mercoledì 20 aprile 2011

Verità della Fede - XIII parte

Come ogni mercoledì, tornano gli approfondimenti sulle "Verità della Fede" attraverso le attente analisi di Sant'Alfonso Maria de' Liguori. Proseguiamo con il Cap. II della Seconda Parte iniziata la settimana scorsa. Nel capitolo odierno Sant'Alfonso dimostrerà la veridicità dell'Antico Testamento:



Verità della Fede

di Sant'Alfonso Maria de' Liguori

PARTE SECONDA

CAP. II.

Si prova la verità delle divine Scritture del vecchio Testamento.

1. Già si sa che due sono le parti della sacra scrittura: il testamento vecchio e il testamento nuovo, e che chiamansi testamenti non già perché sieno disposizioni d'ultima volontà, ma perché sono alleanze, ovvero patti solenni, come dice s. Girolamo, co' quali Iddio promette i suoi beni agli osservatori della sua legge. Onde le scritture divine sono come tante lettere regie mandate a noi da Dio per mezzo de' suoi ministri, e segnate col suo divino suggello. Parlando di esse s. Agostino diceDe illa civitate, unde peregrinamur, ad nos usque venerunt1. Le profezie poi del vecchio testamento confermano le scritture del nuovo, e le scritture del nuovo confermano quelle del vecchio.

2. Posta per certa la necessità della rivelazione, è facile il sapere quale sia tra le religioni la vera o la falsa. Quella ove si manifesta esservi la vera rivelazione divina, sarà certamente la vera religione. Ma non essendovi che la sola nazione ebrea, che prima dell'umana redenzione ha ricevuta da Dio la legge, la vera rivelazione, non siamo nell'imbarazzo di andar esaminando altre rivelazioni. Solo ci resta a vedere se le rivelazioni fatte a questo popolo sieno state vere. Che sieno veri e divini i libri del vecchio testamento, e per conseguenza le rivelazioni in quelli fatte, oltre l'approvazione che hanno così de' miracoli (de' quali parleremo nel capo seguente) e della stima comune dei fedeli, a noi dee bastare che dalla chiesa ci sieno per tali proposti, affinché noi per tali siamo obbligati a tenerli. Come poi di quest'obbligo non possa dubitarsi, e che la chiesa cattolica romana sia l'unica vera chiesa, e che solamente dalla medesima noi dobbiamo apprendere quali sieno le vere scritture divine, ciò si vedrà nella terza parte.

3. Una volta poi che sono stati veri tai libri e tali rivelazioni, debbono tenersi sempre per veri. Poiché toccava a Dio di provvedere che le sue leggi e le sue verità si fossero conservate nella loro purità; altrimenti se avesse permesso appresso fossero state adulterate, egli avrebbe fondata la sua religione, 


ma non avrebbe curato di conservarla. A ciò si aggiunge che gli ebrei, secondo il precetto divino loro dato, hanno sempre stimato un gran sacrilegio il togliere o lasciar mancare alcuna minima parte dalle sacre scritture. Inoltre essendo stato Iddio l'autore di questi sacri libri, gli ha diretti in modo che l'uno corrisponde coll'altro, come si vede al presente che ben corrispondono; sicché non è stato possibile adulterarli, giacché per adulterarli sarebbe stato necessario il falsificarli tutti, così quelli del vecchio, come del nuovo testamento. Ciò tanto più è stato impossibile dopo la promulgazione del vangelo, quanto che gli esemplari dell'uno e dell'altro testamento sin dal principio della chiesa cristiana sono stati divulgati per tutto il mondo; ed inoltre sono stati trasportati in molte e diverse lingue, greca, latina, caldaica, siriaca, arabica, armena, etiopica e schiavona. Com'era dunque possibile falsificar tanti esemplari di diverse lingue, che andavano già prima per le mani di tutti?


4. Dicono gl'increduli che a tempo della cattività di Babilonia perì tutto il vecchio testamento, perché furono bruciati i suoi libri nell'incendio dato alla città ed al tempio. E confermano ciò con quel che dicesi nel libro 4 di Esdra al capo 14, ove si legge che Esdra, essendosi perduti tutti i sacri libri, egli fra lo spazio di 40 giorni li dettò a cinque uomini che gli scrissero. Ma si risponde che sebbene fossero stati veramente bruciati tutti quei sacri libri che si conservavano nel tempio, nondimeno rimasero gli altri esemplari, che ben doveano conservarsi almeno da Geremia, da Ezechiele e Daniele; e certamente dee credersi che ben gli avesse anche Zorobabele, quando ricondusse il popolo in Gerusalemme, ed eresse l'altare. Il quarto libro poi di Esdra si ha per apocrifo, almeno si ha per apocrifo il fatto asserito che Esdra da sé dettasse tutti i libri tra 40 giorni. La sentenza più probabile vuole che, quantunque fossero stati bruciati i libri nella cattività di Babilonia, nulladimanco Esdra procurò con gran diligenza di adunare le scritture da chi le conservava, ed egli poi le ridusse in ordine (come si accenna nel lib. 2 di Esdra, ch'è vero libro canonico) conferendo i codici con i dotti del suo tempo e non senza prevenzione dello Spirito santo. E dee credersi senza esitazione che Iddio ben ebbe la cura allora che si conservassero incorrotte le sacre scritture.

5. In quanto poi al tempo posteriore ad Esdra non era possibile falsificare il vecchio testamento; poiché si domanda: chi aveano ad essere questi falsificatori? Non han potuto esser certamente i gentili; perché questi non poteano neppure per pensiero avere un tale impegno. Non gli ebrei, giacché in quei libri vi sono tanti fatti di sommo loro obbrobrio; ed inoltre vi sono tante profezie (delle quali parleremo qui appresso) le quali provano chiaramente la venuta del Messia, ch'essi ostinatamente negano; sicché non poteano mai gli ebrei esser autori di ciò ch'eglino con tanta forza rigettano: Quindi saggiamente scrisse sant'Agostino: Si quando aliquis paganus dubitaverit, cum ei dixerimus prophetias de Christo, quas putaverit a nobis esse conscriptas, de codicibus iudaeorum probamus quia totum ante praedictum est. Videte quemadmodum de inimicis nostris confundimus inimicos1. S. Giustino, mosso appunto dal contesto delle profezie che si hanno ne' libri degli ebrei, da filosofo gentile si fece cristiano, com'egli stesso scrive nel suo dialogo con Trifone. Al che si aggiunge che essendo state disperse per tutta l'Asia le tribù del popolo ebreo, la sacra scrittura venne ad esser tradotta in diverse lingue, e così fu conservata come in tanti diversi scrigni, quante erano le sinagoghe; onde agli stessi ebrei era impossibile l'adulterarla, ancorché avessero voluto farlo.

6. Così neppure da' cristiani poteano le scritture essere adulterate, attesoché gli ebrei, da cui queste scritture 


son pervenute, sarebbero stati ben accorti a pubblicare le aggiunzioni o mutazioni, se queste fossero state fatte dai cristiani: ma gli ebrei non negano, anzi con tutto il lor valore difendono la verità di tali scritture. E come ben riflette il p. Segneri, Iddio anche a tal fine ha voluto che gli ebrei non fossero affatto estirpati dal mondo, ma che ne restasse un competente avanzo, affinché essi medesimi confermassero la verità di quegli stessi libri, che dimostrano insieme e condannano la loro ostinazione in negare il Messia, che tai libri additano esser già venuto1.


7. Nelle scritture del vecchio testamento si contiene la rivelazione del vero Dio coll'istoria, che comincia dalla creazione del mondo. Di là certamente si sparse per la terra la notizia di Dio, onde Strabone2 dopo aver fatta menzione dell'istoria di Mosè, dice che i suoi discepoli erano Dei reverentes et aequi amantes. E Tacito scrive che i giudei adoravano un solo Dio, summum illud et aeternum, neque mutabile, neque interiturum. - Qui nec voce exprimi, nec a nobis conspici possit,come soggiunse Dione Cassio, parlando del Dio degli ebrei. È certo poi che i sacri libri sono molto più antichi di tutti gli altri scritti, che cominciarono ad uscire presso le altre nazioni. Ben apparisce in essi la loro veracità, in vedervi un'esatta cronologia de' tempi, una perfetta cognizione della geografia più antica, una descrizione delle prime monarchie, conforme già a' migliori scrittori degli altri popoli. Da tali scritture si sa, come si divisero le nazioni, e dove andarono a vivere. Da esse scopresi l'origine de' popoli, la quale senza la luce dei sacri libri agli stessi popoli sarebbe rimasta ignota. I greci, i latini ed altri popoli di Europa han conservata la memoria di Iafet figlio di Noè, come nota Ovidio: Quam (tellurem) satus Iapeto (mutata una sola lettera) mixtam fluvialibus undis finxit in effigiem; ma non sanno che discendono da Iafet. Così ancora i greci non sanno perché si appellino Ioni, ma la scrittura addita ch'essi vengono da Ion uno de' figliuoli di Iafet3. Gli egizj adorano Giove Ammone, e non sanno perché; ma dalla scrittura si ha che Hamon è lo stesso che Ham, terzo figliuolo di Noè, o sia Cham, i di cui discendenti popolarono l'Egitto: e perciò si dice ne' salmi4Qui fecit magnalia in Aegypto, mirabilia in terra Cham5






8. Oppongono gl'increduli che questi sacri libri colle varie versioni, le quali se ne sono fatte, sono rimasti corrotti. Rispondiamo. Diverse già sono state le versioni del vecchio testamento, la più celebre è stata quella che si chiama de' Settanta, la quale fu fatta fare dal re Tolomeo Filadelfo, ed esisteva ancora a tempo degli apostoli. L'istoria di questa versione la riferiscono Tertulliano1, s. Ireneo2 e s. Giustino3, i quali autori erano lontani 500 anni da Tolomeo Filadelfo; e la riferiscono ancora Giuseppe ebreo e Filone, che furono 350 anni dopo Tolomeo. Tolomeo Filadelfo figlio di Tolomeo Lago re di Egitto, indotto da Demetrio Falereo filosofo, volendo arricchire la sua biblioteca raccolta già in Alessandria, mandò a chiedere ad Eleazaro sommo sacerdote che gli inviasse i sacri libri ed insieme più suoi dottori ebrei, per tradurli in greco. Eleazaro gli mandò 72 dotti, i quali fecero la versione, che fu approvata poi così da' giudei, come da' greci di Alessandria. Ora intorno a questa versione s. Ireneo, Clemente Alessandrino, Teodoreto, s. Agostino col Bellarmino e il Baronio furono di sentimento che quest'interpreti fossero ispirati dallo Spirito santo, e che pertanto non poterono errare. Ma s. Girolamo fu di contraria sentenza, e disse che quelli non furono già ispirati. Ancorché però non fossero stati ispirati, dicono altri dotti ben potersi dire che almeno sieno stati assistiti dallo Spirito santo. Del resto Lodovico Vives, Alfonso Salmerone, Scaligero ed altri molti dubitano dell'istoria, che si dice scritta da un certo Aristea gentile, cioè che essendosi i mentovati 70 interpreti separatamente chiusi in diverse cellette, ciascuno avesse fatta la sua versione, e che quelle, essendosi poi conferite insieme, si fossero trovate tutte uniformi.


9. Parlando poi delle versioni latine del vecchio testamento; la più comune (ch'è chiamata Itala da s. Agostino, Vetere da s. Gregorio, e Volgata da s. Girolamo) anche non era immune da errori per trascuraggine de' copiatori. Onde s. Girolamo prese ad emendarla e la trasportò in lingua latina due volte, la prima volta dalla versione greca de' settanta e la seconda dal testo ebreo: e questa interpretazione poi per opera di Damaso e d'altri pontefici è stata universalmente ricevuta nella chiesa occidentale, ed anteposta alle altre. Oggi però è approvata come autentica, secondo il concilio di Trento nella sessione quarta, la sola edizione volgata, la quale è mista (come vogliono i dotti) dell'unica Itala, e di quella interpretata da s. Girolamo4.

10. Replicano gl'increduli non essere stato possibile che i sacri libri per tanti secoli abbiano potuto conservarsi incorrotti. Oltre le tante risposte che si danno a questa loro difficoltà, due sono le più convincenti, a cui non v'è replica: la prima, che non è lecito neppur sospettare che Dio abbia mai potuto permettere che quelle scritture, le quali contengono il vero suo culto e la vera santità de' costumi, fossero infettate di errori. Che poi per la lunghezza e per la diversità dei tempi siensi in quelle intrusi alcuni errori di poco momento, che non toccano né la fede, né i costumi, e che perciò più cose sieno state replicate, altre mancate, ed altre dalla glossa passate nel testo, ciò non osta alla sostanza della religione e della fede; anzi ciò conferma che i libri sacri sono sinceri e non con industria adulterati, o finti con arte umana. Per impedire quei piccoli abbagli che vi sono incorsi, vi sarebbe bisognato un continuo miracolo, il quale non era necessario. La seconda risposta più convincente della prima è che dobbiamo certamente tenere per libri divini tutti 


quelli che la santa chiesa, dataci da Dio per colonna e maestra di verità, sicché non può errare, come divini ci propone. Leggasi quel che sta nella parte III. al cap. V. §. 3 e 4.


11. Ma come, replicano, ha potuto mai la chiesa dopo tanti secoli discernere le scritture veraci e sincere fra tante altre, che vi sono state apocrife o adulterate? Si risponde che la chiesa colla tradizione ricevuta per mezzo dei santi padri e dei dottori e colla luce dello Spirito santo a lei promesso per non errare, ben ha potuto accertarsene. E così il sacro concilio di Trento ha potuto numerare tra i libri sacri alcuni, che prima non erano tenuti universalmente per tali. Ma di ciò si parlerà più a lungo nella parte III.

12. Un certo deista, autore dell'Esame della Religione1, si maraviglia, come la scrittura dica che Dio va cercando Adamo nel paradiso. Adam ubi es?..., che passeggia, che ha delle braccia, che si pente d'aver fatto l'uomo. Ma quest'autore perché poi non fa menzione di tanti altri testi, dove si dice che Dio vede tutto, ch'egli non è corpo, ma puro spirito, ch'è immutabile e non capace di pentimento? Chi mai ha detto che i tropi e le figure sono errori? Iddio vedea tutto? ma si fece sentire presente in quel luogo ad Adamo, per rimproverargli il suo peccato. Le braccia significano la potenza divina. La voce di pentimento non significa già la mutazione della volontà, ma la mutazione della serie delle cose.

13. Un altro deista, l'autore della Filosofia del buon senso, dice che noi, fuori de' libri di Mosè, non possiamo saper altro del mondo se non quello ch'è avvenuto sino al diluvio; poiché se andiamo agli annali de' cinesi e degli egiziani, dovremo rigettare la genesi, mentre questi ci descrivono la creazione del mondo fatta più migliaia di anni prima di ciò che scrive Mosè. E conclude così: La fede e la religione ci obbligano a non profondarci in tal questione. Sicché quest'autore in somma con quel profondarci mette in questione e dubbio i libri santi. Ma chi non sa che le dinastie egiziane antiche sono tutte favole? Natale Alessandro fa vedere nella sua Dissertazione della creazione all'art. 4. che le memorie egiziane sono invenzioni affatto false. Così anche sono falsi gli annali dei cinesi, che ben sono stati esaminati da' dotti, come dal Cassini, dal Wiston e dal Freret, e questi fan vedere che le loro memorie non giungono più oltre che ai regni di Yaco e di Chuna fondatori della Cina verso gli anni 1990. prima dell'era cristiana; sicché non possono ascendere più che al tempo del diluvio. Il voler poi dubitare della verità della scrittura per certe oscurità che s'incontrano sulla cronologia o sulla differenza di alcune parole de' testi antichi, questo è voler cercare il naufragio nella sabbia, non trovandolo negli scogli.

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1 Conc. 2. in psal. 90. 



1 In psalm. 58.
1 Se poi oggi il testo ebraico sia tutto incorrotto, comunemente da' dotti si vuole che no. Il Salmerone col Morino ed altri vogliono che sia stato corrotto da' giudei in odio della religion cristiana. Altri col Bellarmino vogliono che non appostatamente, ma per imperizia e trascuranza de' rabbini, o pure de' copisti vi sieno entrati alcuni errori, massimamente nell'apporre i punti che tengono il luogo di vocali in quelle lettere che sono simili nella figura o nel suono, i quali punti a principio non v'erano ma dopo il quinto secolo furono ritrovati da' Masoreti, dottori giudei. Sicché al presente il testo ebraico, benché sia utile a meglio intender molte cose del testo latino, nulladimeno quello non è di assoluta autorità, com'è il testo latino della volgata spettante al vecchio testamento, il quale ci è proposto dalla chiesa a tenerlo di fede libero da ogni errore sostanziale, almeno per quel che s'appartiene a' dogmi della fede ed a' precetti morali, come si dirà in fine di questo capo.
2 L. 16.
3 Gen. 10. 2.
4 Psal. 105. 22.
5 Leggesi presso Giovanni Hooke dottore della Sorbona (Relig. nat. et rev. princ. t. 2. pag.339) che in certi antichissimi libri degli Egizj si trova scritto: In primo coeli statu hominem supremae rationi interius unitum fuisse, et in suis actionibus iustitiam secutum, animum eius sola tunc delectatum veritate, immunem ab omni errore. Ecco appunto descritto lo stato dell'uomo innocente, siccome prima lo descrisse Mosè. Di più riferisce Strabone (Lib. 15. p. 715. che presso gl'Indiani vi era questa dottrina: Olim omnia plena erant triticeae et hordeaceae farinae: fontes alii lacte, alii aqua fluebant etc. Homines autem ob satietatem ac luxuriam ad contumeliam se transdiderunt. Iuppiter igitur, illum statum exosus, omnia abolevit, et vitam per laborem degendam instituit. Le quali parole comentando il card. Casaubono dice: Nemo dubitavit haec legens, quo ex fonte manarint. Satis enim liquet ex eo esse haec ficta, quae nos sacra pagina docet de statu primi parentis ante lapsum. Nella prima parte poi di quest'opera al capo 1. notammo già quanti scrittori antichi fecero menzione dell'istoria di Mosè, comprovando ne' loro scritti quanto scrisse Mosè della creazione del mondo fino alla confusione delle lingue nella fabbrica della torre di Babele. Che poi i libri del Pentateuco sieno scritti da Mosè, oltre la certezza che n'abbiamo dal popolo ebraico, il quale così sempre tenne costantemente, abbiamo l'autorità che ne fece Gesù Cristo in più luoghi: Si enim crederetis Moysi, crederetis forsitan et mihi; de me enim ille scripsit. Ioan. 5. 46. Ed in altro luogo: Et sicut Moyses exaltavit serpentem in deserto, ita exaltari oportet Filium hominis. Ioan 3. 14. Il fatto del serpente sta registrato ne' Numeri c. 21. vers. 9. Né osta che nel Deuteronomio (c. 54. vers. 5. 6. ) sta descritta la morte di Mosè; perché ciò credesi scritto da altri per ordine di Dio, al quale incombe di non permettere mai che s'intruda alcuna falsità ne' sacri libri.
1 Apol. l. 18.
2 L. 3. c. 25.
3 Apol. 2.
4 S'avverta qui di passaggio col Bellarmino l. 6. de Verbo Dei cap. 7. che la versione greca del nuovo Testamento non è totalmente sicura.

1 C. 2. n. 6. 

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