lunedì 11 aprile 2011

I Proverbi - Trentesimo appuntamento

Anche per questo lunedì torna l'appuntamento con Il Libro dei Proverbi. Il capitolo di oggi precede l'ultimo che leggeremo la prossima settimana. Quello odierno riporta i detti di un tale Agùr, figlio di un certo Iakè della città di Massa. Le ricerche effettuate dimostrano come sia difficile risalire all'autore del seguente capitolo. Forse di Agùr si conosce solo la sua saggezza, mentre la sua storia è rimasta forse del tutto sconosciuta. Ma ora lasciamo la parola alla saggezza di quest'uomo:


30

1Detti di Agùr figlio di Iakè, da Massa.
Dice quest'uomo: Sono stanco, o Dio,
sono stanco, o Dio, e vengo meno,
2perché io sono il più ignorante degli uomini
e non ho intelligenza umana;
3non ho imparato la sapienza
e ignoro la scienza del Santo.
4Chi è salito al cielo e ne è sceso?
Chi ha raccolto il vento nel suo pugno?
Chi ha racchiuso le acque nel suo mantello?
Chi ha fissato tutti i confini della terra?
Come si chiama? Qual è il nome di suo figlio, se lo sai?
5Ogni parola di Dio è appurata;
egli è uno scudo per chi ricorre a lui.
6Non aggiungere nulla alle sue parole,
perché non ti riprenda e tu sia trovato bugiardo.
7Io ti domando due cose,
non negarmele prima che io muoia:
8tieni lontano da me falsità e menzogna,
non darmi né povertà né ricchezza;
ma fammi avere il cibo necessario,
9perché, una volta sazio, io non ti rinneghi
e dica: "Chi è il Signore?",
oppure, ridotto all'indigenza, non rubi
e profani il nome del mio Dio.
10Non calunniare lo schiavo presso il padrone,
perché egli non ti maledica e tu non ne porti la pena.
11C'è gente che maledice suo padre
e non benedice sua madre.
12C'è gente che si crede pura,
ma non si è lavata della sua lordura.
13C'è gente dagli occhi così alteri
e dalle ciglia così altezzose!
14C'è gente i cui denti sono spade
e i cui molari sono coltelli,
per divorare gli umili eliminandoli dalla terra
e i poveri in mezzo agli uomini.

15La sanguisuga ha due figlie: "Dammi! Dammi!".
Tre cose non si saziano mai,
anzi quattro non dicono mai: "Basta!":
16gli inferi, il grembo sterile,
la terra mai sazia d'acqua
e il fuoco che mai dice: "Basta!".
17L'occhio che guarda con scherno il padre
e disprezza l'obbedienza alla madre
sia cavato dai corvi della valle
e divorato dagli aquilotti.
18Tre cose mi sono difficili,
anzi quattro, che io non comprendo:
19il sentiero dell'aquila nell'aria,
il sentiero del serpente sulla roccia,
il sentiero della nave in alto mare,
il sentiero dell'uomo in una giovane.
20Tale è la condotta della donna adultera:
mangia e si pulisce la bocca
e dice: "Non ho fatto niente di male!".
21Per tre cose freme la terra,
anzi quattro cose non può sopportare:
22uno schiavo che diventi re,
uno stolto che abbia viveri in abbondanza,
23una donna già trascurata da tutti che trovi marito
e una schiava che prenda il posto della padrona.
24Quattro esseri sono fra le cose più piccole della terra,
eppure sono i più saggi dei saggi:
25le formiche, popolo senza forza,
che si provvedono il cibo durante l'estate;
26gli iràci, popolo imbelle,
ma che hanno la tana sulle rupi;
27le cavallette, che non hanno un re,
eppure marciano tutte insieme schierate;
28la lucertola, che si può prender con le mani,
ma penetra anche nei palazzi dei re.
29Tre esseri hanno un portamento maestoso,
anzi quattro sono eleganti nel camminare:
30il leone, il più forte degli animali,
che non indietreggia davanti a nessuno;
31il gallo pettoruto e il caprone
e un re alla testa del suo popolo.
32Se ti sei esaltato per stoltezza
e se poi hai riflettuto,
mettiti una mano sulla bocca,
33poiché, sbattendo il latte ne esce la panna,
premendo il naso ne esce il sangue,
spremendo la collera ne esce la lite.


COMMENTI

All'apparenza enigmatiche le parole di Agùr, ma hanno in sé un senso da ricercare, meditando. Ci soffermeremo soltanto su due cose di questo capitolo: l'organizzazione degli animali e la superbia dell'uomo.
Affascinante l'osservazione sulle formiche così come quella delle cavallette. Sono esseri piccoli, eppure hanno previdenza e organizzazione. Gli insetti sono anch'essi creature uscite dalla Parola di Dio, e quanto osservato negli animali è stato progettato dal Signore. Il creato è un libro aperto nel quale è possibile trovare delle risposte. Tutto quanto è in natura è immagine dello spirito, tant'è che Gesù nelle sue parabole fa riferimenti a cose presenti nel creato per far comprendere le verità celesti. Sembrerà strano ma abbiamo da imparare anche dagli animali. Come dicevamo, sono creature di Dio e in loro c'è impronta di sapienza poiché sono uscite dalla Sapienza Divina del Creatore. Il Creatore ha creato e dato vita a queste piccole creature e a loro ha dato indicazioni, dunque se impariamo dagli animali, impariamo da loro ciò che Dio gli ha insegnato. Ogni creatura ha il suo linguaggio. Ad esempio le formiche, si è scoperto, giocano mordicchiandosi un po' come fanno i cani. Ogni essere ha la sua società e le sue comunicazioni, che siano orali o chimiche. L'interazione tra esseri ci svela la comunione tra di essi. Dio stesso comunica nella relazione trinitaria e anche quanto da Lui fatto possiede una comunione. Il dialogo è alla base della relazione, è fondamento di fraternità. Osserva Agùr che le cavallette non hanno un re, eppure marciano tutte assieme. L'unione è la forza della buona società. Dove c'è solitudine c'è difficoltà, ma dove ci sono forze unite c'è riuscita, successo. Le formiche non potrebbero lavorare da sole, così come le api poiché sono esseri piccoli e se venisse a mancare una di queste, il resto della società morirebbe. Invece in società sono capaci di fare grandi cose per la loro piccolezza. Dio ha voluto che ogni essere collaborasse attivamente alla sopravvivenza non solo di sé ma anche degli altri poiché Lui per primo vive la comunione eterna, come già detto nella relazione trinitaria tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Persino nel cosmo c'è questa relazione di comunione tra i corpi celesti: la Terra senza l'ausilio del Sole, sarebbe priva di vita e la Luna non potrebbe svolgere il suo compito di illuminare le notti. Dunque tutto ciò che è presente nel creato è in comunione e serve al bene comune.

E ora passiamo alla superbia. Agùr fa riferimento a questa numerose volte nel corso del capitolo sopra letto. Parla di gente che si crede pura pur non essendolo, parla di uomini che divorano gli umili con la spada della loro bocca, parla di gente altezzosa dallo sguardo accigliato. La superbia è un vizio che è presente nel nostro cuore e nessuno può dire di essere o di esserne stato esente. Sant'Alfonso Maria de' Liguori in una sua opera scrive che San Francesco di Sales impiegò 22 anni per superare il vizio della collera. E la collera è prodotto della superbia. Dal dopo peccato di Adamo ed Eva, l'uomo ha da sempre posseduto la superbia nel suo cuore, persino i Santi hanno combattuto con essa, poiché tutti nasciamo peccatori, ma tutti possiamo morire santi. Il consiglio che dà Agùr contro la superbia lo si legge al termine del capitolo, al versetto 32. Dopo l'atto di superbia, conviene riflettere e dopo aver riflettuto agire contrariamente a quanto si è fatto con la superbia, e cioè stando al proprio posto, parlando a suo tempo, mettendo la mano sulla bocca, frenando l'impulso di apparire. Gesù ci ha insegnato a fare anche questo in Luca 14,10: Invece quando sei invitato, va' a metterti all'ultimo posto, perché venendo colui che ti ha invitato ti dica: Amico, passa più avanti. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. La superbia è sempre in agguato in ogni anfratto della nostra vita, ma con i lumi che Gesù ci ha donato, possiamo vigilare ed evitare che ci assalga. Per questo è importante ricercare continuamente le forze nei Sacramenti poiché lo spirito si nutre, si rafforza quindi, e si lava in Essi.

La prossima settimana, come già anticipato prima del capitolo, leggeremo l'ultimo capitolo terminando così l'appuntamento settimanale del lunedì con il Libro dei Proverbi.

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