martedì 7 giugno 2011

La Città di Dio - XXI parte

Riprendiamo la lettura dell'opera di Sant'Agostino nota come "La città di Dio". Nel passo odierno leggiamo come il Santo d'Ippona smaschera gli déi adorati dai Romani i quali altro non sono che spiriti demoniaci che istigavano alla violenza e alla delinquenza: attraverso le "avventure" di Silla, Sant'Agostino dimostra la falsità e gli inganni depravati di questi spiriti, mostrando come solo Gesù Cristo è promotore di una vera moralità dei costumi: 

24. 1. I tempi di Silla furono tali che al paragone si dovevano rimpiangere i precedenti, di cui egli sembrava il vendicatore. Dunque quando egli per la prima volta mosse l'accampamento verso Roma contro Mario, mentre immolava una vittima, le viscere gli apparvero, come scrive Livio 57, di tanto buon auspicio che l'aruspice Postumio volle essere messo in prigione per subire la pena di morte se Silla non avesse conseguito con l'aiuto degli dèi quello che si era proposto. Ecco un caso in cui gli dèi non si allontanarono abbandonando templi e altari, poiché predicevano un avvenimento e non si curavano affatto del ravvedimento di Silla. Promettevano col presagio un grande successo e non reprimevano con minacce una malvagia passione. In seguito mentre conduceva in Asia la guerra mitridatica, gli fu fatto dire da Giove mediante Lucio Tizio che avrebbe sconfitto Mitridate e così avvenne. Poi mentre si apprestava a tornare a Roma e a vendicare con una guerra civile le ingiustizie fatte a lui e a suoi partigiani, per mezzo di un soldato della sesta legione sempre da Giove gli fu mandato a dire che prima gli aveva predetto la vittoria su Mitridate e che adesso prometteva di dargli il potere con cui riavere dai nemici, con molto spargimento di sangue, il governo dello Stato. Allora Silla chiese quale figura fosse apparsa al soldato. Questi gliela descrisse ed egli ricordò che era la stessa descrittagli precedentemente da colui che gli aveva riferito l'annuncio di Giove riguardo alla vittoria su Mitridate.

Come si può giustificare il fatto che gli dèi si siano preoccupati di annunziare come fausti questi eventi e che nessuno di loro si sia curato di far ravvedere Silla, il quale stava per provocare sciagure molto gravi con scellerate guerre civili che non macchiavano ma addirittura distruggevano lo Stato? Naturalmente si deve pensare che i demoni, come spesso ho detto, come sappiamo dalla sacra Scrittura e come i fatti stessi dichiarano, esercitino la loro opera per esser considerati e adorati come dèi, per farsi presentare ossequi che vincolino i loro devoti al punto da avere con essi un pessimo capo d'accusa al giudizio di Dio.

24. 2. In seguito Silla essendo andato a Taranto e avendo offerto un sacrificio, vide nella parte superiore del fegato del vitello la forma di una corona d'oro. Allora il suddetto aruspice Postumio sentenziò che essa significava una grande vittoria e ordinò che lui solo mangiasse quelle viscere. Dopo poco uno schiavo di un certo Lucio Ponzio gridò divinando: "Vengo come messaggero da Bellona, la vittoria è tua, o Silla". E aggiunse che il Campidoglio stava per bruciare. Detto questo uscì dall'accampamento. Il giorno dopo vi tornò più agitato e gridò che il Campidoglio s'era incendiato. E in realtà il Campidoglio s'era incendiato. Fu facile al demone presagire l'avvenimento e notificarlo subito. Intendi ora, ed è l'aspetto più importante dell'argomento, quali siano gli dèi cui desiderano sottomettersi coloro i quali bestemmiano il Salvatore che libera le facoltà morali dei fedeli dal dominio dei demoni. Quell'individuo divinando gridò: "La vittoria è tua, o Silla"; e perché si credesse che presagiva per ispirazione divina, preannunciò un evento che si doveva verificare in breve, e subito si verificò, sebbene da esso fosse lontano l'uomo per cui mezzo lo spirito parlava. Non gridò tuttavia: "O Silla, evita le scelleratezze". E furono esecrabili quelle che commise a Roma dopo la vittoria. A lui inoltre si mostrò nel fegato di un vitello una corona d'oro come segno evidente della sua vittoria. E se divinità giuste e non empi demoni fossero solite dare questi segni avrebbero mostrato in quelle viscere l'avverarsi di mali indicibili e gravemente dannosi allo stesso Silla. La sua vittoria infatti non giovò così alla sua fama come danneggiò la sua passione. Ne risultò appunto che da uomo di sfrenata ambizione, innalzato e abbattuto dal successo, più che perdere materialmente i nemici, fosse perduto egli stesso moralmente. Proprio questi fatti veramente tristi e deplorevoli gli predicevano gli dèi senza le viscere, i presagi, il sogno o divinazione di alcuno. Temevano di più il suo ravvedimento che la sua sconfitta. Anzi si adoperavano che egli vincitore glorioso dei concittadini, a sua volta vinto e prigioniero fosse soggetto con legami molto stretti a vizi nefandi e mediante essi agli stessi demoni.

25. 1. Da questi fatti ognuno può comprendere e persuadersi, a meno che non abbia scelto di imitare dèi di tal fatta anziché troncare mediante la grazia divina ogni relazione con essi, quanto si adoperino questi spiriti maligni a favorire col proprio esempio quasi un'autorizzazione divina alla delinquenza. Al limite si sa perfino che essi mostrarono di azzuffarsi fra di loro in una vasta pianura della Campania, in cui poco dopo si scontrarono gli eserciti in una infame guerra civile. Si udì infatti in quel luogo un grande strepito di armi e subito dopo alcuni affermarono di aver visto per alcuni giorni due schiere che si combattevano. E appena questa battaglia cessò, trovarono orme come di cavalli e uomini, quali potevano essere impresse in una battaglia come quella 58. Se veramente le divinità si sono azzuffate, sono scusate allora anche le guerre civili degli uomini; si rifletta comunque quanto sia grande o la cattiveria o la infelicità di dèi simili. Se poi fecero finta di combattere, si adoperarono esclusivamente a convincere i Romani che, sull'esempio degli dèi, non commettevano alcun delitto con le guerre civili. Erano infatti già cominciate le guerre civili e si era già avuta qualche strage esecrabile in battaglie infami. Aveva già commosso molte persone l'episodio di un soldato che, mentre strappava le spoglie a un ucciso, riconobbe nel cadavere denudato il fratello e in segno di esecrazione per le guerre civili si uccise sul posto e cadde riverso sulla salma del fratello 59. Perché dunque non si provasse orrore di un così grave crimine, ma crescesse sempre la passione per le guerre efferate, i demoni malvagi, che i Romani consideravano dèi e ritenevano perciò che si dovessero onorare e venerare, vollero farsi vedere in combattimento dagli uomini perché il senso civico non si rifiutasse di imitare tali combattimenti, anzi il delitto umano fosse scusato dall'esempio divino. Con pari astuzia gli spiriti maligni si fecero dedicare con rito sacro gli spettacoli teatrali. Ho già detto abbastanza sull'argomento. Nei cori e nelle azioni drammatiche erano rappresentate grosse nefandezze degli dèi. Quindi lo spettatore, che le credesse o non le credesse ma gradiva vederle rappresentate, poteva imitarle tranquillamente. Ma qualcuno poteva pensare che i poeti, in quei passi in cui cantano che gli dèi si sono azzuffati, intendessero scrivere delle insolenze contro gli dèi anziché ciò che loro si addiceva. Essi allora per ingannare gli uomini avallavano i canti dei poeti col presentare, cioè, agli occhi degli uomini le proprie battaglie non solo per mezzo degli attori ma personalmente in battaglia campale.

25. 2. Sono stato costretto a dire queste cose perché gli scrittori romani non hanno affatto dubitato di dire e scrivere che la società civile era andata in rovina ed era inesistente prima della venuta di Cristo Gesù nostro Signore. Ma coloro che rinfacciano al nostro Cristo le sventure passeggere con cui non possono andare in rovina, sia in vita che dopo morte gli onesti, non rinfacciano ai propri dèi questa rovina. Eppure il nostro Cristo propone spesso grandi precetti per un'alta moralità contro la rovina dei costumi. Invece i loro dèi non si contennero affatto mediante buoni precetti con il popolo che li adorava perché la società non cadesse in sfacelo, anzi si contennero in maniera che, depravando i costumi con i propri esempi in una dannosa autorevolezza, la società andasse in rovina. Ed ora, come penso, non si oserà dire che era in sfacelo, perché gli dèi, come se fossero amici della virtù e offesi dai vizi umani, se ne andarono tutti abbandonando templi e altari 60. Al contrario è dimostrato che erano presenti perché con i tanti segni delle viscere, dei presagi, delle divinazioni si affannavano a vantarsi ed esibirsi come conoscitori di eventi futuri e fautori di battaglie. Qualora se ne fossero andati sul serio, i Romani avrebbero ecceduto nelle guerre civili di meno a causa delle proprie passioni che delle loro istigazioni.

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