mercoledì 15 giugno 2011

Verità della Fede - XXI parte

Tornano gli approfondimenti sulle "Verità della Fede" attraverso le attente analisi di Sant'Alfonso Maria de' Liguori. Siamo giunti al Cap. VIII nel quale il Santo Vescovo, Fondatore dei Redentoristi e Dottore della Chiesa si sofferma sui grandi dolori che il Messia doveva patire predetti nell'Antico Testamento a conferma che Gesù è il vero e unico Cristo. Il capitolo di oggi sarà seguito da due paragrafi che approfondiranno il tema dell'ottavo capitolo:



Verità della Fede

di Sant'Alfonso Maria de' Liguori

SECONDA PARTE

Cap. VIII.

CAP. VIII. Predizioni degli estremi dolori e delle ignominie con cui dovea morire il Messia.

5. Fu già troppo chiaramente da' profeti scritto che il Messia dovea morire per liberare gli uomini dalla morte eterna, e renderli immortali: De manu mortis (disse il Signore per Osea) liberabo eos; de morte redimam eos. Ero mors tua, o mors; morsus tuus ero, inferne1. Non potrebbe mai intendersi come Cristo avesse uccisa la morte, se non si fosse veduto un oggetto, in cui la morte fosse stata estinta, cioè se l'uomo, ch'era condannato alla morte eterna per la sua colpa, non avesse ricevuta la grazia dal Redentore di risorgere a vita immortale.

6. Ben anche lo stesso Messia predisse per bocca di Davide, come lo riferisce s. Paolo2. ch'egli dovea prender corpo umano e dar la vita per li peccati degli uomini: Hostiam et oblationem noluisti, corpus autem aptasti mihi. Holocaustomata pro peccato non tibi placuerunt. Tunc dixi: Ecce venio, in capite libri scriptum est de me, ut faciam Deus voluntatem tuam. Se dunque il Messia doveva esser sostituito alle vittime prescritte dalla legge, esso dovea esser la vittima da immolarsi, e spargere il sangue in vece degli animali, de' quali Iddio non più si compiaceva. E perciò il Verbo divino venne al mondo, e prese un corpo atto alle pene ed alla morte, per esser sacrificato per la salute degli uomini.

§. 1. Figure dell'antica legge ch'esprimevano questa morte del Messia.

7. Espressero già tanti secoli prima la morte di Gesù Cristo le tante figure premesse nell'antica legge, affinché gli uomini aspettassero con ansia questo gran sacrificio, che dovea recare a tutti la salute. Speciale fu la figura del testamento suggellato col sangue degli animali. La cerimonia fu questa: Mosè prese mezza parte del sangue dell'animale destinato per vittima, e la sparse sopra l'altare e sopra i dodici mucchi di pietre, che rappresentavano le dodici tribù d'Israele, dicendo: Hic est sanguis foederis, quod pepigit Dominus vobiscum super cunctis sermonibus his3. Questo, disse, è il sangue del patto fatto da Dio con voi sopra tutte le cose stabilite in questo volume. Ora in quel volume vi erano promesse e minaccie. Il popolo promettea l'ubbidienza a tutte le cose ordinate da Dio: Omnia quae locutus est Dominus, faciemus, et erimus obedientes4. All'incontro il Signore con tal cerimonia preparava per mezzo del sangue del venturo Messia la remissione de' peccati e il rimedio alle infermità del popolo. E per ciò scrive l'apostolo che Mosè ipsum quoque librum et omnes populum aspersit, dicens: Hic sanguis testamenti, quod mandavit ad vos Deus... Et omnia pene in sanguine secundum legem mundantur, et sine sanguinis effusionem non fit remissio5.

8. Le promesse e le minaccie nell'antica legge erano di beni e mali temporali, ma tutte adombravano le promesse e le minaccie eterne, espresse nella legge nuova; e per tanto soggiunge s. Paolo: Necesse est ergo exemplaria quidem coelestium his mundari, ipsa autem coelestia melioribus hostiis, quam istis6. Con quelle carnali e legali vittime bisognava che fossero mondati gli esemplari delle cose celesti, cioè del tabernacolo e del testamento e di tutte le cose che in quello si conteneano, le quali erano esemplari, cioè figure della chiesa di Cristo e del nuovo testamento: e perciò l'apostolo le chiama celesti per ragion della celeste vittima ed eredità promessa nella nuova legge: e tutto poi dovea mondarsi melioribus hostiis, cioè colla carne e col sangue di Gesù Cristo, che fu offerto un giorno sulla croce, ed ogni giorno si offerisce nell'eucaristia. E si noti che lo stesso volume della legge aspergeasi di sangue; con che significavasi il valore del sangue di Gesù Cristo, che solo può santificare le nostre buone opere, altrimenti senza i meriti di questo divino agnello elle non potrebbero esser meritorie di vita eterna.

9. Fu anche figura del sacrificio offerto da Gesù Cristo sulla croce il serpente di bronzo. Tumultuando il popolo ebreo contro Mosè e contro lo stesso Dio, fu già castigato colla morte di molti per mezzo di certi serpi infocati, che mordendo uccideano. Ma, interponendosi poi Mosè, il Signore ordinò che sopra d'un legno fosse affisso un serpente di bronzo, affinché i morsicati guardandolo restassero guariti1. È chiaro che questo serpente fu figura di Gesù Cristo, che prese la figura di peccatore, ma immune dal peccato, e colla sua morte recò a noi il rimedio per non morire. Onde chi lo guarda colla fede e coll'amore sacrificato sulla croce, ben trova la sua salute. Sicut Moyses exaltavit serpentem in deserto, ita exaltari oportet Filium hominis, ut omnis qui credit in ipsum, non pereat, sed habeat vitam aeternam2.

10. L'altra figura era quel sacrificio che si faceva in espiazione de' peccati quando il delitto era pubblico a rispetto del sacerdote, o era generale di tutto il popolo. Allora il sacerdote sacrificante insieme cogli anziani del popolo metteano le mani sul capo della vittima che dovea essere offerta in loro nome. Il sacerdote, intingendo il dito nel sangue di quella, ne spruzzava sette volte il velo, che stava avanti il Sancta Sanctorum sempre calato3. L'imposizione delle mani significava che tutti gli astanti erano degni della morte, e pregavano Dio che trasferisse in quella vittima la pena da loro meritata. Il sacerdote poi intanto non penetrava di là dal velo nel santuario, contenendosi in solamente spruzzar le stille di quel sangue contro del velo, in quanto ciò significava che Dio non potea placarsi col sangue di quella vittima, e che per tal mezzo altro loro non si promettea che la speranza d'una remissione futura per mezzo d'un sangue più salutare e d'un sacerdote più santo.

11. L'altra figura fu del Capro emissario. Nel giorno dell'espiazione generale ai dieci del settimo mese, chiamato Tisri, tutto il popolo ebreo si accusava con afflizione pubblicamente colpevole a nome suo e di tutti i suoi padri dal principio del mondo; ed era delitto di morte il non essere a parte di tale afflizione, secondo la legge: Omnis anima, quae afflicta non fuerit die hac, peribit de populis suis4. Uno de' sacrificj che si facea per questa penitenza, era il prender un irco, chiamato irco, o sia capro emissario, sulla testa del quale il sommo pontefice imponea le mani in nome di tutto il popolo, e tenendole così stese, si accusava di tutti i peccati d'Israele, cercando a Dio la grazia d'imputarli a quell'animale abbandonato all'ira divina; e dopo ciò mandava quell'irco a perdersi in un deserto, caricandolo prima di tutti gli anatemi che il popolo meritava5. Ecco come quel capro figurava Gesù Cristo, il quale, benché innocente, dovea per li nostri peccati esser caricato di obbrobrj e maledizioni (factus pro nobis maledictum6) per ottenere agli uomini la benedizione, in vece della maledizione da essi meritata.

§. 2. Della passione del Messia predetta apertamente da Isaia nel capo LIII.

12. Giustamente scrisse s. Geronimo nella sua prefazione in Isaia che questo profeta non tam propheta dicendus sit, quam evangelista rispetto a quanto disse del nostro Redentore. In effetto in Isaia si legge la nascita del Messia da una vergine, 7. 14. ; l'oblazione de' Magi, 60. 6. ; l'andata di Gesù in Egitto, 19. 1. ; la gloria del sepolcro, 11. 10. ; lo stabilimento della chiesa cristiana sulle rovine dell'idolatria, 2. 17. et 18. Ma specialmente si leggono con chiarezza nel capo LIII. i dolori, le ignominie e la morte di Gesù Cristo. Ivi comincia la profezia dal predire la poca credenza che avrebbe ritrovata fra gli uomini un'opera di tanta misericordia: Quis credidit auditui nostro, et brachium Domini cui revelatum est? Ibid. v. 1. E chi mai crederà a questa mia profezia ch'io ho udita da Dio? E chi giungerà a capire la virtù del braccio divino in operare la salute degli uomini? Quindi scrisse s. Giovanni che ben si avverò questo primo detto del profeta, allorché gli ebrei videro tanti miracoli di Gesù Cristo, e con tutto ciò non vollero crederlo: Cum autem tanta signa fecisset (Iesus) coram eis, non credebant in eum; ut sermo Isaiae prophetae impleretur, qui dixit: Domine, quis credidit auditui nostro? et brachium Domini cui revelatum est1?

13. Siegue a parlare il profeta: Non est species ei, neque decor: et vidimus eum, et non erat aspectus, et desideravimus eum: despectum et novissimum virorum, virum dolorum et scientem infirmitatem; et quasi absconditus vultus eius et despectus, unde nec reputavimus eum2. Egli è senza bellezza, ed ha perduto ogni splendore. L'abbiam veduto, ma non abbiam potuto riconoscerlo, e perciò abbiamo desiderato di mirarlo in miglior comparsa. Egli ci è sembrato spregevole ed il più vile degli uomini; ci apparisce come un uomo di dolori che patisce quanto si può patire in questa terra. La sua faccia è nascosta (il testo ebreo dice, abscondens faciem a se, come dicesse, egli nasconde la faccia da se stesso, quasi si vergognasse di sé) e perciò noi non l'abbiam riputato per quello che era.

14. Vere languores nostros ipse tulit, et dolores nostros ipse portavit; et nos putavimus eum quasi leprosum et percussum a Deo et humiliatum3. Egli veramente sopra di sé ha prese le nostre debolezze, e si ha addossati i dolori che a noi toccavano; e noi l'abbiamo stimato come un lebbroso (per le tante piaghe che gli han fatte) ed un uomo castigato ed umiliato da Dio. Ipse autem vulneratus est propter iniquitates nostras, attritus est propter scelera nostra; disciplina pacis nostrae super eum et livore eius sanati sumus. Omnes nos quasi oves erravimus, unusquisque in viam suam declinavit, et posuit Dominus in eo iniquitatem omnium nostrum4. Egli ha voluto essere impiagato per li nostri peccati, e lacerato per le nostre scelleraggini. Egli ha fatta de' nostri peccati la penitenza, che dovea riconciliarci con Dio, e noi siamo rimasti sanati colle sue lividure. Miseri! noi tutti come pecore avevamo errato, ognuno avea smarrita la via, andando dietro a' proprj appetiti, e Dio ha imposto a lui il peso di soddisfare per tutti questi delitti.

15. Oblatus est, quia ipse voluit, et non aperuit os suum: sicut ovis ad occisionem ducetur, et quasi agnus coram tondente se obmutescet, et non aperiet os suum5. Lo stesso testo sta citato da s. Luca negli atti degli apostoli6. Egli volontariamente si è offerto a patire e morire per noi, senza aprire la bocca nei tormenti che ha sofferti; e si è fatto condurre alla morte, come una pecorella si fa condurre al macello; ed è stato muto innanzi a' suoi carnefici come tace un agnello innanzi a chi lo tosa. Qui si aggiunga quel che disse il Messia per bocca dello stesso Isaia in altro luogo7Corpus meum dedi percutientibus et genas meas vellentibus: faciem meam non averti ab increpantibus et conspuentibus in me. Voltano i settanta: Dorsum meum dedi in flagello et maxillas meas in alapas. Io ho dato il corpo mio a' percussori e le mie guancie a coloro che me le hanno strappate; e non ho rimossa la mia faccia da coloro che mi hanno ingiuriato ed insultato ancora cogli sputi; come dicesse (comenta s. Geronimo): io non ho risparmiato fatiche e dolori, per redimere gli uomini. Il suddetto testo allude a quel che scrisse poi s. Matteo8Tunc expuerunt in faciem eius, et colaphis eum caeciderunt, alii autem palmas in faciem eius dederunt.

16. De angustia, et de iudicio sublatus est; generationem eius quis enarrabit? quia abscissus est de terra viventium; propter scelus populi mei percussi eum9. Egli è stato tolto dal mondo, essendo stato condannato alla morte con una iniquissima sentenza. Chi potrà narrare la nobiltà della sua stirpe? Se si riguarda la sua natura divina, egli è consostanziale al Padre; se l'umana, egli avanza la nobiltà di tutti gli uomini, essendo il re del cielo e della terra. E pure un tal Uomo-Dio per iniquità è stato privato di vita. Ma come voi, eterno Padre, l'avete permesso? Risponde il Padre: io per la malvagità del popol mio l'ho percosso, cioè ho permesso che i suoi nemici lo straziassero e l'uccidessero. Et dabit impios pro sepultura, et divitem pro morte sua; eo quod iniquitatem non fecerit, neque dolus fuerit in ore eius. Et Dominus voluit conterere eum in infirmitate1. Ma la conversione degli empj sarà il frutto della sua morte e sepoltura, ed egli colla virtù della sua morte renderà ricco il suo popolo, poiché è stato innocente, né mai ha ingannato alcuno, eppure il Signore l'ha voluto veder consumato da' patimenti.

17. Si posuerit pro peccato animam suam, videbit semen longaevum, et voluntas Domini in manu eius dirigetur. Pro eo quod laboravit anima eius, videbit, et saturabitur. In scientia sua iustificabit ipse iustus servus meus multos, et iniquitates eorum ipse portabit. Ideo dispertiam ei plurimos, et fortium dividet spolia, pro eo quod tradidit in mortem animam suam; et cum sceleratis reputatus est; et ipse peccata multorum tulit, et pro transgressoribus rogavit2. Avendo egli data la vita per gli altrui peccati, vedrà che la sua morte sarà feconda d'una discendenza di santi, e per opera sua si adempirà la volontà divina. Vedrà il frutto di quel che ha sofferto l'anima sua, e ne rimarrà contento e satollo. Il mio giusto servo, dice Dio, renderà giusti molti colla sua dottrina, ed egli pagherà le loro colpe. Perciò io lo colmerò di molta gente, ed egli acquisterà le spoglie de' forti (cioè de' demonj, che pria dominavano sopra il genere umano) per aver sacrificata la sua vita, e permesso d'esser annoverato tra gli scellerati, prendendo sopra di sé i peccati di molti, e pregando per li peccatori.

18. Il signor Voltaire, benché in altro luogo si unisce col sentimento comune, nondimeno nel comento che scrisse in Isaia al detto capo LIII. si sforzò di tirar tutto il senso in persona, non del Messia, ma di Geremia; ma ben è stato confutato da altri da parte in parte. I mali di Geremia si ridussero solamente ad una prigionia3, dalla quale finalmente fu liberato4; onde non poté esser chiamato Novissimus virorum, come fu chiamato il Messia. Né fu egli tolto di vita per violenza, come Isaia predisse di Cristo: Abscissus est de terra viventium. Geremia non patì certamente per soddisfare i peccati del suo popolo, e molto meno di tutti gli uomini; all'incontro Isaia dice di Cristo: Et posuit Deus in eo iniquitatem omnium nostrum. Geremia non liberò già noi da' nostri mali, ma bensì siamo stati noi guariti colle pene di Gesù Cristo, Livore eius sanati sumus. Geremia pregava il re Sedecia:Domine mi rex, ne remittas me in domum Ionatham scribae, ne moriar ibi5. Ma il Messia si offerì egli stesso alla morte: Oblatus est quia ipse voluit, ed altrove: Tradidit in mortem animam suam. Ma è possibile che un cristiano abbia a preferire la sua interpretazione a' vangelisti, agli apostoli e ad altri discepoli di Gesù Cristo? Già di sopra abbiam riferito il testo di Isaia: Quis credidit auditui nostro? etc. rapportato poi da s. Giovanni6 per descrivere l'incredulità degli ebrei. S. Matteo cita lo stesso capo d'Isaia in persona di Cristo: Ut adimpleretur quod dictum est per Isaiam prophetam dicentem: Ipse infirmitates nostras accepit, et aegrotationes nostras portavit7. S. Marco scrisse: Et impleta est scriptura, quae dicit: Et cum iniquis reputatus est8. S. Paolo scrisse: Christus mortuus est pro peccatis nostris secundum scripturas9. S. Pietro scrisse: Qui peccatum non fecit, nec inventus est dolus in ore eius (ch'è secondo l'altro passo d'Isaia riferito di sopra10). Ma più espresso è il testo che abbiamo negli atti degli apostoli1, dove si narra che il discepolo s. Filippo fu condotto dallo Spirito santo ad istruire l'eunuco della regina Candace, il quale appunto l'interrogò di chi intendesse parlare Isaia in questa profezia: Obsecro te de quo propheta dicit hoc? E s. Filippo (narra s. Luca nel luogo citato), aperiens os suum, et incipiens a scriptura ista, evangelizavit illi Iesum. Dice incipiens, perché poi in conferma di ciò gli addusse le altre scritture.

19. Alcuni giudei han detto che nel citato capo LIII. d'Isaia parlavasi, non già del Messia, ma del popolo ebraico e de' maltrattamenti a lui fatti da' romani. Ma troppo inettamente ciò han pensato; mentre ivi si parla d'un solo uomo di dolori, giusto e senza peccato. Convengono forse queste condizioni al popolo degli ebrei? Di più ivi si dice: Propter scelus populi mei percussi eum. Come può intendersi che il popolo è stato percosso per li peccati del popolo? Dicesi di più: Quasi agnus coram tondente se, obmutescet. Come può intendersi ciò del popolo ebreo che adoperò le violenze più strepitose contro i romani, che volean soggiogarlo? Ugone Grozio nella sua celebre opera De vera relig. christ. lib. 5. § 19. porta che gli stessi ebrei antichi non poterono negare che Isaia in questo capo LIII. parlò del Messia; solamente procurarono di stravolgere il senso, attribuendo inettamente i dolori e le ignominie che Isaia predisse del Messia agl'inimici degli ebrei medesimi, senza perdere però il Messia di vista. Ma gli ebrei moderni, vedendo che tale interpretazione era tutta opposta al vero senso, hanno scioccamente imitato il signor Voltaire, togliendo di mezzo il Messia, ed attribuendo tutto a Geremia; con che altro non han fatto, che maggiormente dimostrare il lor astio contro di Gesù Cristo e degli apostoli; mentre, come abbiam veduto, è troppo chiaro che Isaia in quel testo non parla che di Cristo. Onde loro sta bene ciò che disse ad essi l'imperator Costantino in quella celebre disputa tenuta in Roma coi rabbini da s. Silvestro papa, come riferisce il Cedreno: Si haec vestris continentur libris, frustra, iudaei, contradicitis, ob ea quae passus est Christus: quae, quo ordine praedicta, in Christo completa sunt. Grozio per altro, benché quest'eretico ha cercato più volte di stravolgere le profezie che parlano del Messia, in altre persone, parlando di questo capo LIII. d'Isaia, non ha potuto lasciar di scrivere che non può intendersi d'altri che di Cristo, dicendo: Quis potest nominari aut regum aut prophetarum, in quem haec congruant? Nemo sane2.

20. Che nel mentovato capo LIII. Isaia parlasse del Messia, costa ancora da' due capi antecedenti, poiché nel LII. parlò certamente del Messia, dicendo: Sciet populus meus nomen meum in die illa, quia ego ipse qui loquebar, ecce adsum etc. Quia consolatus est Dominus populum suum, redemit Ierusalem. Isa. 52. 6. et 9. E nel verso 10 soggiunse: Videbunt omnes fines terrae salutare Dei nostri. E nel verso 4. parla più particolarmente: Sic inglorius erit inter viros aspectus eius. Inoltre nel capo LI. disse: Prope est iustus meus, egressus est Salvator meus3. Or se non può riferirsi ad altri quel che dice Isaia nei due capi LI. e LII., così non può dirsi, che nel cap. LIII. non parli del Messia.

21. Abbiamo poi da Davide già predetto che il nostro Salvatore dovea essere spogliato delle sue vesti, e ignudo inchiodato alla croce nelle mani e piedi: Foderunt manus meas et pedes meos: dinumeraverunt omnia ossa mea. Ipsi vero consideraverunt, et inspexerunt me: diviserunt sibi vestimenta mea, et super vestem meam miserunt sortem4. Il qual testo di Davide sta appunto mentovato da s. Matteo 27. 35. e da s. Giovanni 19. 23. , dove essi vangelisti narrano la morte di Gesù Cristo. Alcuni giudei han cercato di stravolgere la parola foderunt, spiegandola in altro senso diverso; ma noi abbiamo che, oltre la volgata, così la spiegarono ancora la versione de' Settanta e quella di s. Geronimo e di Origene, e così anche le versioni araba, siriaca ed etiopica. La caldaica volta momorderunt, ch'è quasi lo stesso. Di più lo conferma la profezia di Zaccaria1.

1. Fu anche predetto da Davide nel citato salmo XXI2 che Gesù Cristo dovea morire deriso e bestemmiato dai giudei e dai soldati: Omnes videntes me deriserunt me: locuti sunt labiis, et moverunt caput: Speravit in Domino, eripiat eum: salvum faciat eum, quoniam vult eum. Al che allude quel che poi riferisce s. Matteo: Praetereuntes autem blasphemabant eum moventes capita sua, et dicentes: Vah qui destruis templum Dei, et in triduo illud reaedificas, salva temetipsum, si Filius Dei es, descende de cruce. Similiter et principes sacerdotum illudentes cum scribis et senioribus, dicebant: Alios salvos fecit, seipsum non potest salvum facere. Si rex Israel est, descendat nunc de cruce, et credimus ei. Confidit in Deo; liberet nunc, si vult, eum; dixit enim: quia Filius Dei sum3. Fu predetto ancora da Daniele e da Davide che il Messia doveva morire abbandonato da tutti, senza trovare chi lo consolasse; Daniele scrisse: Occidetur Christus, et non erit eius populus, qui eum negaturus est4. Volta l'ebreo: Et nemo ipsius. E Davide scrisse: Et sustinui qui simul contristaretur, et non fuit; et qui consolaretur, et non inveni5.

2. Così parimente fu predetto da Davide l'abbandono che sentì Gesù Cristo sulla croce, come scrive s. Matteo6Clamavit Iesus voce magna, dicens: Eli, Eli lammasabacthani? hoc est: Deus meus, Deus meus, ut quid dereliquisti me? E prima fu scritto da Davide in nome del Messia: Deus, Deus meus, respice in me; quare me dereliquisti? Longe a salute mea verba delictorum meorum7. Come dicesse: Dio mio, voi mi avete privato d'ogni consolazione, perché i delitti degli uomini, ch'io, per soddisfarli, li ho fatti miei, mi impediscono la salute, cioè l'esser liberato da questi dolori che mi opprimono. Onde poi scrisse s. Ambrogio8Pro me dolebit Christus, qui pro se nihil habuit, quod doleret? Et sequestrata delectatione divinitatis aeternae, taedio meae infirmitatis afficitur. E s. Agostino9Seponit divinitatem, idest quodammodo sequestrat, hoc est occultat quod suum erat, apparet quod acceperat, cioè il peso di pagare per li nostri peccati.

3. I giudei hanno orrore di riconoscere, e adorar Gesù Cristo per loro Salvatore, vedendolo morto giustiziato con una morte così acerba e obbrobriosa. Ma se Gesù Cristo fosse morto con una morte placida ed onorata da tutti, non potremmo noi sperar la salute da un tal Salvatore; perché il Salvatore a noi promesso dalle scritture dovea morire sazio di vituperj e di dolori, e trattato come l'ultimo degli uomini: Saturabitur opprobriis10Et vidimus eum... despectum et novissimum virorum, virum dolorum11. E tale appunto la nostra santa chiesa co' sacri vangelisti ce lo presenta, morto in un mare di dolori e d'ignominie: onde a questo solo Salvatore possiamo e dobbiamo confidare la nostra salute.

4. Prima che gli ebrei avessero veduto adempite le predizioni già fatte da' profeti circa la venuta, le opere e la morte del Messia, par che fossero più degni di scusa; ma dopo aver veduto avverato tutto con tutte le circostanze prenunziate, ben doveano rendersi alla verità conosciuta, come già si rendettero quei discepoli, di cui parla s. Giovanni1Haec non cognoverunt discipuli eius primum, sed quando glorificatus est Iesus, tunc recordati sunt, quia haec erant scripta de eo etc. Ma per gli ebrei che ostinati voglion seguire ad esser ciechi, la croce di Gesù Cristo siegue ad essere scandalo, come un tempo fu stoltezza pei gentili. Al presente però l'idolatria quasi da per tutto è distrutta, e per tutto il mondo ben si adora la croce, e non si attende, né si ammette altro Messia che il crocifisso aspettato e predetto da' profeti.

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1 Os. 13. 14. 

2 Hebr. 10. 5. 

3 Exod. 24. 8. 

4 Ibid. v. 7. 

5 Hebr. 9. 19. et 22. 

6 Hebr. 9. 23. 

1 Num. 21. 8. 

2 Ioan. 3. 14. 

3 Levit. 4. 5. 

4 Levit. 23. 29. 

5 Lev. 16. 5. 

6 Gal. 3. 13. 

1 Ioan. 12. 37. et 38. 

2 Isa. 53. 2. et 3. 

3 Ibid. vers. 4. 

4 Ib. v. 5. et 6. 

5 Ibid. v. 7. 

6 8. 52. 

7 50. 6. 

8 27. 67. 

9 Isa. 53. 8. 

1 Ib. v. 9. et 10. 

2 Isa. 53. v. 10. 11. et 12. 

3 Ier. 37. 14. 

4 Ier. 40. 1. et 6. 

5 Isaiae 37. 19. 

6 12. 38. 

7 Matth. 8. 17. 

8 Marc. 15. 28. 

9 1. Cor. 15. 3. 

10 1. Petr. 2. 22. 

1 10. 34. et 35. 

2 De ver. Christ. rel. l. 5. §. 19. 

3 Isa. 51. 5. 

4 Psal. 21. 18. et 19. 

1 Nel salmo 95 al verso 10. si legge: Dicite in gentibus, quia Dominus regnavit; aggiungono i settanta a ligno. Questa parola per altro non si trova nel testo Ebreo, ma gli antichi Padri, come s. Giustino, Tertulliano, s. Cipriano, s. Agostino, s. Leone, Lattanzio, Arnobio, Cassiodoro e l'antico Salterio Romano così lessero il testo citato; e scrive s. Giustino (contra Tryphon.) che gli Ebrei, o altri nemici della croce di Gesù Cristo tolsero da' nostri esemplari della versione de' Settanta la riferita parola, la quale si ritrova ben anche espressa nell'Inno del Vespro della Domenica di passione: Impleta sunt, quae concinit David fideli carmine, dicendo nationibus: Regnavit a ligno Deus.

2 V. 8. et 9. 

3 Matth. 27. 39. ad 45. 

4 9. 26. 

5 Psal. 68. 21. 

6 27. 46. 

7 Psal. 21. 2. 

8 L. 10. in Luc.

9 Serm. 77. n. 11. 

10 Thren. 3. 30. 

11 Isa. 53. 2. et 3. 

1 12. 16. 

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