martedì 12 luglio 2011

La Città di Dio - XXVI parte

 Riprendiamo la lettura dell'opera di Sant'Agostino nota come "La città di Dio" e ritroviamo Sant'Agostino nel ribadire fermamente la mancata presenza degli dei nella storia e nei fatti concernenti Roma:

Libro terzo

LA STORIA DI ROMA IN UNA VISIONE CRITICA 

13. E come mai neanche Giunone, che col suo Giove ormai favoriva i Romani padroni del mondo e gente togata 28, e Venere stessa non riuscì ad aiutare i discendenti del suo Enea affinché i matrimoni si ottenessero con una legittima e giusta istituzione? La sventura della mancanza di donne fu così grande che le rapirono con l'inganno e furono costretti immediatamente a combattere contro i suoceri. Così le sventurate donne, non ancora unite ai mariti mediante un'ingiustizia, ricevevano in dote il sangue dei padri 29. Ma, obiettano, in questo conflitto i Romani vinsero i loro vicini. Simili vittorie, rispondo, risultarono di molte e grandi ferite e morti dall'una e dall'altra parte, tanto dei cittadini che dei confinanti. Considerando la colpa del solo suocero Cesare e del solo suo genero Pompeo, dopo la morte della figlia di Cesare e moglie di Pompeo, con grande e giusto impulso di dolore Lucano esclama: Canto le guerre peggiori di quelle civili per i campi della Tessaglia e il diritto accordato alla scelleratezza 30. Vinsero dunque i Romani ma per costringere con le mani insanguinate nell'uccisione dei suoceri le loro figlie a deplorevoli amplessi. Ed esse non osavano piangere il padre ucciso per non offendere il marito vincitore perché non sapevano, mentre essi ancora combattevano, per chi fare auspici. Non Venere ma Bellona donò simili nozze al popolo romano; o forse Aletto, la furia infernale, poiché ora Giunone favoriva i Romani, ebbe un'autorizzazione più ampia di quando fu istigata dalle sue preghiere contro Enea 31. Andromaca fu fatta prigioniera con una condizione più felice di quella con cui quelle coppie romane si sposarono. Dopo gli amplessi con lei, per quanto trattata da schiava, Pirro non uccise più alcun troiano; i Romani invece uccidevano in battaglia i suoceri mentre ne abbracciavano le figlie nel letto. Andromaca soggetta al vincitore poté soltanto dolersi della morte dei propri cari, non temere 32; le Sabine, congiunte ad uomini che si combattevano, temevano la morte dei padri quando i mariti uscivano in guerra e la piangevano quando rientravano, prive della libertà di temere e di piangere. Infatti o erano tormentate dall'affetto filiale o si rallegravano con crudeltà per le vittorie dei mariti a causa della morte dei cittadini, dei congiunti, dei fratelli, dei padri. Si aggiungeva che, secondo l'alterna vicenda delle guerre, alcune perdettero il marito per mano del padre, altre il padre e il marito per mano dell'uno e dell'altro. Infatti anche per i Romani non furono piccoli i rischi se si giunse all'assedio della loro città. Si difesero chiudendo le porte. Ma furono aperte con la frode e i nemici penetrarono dentro le mura. Avvenne allora nel foro stesso una scellerata e veramente atroce zuffa fra generi e suoceri; i rapitori erano anche sopraffatti e fuggendo ripetutamente entro le proprie case disonoravano le vittorie di prima, sebbene anche esse vergognose e deplorevoli. A questo punto Romolo, disperando ormai del valore dei suoi, pregò Giove perché stessero al proprio posto e per quell'occasione gli trovò il titolo di Statore 33. Non si sarebbe avuta la fine di una sventura così grave se le donne rapite, strappandosi i capelli, non si fossero slanciate nella mischia e, prosternandosi ai padri, non avessero placato la loro giustissima ira non con le armi vittoriose ma con il supplichevole affetto filiale 34. In seguito Romolo, intollerante del fratello come compagno, fu costretto a prendere come socio nel regno Tito Tazio re dei Sabini. Ma come avrebbe potuto sopportare a lungo anche costui se non sopportò il fratello e per di più gemello? Quindi ucciso anche lui, per essere un dio più grande, tenne da solo il regno. E sono questi i diritti delle nozze, queste le giustificazioni delle guerre, questi i patti della fratellanza, dell'affinità, della convivenza, della divinità? Questa infine la vita di una città sotto la protezione di tanti dèi? Puoi osservare che sull'argomento si potrebbero fare molte e serie considerazioni, se il nostro assunto non avesse interesse a quelle che restano e il discorso non volgesse ad altro.


14. 1. Che avvenne dopo Numa sotto gli altri re? Con grande danno loro e dei Romani gli abitanti di Alba furono provocati alla guerra perché in definitiva la tanto lunga pace di Numa si era svilita. Vi furono ripetuti massacri dell'esercito di Roma e di Alba e un decremento dell'una e dell'altra città. Alba, fondata da Ascanio figlio di Enea, pur essendo madre di Roma più da vicino che Troia, provocata da Tullo Ostilio venne a conflitto e venuta a conflitto fu afflitta e afflisse, finché a causa dell'egual numero di morti rincrebbero i molti combattimenti. Si decise allora di affidare l'esito della guerra a tre fratelli da una parte e a tre fratelli dall'altra. Dai Romani furono presentati i tre Orazi, dagli Albani i tre Curiazi; dai tre Curiazi furono vinti e uccisi due Orazi e da un solo Orazio i tre Curiazi. Quindi Roma risultò vincitrice mediante quella strage anche nella gara decisiva, sicché dei sei uno solo tornò a casa. Ma per chi furono il danno e la perdita se non per la stirpe di Enea, per i posteri di Ascanio, per la discendenza di Venere, per i nipoti di Giove? Fu infatti peggiore di una guerra civile perché una città figlia combatté con la città madre. E a quest'ultimo combattimento dei tre gemelli si aggiunse un altro delitto veramente atroce. Poiché infatti i due popoli prima erano amici essendo vicini e della medesima stirpe, una sorella degli Orazi era fidanzata ad uno dei Curiazi. Ella, viste le spoglie del fidanzato sul fratello vincitore, si mise a piangere e per questo fu uccisa dal fratello stesso. Mi sembra che soltanto il sentimento di questa fanciulla sia stato più umano di quello di tutto il popolo romano. Ritengo che abbia pianto senza colpa perché soffriva per l'uomo che in base alla fedeltà promessa considerava marito o forse anche per il fratello stesso che l'aveva ucciso, sebbene gli avesse fidanzata la sorella 35. Per qual motivo dunque in Virgilio il pietoso Enea è lodato perché si affligge per il nemico ucciso di sua mano 36? Per qual motivo Marcello, riflettendo sulla comune condizione umana, commiserò col pianto la città di Siracusa perché ricordò che il suo splendore e gloria di poco prima erano caduti per sua mano 37? Riconosciamo, per favore, a un sentimento di umanità che una fanciulla non abbia commesso un delitto perché piangeva il proprio fidanzato ucciso dal proprio fratello, se alcuni uomini ebbero lode perché piansero sui nemici da loro stessi uccisi. Dunque mentre quella piangeva la morte procurata dal fratello al fidanzato, Roma esultava per aver combattuto con grande massacro contro la città madre e per aver vinto con grande effusione di sangue fraterno dall'una e dall'altra parte.

14. 2. Perché mi si adducono come pretesto il concetto di onore e il concetto di vittoria? A scanso dei pregiudizi di una folle mentalità, i fatti siano considerati senza orpelli, siano valutati senza orpelli, siano giudicati senza orpelli. Si adduca una colpa di Alba come si adduceva l'adulterio di Troia. Non esiste, non si trova. C'è soltanto che Tullo volle muovere alle armi gli uomini inerti e l'esercito disabituato ai trionfi 38. Per quella colpa dunque fu commesso il grande delitto di una guerra fra alleati e individui della medesima stirpe. Sallustio accenna di passaggio a questa grande colpa. Dopo aver ricordato con lode i tempi antichi, quando senza cupidigia si trascorreva la vita umana e a ciascuno bastavano le proprie cose, soggiunge: Dopo che Ciro in Asia e gli Spartani e gli Ateniesi in Grecia cominciarono a sottomettere città e nazioni, considerarono la passione del dominio una giustificazione della guerra, pensarono che la più grande gloria fosse nel più grande impero 39. Seguono gli altri concetti che aveva iniziato ad esporre. A me può bastare aver citato le sue parole fino a questo punto. La passione del dominio scuote e abbatte il genere umano con grandi sciagure. Vinta da questa passione Roma credeva un trionfo l'aver vinto Alba e denominava gloria l'esaltazione del proprio delitto, giacché, dice la nostra Scrittura, il peccatore si esalta nei desideri della sua anima e si parla bene di chi compie azioni inique 40. Si spoglino dunque dei fatti e vernici menzognere e imbiancature ingannevoli perché siano osservati con esame sereno. Non mi si venga a dire: "Grande quel tale ed anche quell'altro, perché ha combattuto e vinto con quel tale e con quell'altro". Combattono anche i gladiatori, anche essi vincono, anche quella crudeltà ha il premio della lode, ma io penso che è preferibile subire la condizione penosa della inettitudine che procurarsi la gloria di quei combattimenti. Ma chi sopporterebbe tale spettacolo se scendessero nell'arena per battersi due gladiatori, di cui uno è il figlio, l'altro il padre? Chi non lo eliminerebbe? Come dunque poté essere gloriosa la contesa armata fra due città, di cui una la madre, l'altra la figlia? È forse diverso perché in questo caso non c'era l'arena e terreni più spaziosi si riempivano di cadaveri non di due gladiatori ma di molti dei due popoli e perché quelle gare non erano circoscritte all'anfiteatro ma al mondo intero e vi si dava uno spettacolo spietato ai vivi di allora e ai posteri, fin quando se ne estende la fama?

14. 3. Tuttavia gli dèi tutelari del dominio di Roma e quasi spettatori di tali lotte sentivano insoddisfatta la propria passione finché la sorella degli Orazi come compenso dei tre Curiazi uccisi non fu aggiunta dall'altra parte anche essa come terza ai due fratelli dalla spada del fratello. Così Roma che aveva vinto non aveva un minor numero di morti. Poi per avere il vantaggio della vittoria Alba fu distrutta, in cui, terza nell'ordine, avevano abitato le divinità troiane, dopo Troia distrutta dai Greci e dopo Lavinio, in cui Enea aveva costituito un regno provvisorio di nomadi. Ma secondo il loro costume gli dèi anche da essa erano fuggiti e per questo è stata distrutta. Quanto dire che si erano allontanati tutti gli dèi da cui era stato conservato quel dominio 41. Si erano allontanati già per la terza volta perché come quarta fosse loro affidata Roma. Erano scontenti di Alba, in cui aveva regnato Amulio dopo aver espulso il fratello ed erano contenti di Roma, in cui aveva regnato Romolo dopo avere ucciso il fratello. Ma prima che Alba fosse distrutta, il suo popolo fu travasato, dicono 42, in Roma in modo che di due si facesse una città. E sia, così è avvenuto. Tuttavia quella città, regno di Ascanio, terzo domicilio degli dèi troiani e città madre fu distrutta dalla città figlia. E perché i superstiti della guerra costituissero di due un solo popolo, il molto sangue versato dell'uno e dell'altro ne fu un legame degno di compassione. Perché ormai dovrei parlar singolarmente delle medesime guerre ripetutesi tante volte sotto gli altri re, che sembravano chiuse con una vittoria ma erano di nuovo condotte con tante stragi e di nuovo ancora riprese dopo il patto e la pace fra suoceri e generi, tra la loro stirpe e i discendenti? Non piccolo indizio di questa sventura fu che nessuno di quei re chiuse le porte della guerra. Nessuno di loro dunque con tanti dèi tutelari regnò in pace.


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