mercoledì 11 maggio 2011

Verità della Fede - XVI parte

Tornano gli approfondimenti sulle "Verità della Fede" attraverso le attente analisi di Sant'Alfonso Maria de' Liguori. Come già anticipato la scorsa settimana, oggi leggiamo i paragrafi 2 e 3 del capitolo IV nel quale il Santo Vescovo Dottore della Chiesa e Fondatore dei Redentoristi si concentra particolarmente sulla venuta del Messia:



Verità della Fede

di Sant'Alfonso Maria de' Liguori

CAP. IV.

§. 2. Si prova la venuta del Messia dalla profezia di Daniele.

7. La profezia di Daniele1 non solo è chiara, come quella di Giacobbe, ma inoltre ella distingue più singolarmente il tempo della venuta del Messia. Ecco come l'arcangelo Gabriele precisamente glielo designò, dicendogli: Tu ergo animadverte sermonem, et intellige visionem. Septuaginta hebdomades abbreviatae sunt super populum tuum, et super urbem sanctam tuam, ut consummetur praevaricatio, et finem accipiat peccatum, et deleatur iniquitas, et adducatur iustitia sempiterna, et impleatur visio et prophetia, et ungatur Sanctus sanctorum. Scito ergo, et animadverte: Ab exitu sermonis ut iterum aedificetur Ierusalem, usque ad Christum ducem, hebdomades septem et hebdomades sexaginta duae erunt: et rursum aedificabitur platea et muri in angustia temporum. Et post hebdomades sexaginta duas occidetur Christus, et non erit eius populus, qui eum negaturus est. Et civitatem et sanctuarium dissipabit populus cum duce venturo: et post finem belli statuta desolatio. Confirmabit autem pactum multis hebdomada una: et in dimidio hebdomadis deficiet hostia et sacrificium: et erit in templo abominatio desolationis: et usque ad consummationem et finem perseverabit desolatio2. In quel tempo stava Daniele considerando il numero de' 70. anni rivelato a Geremia, e prefisso alla cattività di Babilonia, e pregava per l'adempimento della divina promessa intorno alla liberazione degli ebrei, dicendo: Obsecro, Domine Deus magne et terribilis, et custodiens pactum et misericordiam diligentibus te3. Onde non si dubita che le 70 settimane assegnate alla venuta del Messia non s'intendeano settimane di mesi o di giorni, ma di anni: sicché in tutto importano 490. anni, secondo l'intendono tutti i teologi, e l'intesero gli stessi ebrei insino a Tito, come il rabbino Neumia vivuto 50 anni prima di Cristo, e il rabbino Giose che si trovò all'eccidio di Gerusalemme, secondo attesta il rabbino Giacobbe4. Benché poi gli ebrei susseguenti siensi sforzati di sostenere che ogni settimana importava 70 anni, anzi taluno disse 70 secoli.

8. Or giusta la profezia gli anni 490 debbon cominciare a numerarsi dal tempo che uscì l'editto del re persiano, il quale diede il permesso a Neemia di riedificare il tempio e la città di Gerosolima. Alcuni, secondo la computazione che fanno, vogliono che vi sieno nove o dieci anni oltre li 490. Ma tal variazione non proviene dall'istoria sacra, ma dalla diversità di quel che scrivono gl'istorici profani; poiché alcuni cominciano a numerare gli anni dal tempo che Temistocle si rifugiò presso Artaserse Longimano. Altri, come Diodoro Siciliano, Dione e Plutarco, dicono che Temistocle si unì a Serse padre di Artaserse, quando furono colleghi nel regno il padre e il figlio. Altri poi vogliono che gli anni delle 70 settimane fossero stati lunari, che sono più brevi. Altri cominciano a contar le settimane dal primo decreto di Artaserse. Altri cominciano dal secondo editto dell'anno vigesimo dello stesso re, giusta le parole ab exitu sermonis, ch'è l'opinione più comune, come scrivono Natale Alessandro ed altri presso Calmet nella sua Dissertazione sopra Daniele; poiché sta indicato in Esdra1 che nell'anno 20 di Artaserse fu eseguito il suo editto, il quale anno vigesimo, secondo la cronologia di Tucidide, di Eusebio e d'altri, accadde nell'anno 270 di Roma, che fu l'anno 487 antecedente all'anno 29 dell'era volgare.

9. Del resto tutti concordano che la differenza non è che di pochi anni; poiché altri segnano l'anno settimo, ed altri l'anno vigesimo di Artaserse; segnando i primi il tempo in cui Artaserse cominciò a regnar solo, ed i secondi il tempo in cui regnò insieme con Serse suo padre. Sicché quantunque sieno diverse le opinioni degli autori, tutte non però convengono che le 70 settimane vadano a finire circa i tempi della morte di Gesù Cristo. E ciò dee bastarci; poiché l'adempimento della profezia non solo ha da conoscersi dal computo degli anni, ma anche dagli altri segni speciali prenunziati, come dalla distruzione di Gerusalemme e dalla dispersione de' giudei, avvenute già dopo la morte del Messia, come stava predetto. E questi sono i fatti sostanziali, ai quali principalmente è diretta la profezia; onde, vedendo noi che quelli sono avverati, non dobbiamo metterci in dubbio per la diversità delle opinioni de' cronologi, i quali, trattandosi di tempo così lontano e del computo di tanti anni, non è maraviglia che sieno divisi. Tanto più che neppure può fissarsi con certezza l'anno preciso della morte di Gesù Cristo, per tante altre opinioni che vi sono. Sicché concludiamo in ciò doversi seguire per vera quella sola opinione che si accorda co' fatti già accaduti, e che da niuno sono contrastati.

10. Tutto l'adempimento poi della profezia si conferma dalla stessa dichiarazione che ne fece il Messia già venuto, quando disse: Cum ergo videritis abominationem desolationis, quae dicta est a Daniele propheta stantem in loco sancto qui legit intelligat etc. Amen dico vobis quia non praeteribit generatio haec, donec omnia haec fiant2. Ma la stessa profezia fa il tutto chiaro; poiché ivi si predice confermarsi il patto dell'alleanza, cessare i sacrificj, aver fine l'iniquità, addursi la giustizia sempiterna e la total desolazione: cose che non possono intendersi di altri che del Redentore delle anime e conquistatore della vita eterna. Chi mai può applicare le mentovate specie di cose ad un autore d'una felicità sol temporale? Alcuno applica questa profezia al pontefice Onia: ma come mai può giudicarsi che il Cristo di Daniele sia stato Onia, quando per verificar la profezia bisogna metter questo Cristo ucciso tra due termini, cioè tra l'uccisione del Santa de' santi (nome non mai dato ad alcun sacerdote), e la distruzione di Gerusalemme e del tempio? Et civitatem et sanctuarium dissipabit populus cum duce venturo3. Più sconcia poi è l'applicazione che altri ne fanno a Giuda Maccabeo; poiché a riguardo del castigo mandato da Dio per mezzo di Antioco si legge che quel flagello non fu dato ad interitum, ma solo ad correptionem: corripiens in adversis, populum suum non derelinquit4. Le quali parole oh quanto differiscono da quelle di Daniele: Non erit eius populus, qui eum negaturus est... Et finis eius vastitas, et post finem belli statuta desolatio... Et usque ad consummationem et finem perseverabit desolatio5! Chi potrà tal ruina assomigliarla agl'insulti di Antioco, il quale non poté giungere a demolire né la città, né il tempio come avea disegnato, essendosi anzi ben riparato dopo sua morte al danno da lui recato?

11. Giuseppe ebreo per affettata adulazione applicò questa profezia di Daniele a Tito imperatore1. E Svetonio seguì la stessa applicazione, dicendo che, secondo la fama che correa nell'oriente, dalla Giudea doveano uscire i dominatori del mondo: Percrebuerat oriente toto vetus et constans opinio, esse in fatis, ut eo tempore Iudaea profecti rerum potirentur. Lo stesso scrisse Tacito2. Ed in Virgilio è celebre già la predizione della sibilla cumana, che Virgilio poi storce in onor di Salonino figlio di Pollione:

            Ultima Cumaei venit iam carminis aetas;
            Magnus ab integro seclorum nascitur ordo.
            Iam redit et virgo, redeunt saturnia regna,
            Iam nova progenies coelo demittitur alto.

12. Virgo si spiega Astrea, la Giustizia, ed è secondo Daniele, ut adducatur iustitia sempiterna. Sicché la fama di questa predizione era già passata, prima di avverarsi, tra gli autori greci e latini. È fama che siasi diffusa anche tra' chinesi; mentre si porta che ne' libri di Confucio, vivuto più di cinque secoli innanzi alla nascita di Gesù Cristo, tra ricordi lasciati al suo principe si dice leggersi: Legibus coeli ac terrae facta eius consentiam, neque vereri debet, ut cum Sanctus ille expectatus advenerit, idem tum virtuti eius, ac dum regnaret, honos habeatur3. Di più Alfonso Boni hominis tradusse nel secolo XIII. dall'arabico una lettera scritta dal rabbino Samuel al rabbino Isaac nel secolo XI., dove, parlando delle 70 settimane di Daniele (al capo 8 della suddetta lettera) scrisse il mentovato rabbino queste parole molto notabili contro i giudei: Et si dicamus quod Christus venturus est, et nondum venit... et ista desolatio non erit perpetua: respondebunt christiani quod adhuc ergo manet nobis occisio Christi, et adventus Titi et populi romani et desolatio peior ista in qua iam fuimus per mille annos. Heu, Domine, non est excusatio, nec evasio consona! Il p. Calmet porta solamente un piccol frammento di detta lettera, ma noi l'abbiamo addotta più piena, secondo altri buoni autori.

13. Alcuni scrittori vogliono cominciar la computazione delle 70 settimane non dall'editto di Artaserse Longimano, ma dalla predizione di Geremia della liberazione del popolo dalla schiavitù di Babilonia4; ma errano, perché dalla profezia di Geremia dell'anno quarto di Gioachimo5 sino alla nuova edificazione della città non vi fu che lo spazio di 146 anni; ma le 69 settimane importano anni 483. Onde senza meno dee principiarsi il computo dal tempo del permesso dato dal re di riedificar la città: Ab exitu sermonis ut iterum aedificetur Ierusalem usque ad Christum ducem hebdomades septem et hebdomades sexaginta duae erunt: et rursum aedificabitur platea et muri in angustia temporum6. Debbono specialmente poi notarsi queste ultime parole: che le mura della città sarebbonsi rialzate nell'angustia de' tempi; perché si sa che Neemia riedificò la città in soli due mesi, dopo che uscì l'editto del permesso, ed in mezzo agli insulti che gli ebrei riceveano allora da' nemici, in modo che, fabbricando, in una mano teneano il martello o la mestola per fabbricare, e dall'altra la spada per difendersi7. E Neemia stesso spiega la profezia di Daniele; poiché prima il recinto delle mura cingea le piazze spopolate di abitazioni, ma dopo le nuove mura la decima parte degli ebrei ritornati andarono ad abitar nella piazza della città, secondo la predizione fatta: Rursum aedificabitur platea. Sicché dall'anno vigesimo di Artaserse si contano giusto 490 anni, che importano appunto le 70 settimane di Daniele, cominciando dal tempo in cui uscì l'ordine di rifabbricar Gerusalemme, sino all'anno 22 di Tiberio, allorché Gesù Cristo consumò il sacrificio della sua vita.

14. Nella seconda parte poi Daniele distingue le stesse settimane, mentre a principio unisce tutte le settanta: Septuaginta hebdomades abbreviatae sunt super populum tuum. Ed indi distingue le 69 settimane: Ab exitu sermonis ut iterum aedificetur Ierusalem usque ad Christum ducem hebdomades septem et hebdomades sexaginta duae erunt. Il profeta mette da parte le sette settimane, non a caso, ma, come vedremo, perché quelle aveano una certa special prerogativa sopra delle altre. Dopo queste 69 dice che sarà ucciso Cristo: Et post hebdomades sexaginta duas (oltre le sette nominate prima) occidetur Christus. Parlando poi dell'ultima settimana, dice che in mezzo di quella doveano cessare i sacrificj: Confirmabit autem pactum multis hebdomada una, et in dimidio hebdomadis deficiet hostia et sacrificium. E così appunto avvenne; perché Gesù Cristo, quando si manifestò colla predicazione, vi durò tre anni e mezzo, e dopo questo tempo morì, cioè in mezzo all'ultima settimana; ed allora cessarono i sacrificj, come predisse Daniele, sopravvenendo il sacrificio del Verbo umanato, di cui quegli antichi erano mere figure.

15. Ma perché mai le sette settimane furono prima nominate, e furono dalle 62 distinte? Il profeta ivi parlò con ordine inverso; giacché le 62 doveano precedere alle sette, e le sette doveano essere più prossime alla consumazione del sacrificio di Gesù Cristo; e perciò queste sette settimane furon nominate a parte ed in primo luogo, per causa che erano il tempo più prossimo al compimento della redenzione, ed ancora perché, come riflette un saggio autore, elle comprendeano in parte la vita del Redentore ed in parte la vita della divina Madre, la quale stimasi intervenuta come compagna e coadiutrice all'opera della redenzione umana. Ecco dunque il computo delle 70 settimane, cioè sessantadue, sette e poi una; e nella metà di quest'ultima morì Gesù Cristo.

16. Né osta che l'eccidio di Gerusalemme non avvenne subito dopo la morte di Cristo; perché tal eccidio dalla profezia non è compreso nello spazio delle 70 settimane, bastando che quello sia avvenuto non molto appresso, avendo voluto il Signore dar qualche tempo agli ebrei di ravvedersi. E ciò ben lo spiegò la profezia dicendo: Et civitatem et sanctuarium dissipabit populus cum duce venturo (distante dal tempo della morte del primo). Et finis eius vastitas, et post finem belli statuta desolatio. Questo modo di parlare ben dà a vedere che tutte queste cose doveano avvenire con una certa moral successione. E qui bisogna notare l'abbaglio di alcuni controversisti, che vogliono far seguire la morte di Cristo dopo le 62 settimane, non computando le prime sette, quandoché è chiaro che nell'ultima settimana delle 70 dovea succedere la morte di Cristo, Confirmabit pactum multis hebdomada una. E questo fu il patto promesso da Dio per mezzo di Geremia: Hoc erit pactum quod feriam cum domo Israel, dicit Dominus: quia propitiabor iniquitatibus eorum, et peccati eorum non memorabor amplius1.

17. Né osta il dire che i sacrificj non cessarono subito dopo la morte del Messia; poiché quel deficiet hostia et sacrificium s'intende moralmente; ma anche preso a rigore, si dice che i sacrificj se non cessarono di fatto, cessarono già d'esser rappresentativi della morte di Cristo, il che era tutto il lor essere in modo che niente più valeano innanzi a Dio, e non erano più né sacri, né sacrificj, come notò l'apostolo: Aufert primum, ut sequens statuat2. Del resto la prima proposizione della profezia scioglie tutte queste difficoltà, assegnando assolutamente 70 settimane per l'uccisione di Cristo.

18. Dicesi per ultimo nella profezia che un popolo condotto da un principe venturo dovea distruggere la città e 'l santuario, e che la fine dovea essere la devastazione durante sino alla fine del mondo. E così si avverò; poiché i romani spianarono la città, incendiarono il tempio, e fu d'indi in poi vietato a' giudei di più abitare nel lor paese; e così è rimasta la lor nazione dispersa da per tutto. Sicché i fatti provano con troppa evidenza l'adempimento della profezia e del castigo predetto. Basta a provar tal verità dimandare a' giudei dov'è più il lor tempio e la loro città? Quale al presente è la loro patria? Essi accecati nol voglion conoscere, ma non vedono che questo loro stesso accecamento è una prova del venuto Messia, mentre questa loro ostinata cecità fu ad essi predetta: Et ad finem usque belli statuta desolatio. E continuando l'ostinazione continua il castigo.

19. Si dimanda qui per ultimo: giacché il tempio fu da' romani bruciato e distrutto, come s'intendono quelle parole della profezia: Et erit in templo abominatio desolationis? Si risponde primieramente che per tempio, o sia santuario s'intendeva tutta la città di Gerusalemme, la quale chiamavasi la città santa: Assumpsit eum in sanctam civitatem1. E nella stessa profezia si dice, Super urbem sanctam tuam; mentre la città di Gerusalemme era tutta consacrata al culto divino. Oltre di ciò narra Giuseppe ebreo2 che i romani nello stesso tempio prima di distruggerlo sacrificarono agli dei innanzi alle insegne del lor esercito, le quali erano i simboli de' loro falsi dei, ed in quel tempo acclamaron Tito per imperatore: Signis in templum illatis, et illis ibi sacrificarunt, et Titum cum maximis acclamationibus imperatorem designarunt. E ciò lo confermò anche Gesù Cristo dicendo: Cum videritis abominationem desolationis, quae dicta est a Daniele propheta, stantem in loco sancto etc.3.

§. 3. Si prova di più la venuta del Messia dalla profezia di Aggeo.

20. Questa profezia non è meno chiara delle precedenti. Ella fu fatta, quando gli ebrei, ritornati da Babilonia nella Giudea in vigore del permesso di Ciro, rifabbricarono prima l'altare, e poi nell'anno seguente gittaron le fondamenta del tempio4. La fabbrica però fu intermessa, e non si ripigliò che a tempo di Darioquando Aggeo animò Zorobabello capo di Giuda e Gesù figliuol di Giosedecco con tutto il popolo alla costruzione del tempio, dicendo loro da parte di Dio: Nolite timere, quia haec dicit Dominus exercituum: Adhuc unum modicum est, et ego commovebo coelum et terram, et mare, et aridam; et movebo omnes gentes: et veniet desideratus cunctis gentibus, et implebo domum istam gloria, dicit Dominus exercituum. Meum est argentum, et meum est aurum, dicit Dominus exercituum. Magna erit gloria domus istius novissimae plusquam primae. Et in loco isto dabo pacem, dicit Dominus exercituum6.

21. Promise dunque il Signore per bocca di Aggeo che in questo secondo tempio sarebbe venuto il desiderato dalle genti, e che avrebbe riempiuto quel tempio di gloria: Et implebo domum istam gloria. Or questa gloria non poté consistere nella grandezza o nella ricchezza di questo secondo tempio: poiché in ciò questo secondo fu molto minore del primo; in modo tale che quando cominciò a fabbricarsi il nuovo tempio, i vecchi che sapeano l'antico, piangeano: Seniores qui viderant templum prius, cum fundatum esset et hoc templum in oculis eorum, flebant voce magna1. Sicché la gloria di questo secondo tempio altro non potea essere, che l'onore che gli apportò il Messia colla sua presenza. E questo fu comun sentimento anche de' giudei, come scrisse il rabbino Akiba e il rabbino Salomon ec., e si legge anche nel lor Talmude2 che il Messia colla sua persona doveva onorare questo nuovo tempio. E perciò allora vi furono più falsi Cristi; Erode, Dositeo, Teoda ec.; tanto si teneva per certo che in quel tempo aspettavasi il Messia. Ciò si confermò da quel che dissero gli stessi giudei a nostro Signore: Quadraginta sex annis aedificatum est templum hoc, et tu in tribus diebus excitabis illud3? Il tempio fu terminato nel sesto anno di Dario; indi scorsero 21 anni da Dario sino ad Erode, che ampliò il tempio nell'anno 18 del suo regno sino ad Archelao, che importò lo spazio di altri 25 anni in circa, e così si avverò il computo degli anni 46.

22. Oltreché Aggeo stesso dichiarò per parte di Dio che non l'oro, né l'argento (meum est aurum, et meum est argentum, volendo con ciò significare ch'egli era il Signore del tutto) ma la venuta del desiderato, che altri non potea pensarsi che il Messia, e la pace promessa da lui da darsi in questo secondo tempio, doveano renderlo più glorioso del primo: Veniet desideratus cunctis gentibus. Magna erit gloria domus istius novissimae plusquam primae. Et in loco isto dabo pacem. È vero che Dio anche abitò nel primo tempio: Et maiestas Domini implevit domum Dei4. Ma nel primo il Signore abitò sotto figura caliginosa: Dominus pollicitus est ut habitaret in caligine5. Nel secondo però venne visibilmente in propria persona a dar pace al mondo, giusta quel che avea predetto Isaia:Revelabitur gloria Domini, et videbit omnis caro quod os Domini locutum est. Ego ipse qui loquebar, ecce adsum6. E perciò, come riflette s. Agostino, gli ebrei dopo Aggeo e Malachia non ebbero altro profeta, accioché prima di Gesù Cristo non si prendesse alcun altro per il desiderato dalle genti. E qual mai fu questa pace promessa, se non Gesù medesimo, che ottenne al genere umano la riconciliazione con Dio? Ipse enim est pax nostra: qui fecit utraque unum7.

23. Di più dice Dio per Aggeo che tra breve avrebbe scosso il cielo e la terra: Adhuc unum modicum est, et ego commovebo coelum et terram etc. Questa commozione si avverò per mezzo di Gesù Cristo: fu commosso il cielo, poiché cessò l'antica legge; e fu commossa la terra, perché si vide la conversione in tutti i popoli del mondo. Ma se altra prova non vi fosse a dimostrare che sia già venuto il Messia, basterebbe sol questa. Dice la profezia che quella commozione e quella gloria del tempio doveano avvenire una volta e tra breve, prima della distruzione del tempio: Adhuc unum modicum est. Or vediamo che questo tempio da diciassette secoli è già distrutto; dunque bisogna confessare che la profezia è già compita, ed il Messia è già venuto.

24. A questa di Aggeo si unisce la profezia di Malachia, la quale fu conforme a quella di Aggeo: Ecce ego mitto angelum meum, et praeparabit viam ante faciem meam: et statim veniet ad templum suum dominator, quem vos quaeritis, et angelus testamenti, quem vos vultis. Ecce venit, dicit Dominus exercituum8. Dimandiamo ora agli ebrei: qual signore essi cercavano? E qual angelo attendeano autore del testamento o sia dell'alleanza promessa? Qui distingue il profeta l'angelo precursore che dovea preparare la via a conoscere il Messia dall'angelo dominatore, cioè lo stesso Messia, autore del testamento, che dovea venire al tempio suo; veniet ad templum suum, colla quale parola suum si dichiara la di lui divinità. Questo tempio non era certamente altro che quello di Gerusalemme; giacché Malachia (come scrive s. Girolamo1) viveva in tempo del secondo tempio. Qui ritorna per tanto lo stesso argomento di Aggeo. Il Messia doveva venire al tempio suo: ma questo tempio è già da 1700. anni distrutto: dunque il Messia è già venuto. Tanto più che, come predisse Malachia, all'angelo precursore dovea subito succedere l'angelo dominatore: Mitto angelum meum, et praeparabit viam... et statim veniet ad templum suum dominator etc. Se dunque è già venuto il precursore, necessariamente ancora ha dovuto esser venuto il Messia. Indi avvenne che Zaccaria padre del Battista predisse al figlio quelle gran parole: Et tu puer propheta altissimi vocaberis; praeibis enim ante faciem Domini parare vias eius2. Ed indi Giovanni, dopo aver predicata la penitenza, nella prima volta che vide Gesù Cristo, l'annunziò al popolo con quelle parole: Ecce agnus Dei, ecce qui tollit peccatum mundi3.

25. Intorno poi al Messia vi furono molte altre profezie più particolari. Fu predetto che doveva nascere da una vergine: Ecce virgo concipiet et pariet filium, et vocabitur nomen eius Emmanuel4. Fu anche predetto il luogo della nascita: Et tu Bethlehem Ephrata parvulus es in millibus Iuda: ex te mihi egredietur qui sit dominator in Israel; et egressus eius ab initio et a diebus aeternitatis5. Ecco il Messia prenunziato chiaramente per Dio; mentre si dice ch'egli è stato sin dall'eternità. Fu anche predetta l'adorazione de' Magi: Reges Arabum et Saba dona adducent. Et adorabunt eum omnes reges6. Fu predetto il precursore che doveva uscire dal deserto: Vox clamantis in deserto; Parate viam Domini7. Fu predetta la vendita di Giuda: Et appenderunt mercedem meam triginta argenteos8. Le altre profezie poi circa la passione di Gesù Cristo si addurranno appresso.

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1 L'empio Porfirio dice che questa profezia di Daniele è stata supposta da' cristiani.

2 Dan. 9. 23. 

3 Dan. 9. 4. 

4 In Caphthox.

1 L. 2. c. 2. 

2 Matth. 24. 15. et 34. 

3 Dan. 9. 26. 

4 2. Mach. 6. 15. 

5 Dan. 9. 26. 

1 L. 6. de Bello Iud. c. 5. 

2 L. 5. c. 13. 

3 L. 2. Ex version. Prosp. Intoreet.

4 Ier. 29. 10. 

5 Ier. 25. 1. 11. et 12. 

6 Dan. 9. 25. 

7 Nehem. 4. 13. 

1 Ier. 33. 34. 

2 1. Hebr. 10. 9. 

1 Matth. 4. 5. 

2 L. 6. de Bel. Iud. c. 6. 

3 Matth. 24. 16. ad 17. - Si osservi qui ancora l'avveramento della profezia fatta da Gesù Cristo allorché, stando a vista di Gerusalemme, pianse la ruina di quella misera città, e disse: Venient dies in te, et circumdabunt te inimici tui vallo, et circumdabunt te; et coangustabunt te undique, et ad terram prosternent te et filios tuos qui in te sunt, et non relinquent in te lapidem super lapidem. Luc. 19. 45. et seq. Tutto si avverò verso l'anno 40 dalla morte di Cristo, quando Tito assediò la città, ove erano gli ebrei concorsi da tutte le parti per celebrare la pasqua. E si avverò appunto, come il Signore avea predetto; poiché, come narra Giuseppe Ebreo de bello iud. 6. et 7. , Tito tre volte fece chiudere la città: prima la fece cingere da uno steccato, circumdabunt te inimici tui vallo: di poi aggiunse un altro argine, et circumdabunt te: ma vedendo che con tutto ciò entravano molti furtivamente in Gerusalemme a soccorrerla di viveri, per ultimo la fece circondare tutta da un gran muro, in modo che a' giudei fu chiuso ogni adito di aver più alcun soccorso o di fuggire. Onde i medesimi da disperati uscirono dalla città a combattere; ma essendo stati presi da' romani, Tito ordinò che fossero tutti crocifissi. E non bastarono le croci per crocifiggerli tutti, né bastò il luogo per piantare più croci; giusto castigo per coloro che aveano crocifisso il loro Dio e Salvatore. In somma fu tanto l'eccidio, che, oltre il numero di 97 mila ebrei che furon fatti schiavi, ne morirono in quella guerra un milione e centomila; e finalmente dopo quattro mesi fu presa la città, la quale insieme col tempio fu totalmente distrutta, secondo la predizione del Signore: Et non relinquent in te lapidem super lapidem.

4 1. Esdr. 3. 6. et 8. 

5 Aggaei 2. 7. 

6 Aggaei 2. 7. 

1 1. Esdr. 3. 12. et 13. 

2 C. ult. de Sinhedr.

3 Io. 2. 20. 

4 2. Par. 6. 7. 

5 2. Ibid. 6. 1. 

6 Isa 40. 5. 

7 Ephes. 2. 13. 

8 Mal. 3. 1. 

1 Proae. comment. in Malach.

2 Luc. 1. 76. 

3 Io. 1. 29. 

4 Isa. 7. 14. 

5 Micheae 5. 2. 

6 Ps. 71. 10. et 11. 

7 Isa. 40. 3. 

8 Zach. 11. 12. - In s. Matteo 27. 9. in vece di Zaccaria sta citato Geremia; ma s. Girolamo, Ruperto, Baronio ed altri giudicano essere stato questo errore de' libraj. Se pur non volesse taluno dire con Origene e Tertulliano che un tempo stava lo stesso passo in Geremia, e che poi vi è mancato, o è stato cancellato da' giudei. E s. Girolamo narra che un certo ebreo gli dimostrò un libro antico, ove il detto passo stava in Geremia.

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