martedì 26 aprile 2011

La Città di Dio - XV parte

Riprendiamo la lettura dell'opera di Sant'Agostino nota come "La città di Dio". Il pensiero agostiniano è fermo a sottolineare le incoerenze romane nel loro rapporto con gli dei: infatti, se diamo anche uno sguardo alla legge sul teatro, scopriamo che mentre era proibito insultare i propri concittadini, non era proibito lanciare offese e ingiurie agli dei! Si capisce subito che i romani non sanno nemmeno cosa significhi adorare un dio e Sant'Agostino pensa seriamente che in tutto questo, vi sia l'opera di spiriti demoniaci: 

10. Si adduce a difesa che non erano vere le cose dette contro gli dèi, ma false e immaginarie. Ma proprio questo è più empio se si tenesse presente il rispetto religioso. Se poi si pensa alla malvagità dei demoni, che cosa di più maliziosamente furbo per ingannare? Quando infatti il disonore si getta contro il concittadino più ragguardevole buono e utile alla patria, tanto è più indegno perché è più contrario ed estraneo alla sua condotta. Quali pene dovrebbero dunque applicare quando si fa al dio una ingiuria tanto infamante, tanto evidente? Ma gli spiriti maligni, che essi reputano dèi, vogliono che si dicano di loro anche i misfatti che non hanno compiuti. Così avvolgono come con reti le coscienze umane e le trascinano con sé alla pena prestabilita. Tali misfatti potrebbero averli commessi gli uomini, ma i demoni sono lieti che siano considerati dèi perché sono lieti degli errori degli uomini e perché con le mille arti di nuocere e ingannare si sostituiscono a loro per essere adorati essi stessi. Potrebbe anche essere che quei misfatti siano veri di certi individui, tuttavia gli spiriti ingannatori accettano volentieri che siano attribuiti immaginariamente alla divinità affinché sembri quasi che a commettere azioni crudeli e turpi l'autorità competente si trasferisca dal cielo alla terra. I Greci, sentendosi schiavi di simili divinità, non pensavano che, date le loro infamanti rappresentazioni teatrali, i poeti dovessero risparmiare gli uomini o perché bramavano di essere assimilati ai loro dèi o perché temevano di farli arrabbiare cercando per sé una reputazione più onorata e reputandosi così migliori di loro.

11. Attiene a questa coerenza che stimarono degni di qualche alta carica nello Stato anche gli attori teatrali di quei drammi. Infatti, come si ricorda anche nel citato libro Sullo Stato, Eschine ateniese, sommo oratore, sebbene da giovane avesse recitato tragedie, ebbe incarichi nello Stato; Aristodemo, anche egli attore tragico, fu più volte mandato ambasciatore a Filippo per importanti problemi riguardanti la pace e la guerra 18. Non era ritenuto compatibile, dal momento che, secondo loro, le arti e gli spettacoli drammatici erano accetti agli dèi, di relegare nel luogo e nel numero di coloro che le eseguivano. I Greci, con disonestà certamente, ma con piena coerenza ai propri dèi, diedero queste disposizioni. Infatti essi che non osarono sottrarre la condotta dei cittadini alla denigrazione della lingua dei poeti e degli attori, poiché vedevano che anche la condotta degli dèi, e con loro consenso e compiacimento, era da essi screditata, pensarono non solo di non disprezzare anzi di onorare nell'amministrazione dello Stato anche gli uomini da cui erano eseguiti spettacoli che ritenevano graditi alle divinità venerate. Che ragione avevano di onorare i sacerdoti giacché per loro mezzo offrivano agli dèi vittime gradite e di disprezzare gli attori dal momento che avevano appreso dietro loro informazione a offrire quel piacere o onore agli dèi che li richiedevano, e se non si faceva, si arrabbiavano? Tanto più che Labeone, che dichiarano buon intenditore in materia 19, distingue le divinità buone dalle cattive proprio dalla diversità del culto. Afferma appunto che gli dèi cattivi sono resi propizi con le stragi e le cerimonie funebri, i buoni con ossequi piacevolmente lieti come, a sentir lui, spettacoli, conviti, banchetti sacri. Come stia tutta questa faccenda, lo discuterò dopo 20, se Dio mi aiuterà. Ora un cenno per quanto riguarda il presente argomento. O gli onori si tributano tutti a tutti in quanto buoni, giacché non è possibile che si diano dèi cattivi, a meno che, essendo spiriti immondi, non siano tutti cattivi; oppure con un certo discernimento, come è sembrato a Labeone, si tributano gli uni ai buoni, gli altri ai cattivi. Comunque sia, con molta coerenza i Greci hanno in onore entrambi, i sacerdoti da cui si offrono vittime, e gli attori per mezzo dei quali si eseguono spettacoli. Così non possono essere incolpati di fare ingiustizia ad alcuno degli dèi se gli spettacoli sono graditi a tutti, ovvero, e sarebbe più riprovevole, a quelli che ritengono buoni se gli spettacoli sono amati soltanto da loro.

12. Ma i Romani, come Scipione vanta nel citato dialogo Sullo Stato non vollero che la condotta e la reputazione fossero soggette a denigrazioni e insulti dei poeti, perché contemplarono la pena di morte per chi ardisse comporre simile poesia. Hanno stabilito questa sanzione con onestà verso se stessi, ma con superbia e irreligiosità verso i loro dèi. Sapendo che essi non solo sopportano ma gradiscono di essere denigrati dalle ingiurie e le maldicenze dei poeti, han ritenuto se stessi e non gli dèi immeritevoli di quelle calunnie e si sono difesi da esse con una legge, ma hanno perfino inserito queste nefandezze nelle feste degli dèi. E così, o Scipione, lodi che ai poeti romani sia stata negata la licenza di lanciare diffamazioni contro uno dei cittadini, anche se sai che non hanno risparmiato nessuno dei vostri dèi? E così ti è sembrato di dover considerare di più la reputazione della vostra curia che del Campidoglio, anzi della sola Roma che di tutto il cielo? In tal modo si proibì ai poeti anche per legge di menare la lingua maledica contro i tuoi concittadini e poi si permise che lanciassero tranquilli contro i tuoi dèi insulti tanto gravi senza che lo proibisse un senatore, un censore, un imperatore, un pontefice. Era sconveniente, secondo te, che Plauto o Nevio dicessero male di Publio o Gneo Scipione o Cecilio di Marco Catone e fu conveniente che il vostro Terenzio stimolasse il libertinaggio dei giovani con l'adulterio di Giove ottimo massimo.

 

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