martedì 22 marzo 2011

La Città di Dio - X parte

Riprendiamo la lettura dell'opera di Sant'Agostino nota come "La città di Dio". Il pensiero odierno è tutto incentrato sulla difesa della cristianità in mezzo ad un popolo consacrato a dei inesistenti e profani. Ciò che a noi più interessa è vedere come il pensiero agostiniano può facilmente esser trasfuso ai giorni nostri: basta sostituire i cultori di dei pagani con i cultori dell'ateismo e di ogni forma di allontanamento da Dio. Anche oggi, infatti, ciò che spinge l'uomo a non credere nel messaggio evangelico è pur sempre la ricerca del benessere, del potere, della ricchezza e del piacere egoistico. Fintantoché l'uomo sarà attirato da questi mali, non potrà mai vedere Dio né il vero significato della vita terrena che altro non è se un pellegrinaggio di preparazione per l'eternità di cui Gesù ci ha resi partecipi:

29. Dunque tutta la servitù del sommo e vero Dio ha il suo conforto non menzognero e non fondato sulla speranza di cose incerte o caduche; ha anche la stessa vita terrena che non si deve affatto avere in uggia perché in essa la servitù stessa è educata alla vita eterna. Come esule inoltre usa senza rendersene schiava dei beni terreni ed è o provata o purificata dai mali. Ma alcuni insultano la sua moralità e le dicono, quando eventualmente incorre in determinate sciagure temporali: Dov'è il tuo Dio? 88. Dicano loro piuttosto dove sono i loro dèi quando subiscono tali sventure giacché li onorano e si affaticano a farli onorare proprio per evitarle. Essa può rispondere: "Il mio Dio è presente in ogni luogo, tutto in ogni luogo, non limitato nello spazio perché può esser presente senza rivelarsi, assente senza muoversi. Quando mi sprona con le avversità, o soppesa i meriti o punisce i peccati e mi riserva una ricompensa eterna in cambio dei mali temporali religiosamente sopportati. Ma voi chi siete ché si debba parlar con voi per lo meno dei vostri dèi e tanto meno del mio Dio? Egli infatti è terribile su tutti gli dèi perché tutti gli dèi dei pagani sono demoni, il Signore invece ha creato i cieli 89".

30. Se vivesse il celebre Scipione Nasica, già vostro pontefice, che sotto la paura della guerra punica il senato, giacché si richiedeva un'ottima persona, elesse all'unanimità per accogliere gli dèi della Frigia 90 e che voi non ardireste di guardare in faccia, egli vi frenerebbe da questa vostra sfrontatezza. Perché afflitti dalle avversità vi lamentate della civiltà cristiana? Soltanto perché volete mantenere la vostra dissolutezza e andare alla deriva con costumi pervertiti senza sentire l'asprezza delle difficoltà. Infatti non desiderate avere la pace e abbondare di ricchezze per usar rettamente di questi beni, cioè con moderazione, sobrietà, temperanza e religiosità ma per procurarvi una varietà illimitata di piaceri con sperperi pazzeschi e per far sorgere con la prosperità quei mali nel costume che sono peggiori della crudeltà dei nemici. Ma Scipione, vostro pontefice massimo, quella persona ottima per giudizio di tutto il senato, temendo per voi questa sventura, non voleva che fosse distrutta Cartagine, allora emula della dominazione romana, e si opponeva a Catone il quale sosteneva che doveva essere distrutta 91. Scipione temeva che la sicurezza fosse nemica di animi deboli e pensava che la paura è indispensabile come idoneo tutore di cittadini, per dir così, minorenni. E non s'ingannava. I fatti provarono che aveva ragione. Cartagine fu distrutta, cioè fu allontanata e dissolta la grande paura dello Stato romano. E immediatamente seguirono mali molto gravi originati dal benessere. Infatti fu gravemente lacerata la concordia dapprima a causa di crudeli e sanguinose sedizioni, e subito dopo, data la congiuntura d'infauste circostanze, a causa anche di guerre civili furono compiute grandi stragi, fu versato molto sangue e si accese una sfrenata crudeltà per la cupidigia di confische e rapine. Così quei Romani che a causa di una vita più morale temevano mali dai nemici, essendo venuta a mancare la moralità pubblica, ne dovettero subire più crudeli dai concittadini. E la passione del dominio, che fra i tanti vizi del genere umano si era manifestata più mite nell'intero popolo romano, avendo trionfato in pochi più potenti, domò col giogo della schiavitù anche gli altri dopo averli messi a terra senza più forze.

31. E come poteva quietarsi in animi tanto superbi finché con cariche perpetue non fosse giunta al potere monarchico? Ma non si darebbe l'accesso a cariche perpetue se l'ambizione non prevalesse. E l'ambizione può prevalere soltanto in un popolo corrotto dall'amore alle ricchezze e al piacere. E il popolo fu reso dall'eccessivo benessere amante delle ricchezze e del piacere. Per questo Nasica con molta saggezza riteneva che l'eccessivo benessere si dovesse evitare, giacché non voleva che la città nemica più grande, forte e ricca fosse distrutta. Così la passione era inibita dal timore, la passione inibita non portava all'amore del piacere e frenato l'amore al piacere, neanche l'amore alle ricchezze infierisse. Con l'impedir questi vizi sarebbe nata e cresciuta una virtù vantaggiosa per lo Stato e sarebbe rimasta la libertà corrispondente a quella virtù. Da questo fatto anche e da un prudente amor di patria derivò che il sopra ricordato vostro sommo pontefice, eletto, è opportuno ripeterlo, dal senato di quel tempo con votazione unanime alla più alta carica, trattenne il senato, che aveva deciso di costruire la gradinata del teatro, da questo provvedimento e dalla speculazione. Con autorevole discorso li indusse a non tollerare che la depravazione greca s'insinuasse nella virile moralità della patria e si consentisse alla frivolezza straniera di scuotere e svigorire il valore romano. Ebbe tanta influenza con la sua autorità che il consiglio senatoriale, mosso dalle sue parole, proibì perfino che in seguito si disponessero i sedili che, ammucchiati per l'occasione, la cittadinanza aveva già cominciato ad usare per lo spettacolo 92. Con quale ardore egli avrebbe eliminato da Roma perfino le rappresentazioni teatrali, se avesse ardito resistere all'autorità di quelli che riconosceva come dèi, di cui non pensava che fossero demoni malefici o, se lo pensava, riteneva che si dovessero piuttosto placare che disprezzare. Infatti non era stata ancora rivelata ai pagani l'altissima dottrina che purificando il cuore con la fede volgesse l'umano sentimento mediante la pietà terrena a raggiungere le cose celesti e anche sopracelesti e lo liberasse dal dominio di demoni superbi.
 

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