più solenne al povero coperto di piaghe il servizio degli angeli che non lo depositarono in un mausoleo di marmo ma fra le braccia di Abramo 45.

12. 2. Gli individui, contro cui abbiamo inteso di difendere la città di Dio, scherniscono questi pensieri. Ma anche i loro filosofi hanno disdegnato l'allestimento della tomba 46. E spesso non si preoccuparono dove rimanessero o di quali bestie divenissero cibo i soldati di tutto un esercito, quando morivano per la patria terrena. In proposito i poeti poterono dire a titolo d'encomio: È coperto dal cielo chi non ha un'urna 47. A più forte ragione non debbono motteggiare i cristiani a causa dei corpi non sepolti. Ad essi si promette una nuova forma della carne e delle singole membra che nell'attimo indivisibile di tempo 48 dovrà essere restituita e rinnovata non solo dalla terra ma anche dalla più intima struttura degli altri elementi in cui sono tornati i cadaveri decomposti.

13. Non per questo si devono abbandonare e trascurare i corpi dei morti, soprattutto dei giusti che avevano la fede, perché di essi l'anima razionale si è servita santamente come di strumenti e mezzi per tutte le opere buone. Se infatti la veste e l'anello di un padre o altro oggetto simile è tanto più caro ai figli quanto è maggiore l'affetto verso i genitori, per nessun motivo si deve trascurare il corpo che portiamo certamente in una più intima unione di qualsiasi vestito. Esso non concerne un ornamento o arnese che s'impiega fuori di noi ma la stessa natura umana. Per questo anche i funerali degli antichi giusti furono preparati con doveroso rispetto, celebrate le esequie, provveduta la tomba ed essi stessi, mentre ancor vivevano avevano dato disposizioni ai figli su la tumulazione ed anche il trasferimento del proprio corpo 49. Anche Tobia per dichiarazione di un angelo è elogiato per aver meritato presso Dio col seppellire i morti 50. Lo stesso Signore che doveva risorgere al terzo giorno elogia l'opera buona di una donna pietosa e la elogia come un fatto da ricordarsi perché ha versato un unguento prezioso sopra le sue membra e lo ha fatto per rispetto al suo corpo da seppellire 51. Nel Vangelo con lode si ricordano coloro che con diligente ossequio si presero cura di coprire e tumulare il suo corpo staccato dalla croce 52. Tuttavia questi testi biblici non sostengono che vi sia sensibilità nei cadaveri ma indicano, per affermare la fede nella risurrezione, che anche il corpo dei morti rientra nella provvidenza divina la quale dispone anche tali doveri di umanità. Se ne deduce salutarmente quale possa essere il merito delle elemosine che si danno per uomini che vivono e sentono, se davanti a Dio non è perduto neanche ciò che si dà di doverosa cura alle membra esanimi degli uomini. Vi sono anche altre indicazioni che i santi patriarchi diedero in relazione all'inumazione e trasferimento del proprio corpo e vollero far intendere che erano state dette per ispirazione profetica 53. Ma non è qui il luogo di trattarne a lungo. Basta ciò che è stato detto. Ed anche se le cose necessarie per la sopravvivenza, come vitto e vestiario, possono venire a mancare, sia pure con grave disagio, tuttavia non fiaccano nei buoni la virtù del pazientare e sopportare e non strappano dallo spirito la pietà ma la rendono più viva esercitandola. A più forte ragione dunque, quando mancano i mezzi che di solito si usano per preparare i funerali e tumulare i cadaveri, la mancanza non rende infelici individui già in pace nelle invisibili dimore degli spiriti credenti. E per questo se sono mancati i funerali ai cadaveri dei cristiani nel saccheggio della grande Roma e anche di altri paesi, non è né colpa dei vivi che non han potuto offrirli, né pena dei morti che non possono sentire tale mancanza.