martedì 19 luglio 2011

La Città di Dio - XXVII parte

 Riprendiamo la lettura dell'opera di Sant'Agostino nota come "La città di Dio": nel passo odierno, il Santo d'Ippona si sofferma sulla sorte toccata ai celebri sette re di Roma, a cominciare da Romolo:  

Libro terzo

LA STORIA DI ROMA IN UNA VISIONE CRITICA  
 

15. 1. E quale è stata la fine degli stessi re? Per quanto riguarda Romolo, se la veda l'esaltazione mitica con cui si afferma che fu accolto in cielo; se la vedano alcuni scrittori romani i quali hanno detto che a causa della sua crudeltà fu fatto sparire per ordine del senato e che fu incaricato alla chetichella non saprei quale Giulio Proculo perché dicesse che gli era apparso e che per mezzo suo ordinava al popolo romano di venerarlo fra le divinità 43. In questo modo il popolo, che aveva cominciato a sollevarsi contro il senato, fu ricondotto alla calma. Era avvenuta anche un'eclissi solare e poiché la massa ignorante non sapeva che si era verificato per una legge fissa del corso del sole, lo attribuiva ai meriti di Romolo. Al contrario, se quello fosse stato il cordoglio del sole, si doveva piuttosto pensare che egli fosse stato ucciso e che il delitto veniva denunziato anche con l'oscuramento della luce del giorno, come di fatto avvenne quando il Signore per la crudele empietà dei Giudei fu crocefisso 44. Il fatto appunto che allora era la Pasqua dei Giudei, celebrata solennemente nel plenilunio, dimostra che l'oscurarsi del sole non dipendeva dal corso regolare dei corpi celesti, mentre di regola l'eclissi di sole avviene nel novilunio. Abbastanza chiaramente Cicerone mostra che l'apoteosi di Romolo fu piuttosto creduta che avvenuta, giacché pur esaltandolo nei libri Sullo Stato con le parole di Scipione, scrive: Ha conseguito un così alto onore perché, non essendosi improvvisamente più fatto vedere in seguito a un'eclissi di sole, si pensò che fosse annoverato nel numero degli dèi. Nessun mortale poté mai raggiungere una simile reputazione senza un'eccezionale distinzione nel valore 45. Quando dice che improvvisamente non fu più visto, si intende certamente o la violenza del temporale o la segretezza di una uccisione delittuosa. Gli altri scrittori romani aggiungono infatti all'eclissi solare anche un improvviso temporale che sicuramente o offrì l'occasione al misfatto o fece scomparire esso stesso Romolo 46. Infatti pure di Tullo Ostilio, terzo re dopo Romolo, anche egli folgorato, non si credette, come dice Cicerone nella medesima opera, che con tale morte fosse accolto fra gli dèi 47. I Romani non vollero estendere a tutti, cioè svilire, ciò che era accertato, ossia opinabile, di Romolo, se il fatto fosse attribuito con facilità anche ad un altro. Dice inoltre apertamente nelle orazioni invettive: Abbiamo per gratitudine a voce di popolo innalzato fino agli dèi immortali l'uomo che fondò questa città 48. Mostra così che non era divenuto dio realmente ma che per gratitudine, a causa dei meriti del suo valore, era stato esaltato dalla tradizione. Nel dialogo Ortensio, parlando dell'eclissi normale del sole, afferma: Affinché produca le stesse tenebre che produsse nella morte di Romolo, la quale avvenne durante un'eclissi solare 49. Qui evidentemente non teme di parlare della morte di un uomo, perché parlava da pensatore e non da encomiasta.

15. 2. Gli altri re di Roma, esclusi Numa Pompilio e Anco Marzio che morirono di malattia 50, subirono una fine orribile. Come ho già detto, Tullo Ostilio, vincitore e sterminatore di Alba, morì folgorato assieme a tutta la famiglia 51. Il primo Tarquinio fu fatto uccidere dai figli del suo predecessore 52. Servio Tullio fu ucciso con un esecrando delitto dal genero Tarquinio il Superbo che gli successe nel regno 53. Tuttavia non si allontanarono gli dèi abbandonando templi e altari quando fu commesso questo assassinio contro il migliore re del popolo romano. Eppure affermano che furono indignati per l'adulterio di Paride al punto di fuggire dalla misera Troia e abbandonarla ai Greci per essere distrutta col fuoco. Anzi Tarquinio successe al suocero da lui stesso ucciso. Gli dèi, senza allontanarsi ma rimanendo presenti, videro questo detestabile assassino divenir re con l'uccisione del suocero, gloriarsi di molte guerre e vittorie e costruire con i bottini di guerra il Campidoglio 54, sopportarono anche che Giove loro re in quell'augusto tempio, cioè nell'edificio costruito dall'assassino, dominasse e regnasse su di loro. Infatti non aveva costruito il Campidoglio quando era ancora innocente per essere in seguito espulso da Roma per le sue malvagità, ma giunse al regno, durante il quale costruì il Campidoglio col commettere l'esecrabile delitto. La causa per cui più tardi i Romani lo scacciarono dal regno esiliandolo dalla città fu la colpa, non sua ma del figlio, della violazione di Lucrezia, e commessa non solo a sua insaputa ma anche in sua assenza 55. Assediava allora la città di Ardea, era in guerra per il popolo romano. Non sappiamo che cosa avrebbe fatto se fosse venuto a conoscenza del misfatto del figlio. Tuttavia senza conoscere la sua sentenza e senza informarlo il popolo gli tolse il dominio, quindi fatto entrare l'esercito con l'ordine di abbandonarlo e chiuse le porte, non lo lasciò tornare in città. Egli dopo pesanti guerre, con cui sollevando i popoli vicini logorò i Romani, abbandonato da coloro nel cui aiuto aveva sperato, non riuscì a riacquistare il regno. Condusse comunque nella città di Tuscolo vicina a Roma per quattordici anni, come si narra, vita privata in tranquillità, giunse alla vecchiaia assieme alla moglie 56 e si spense con una fine più desiderabile di quella del suocero ucciso col delitto del genero e, come si narra, col consenso della figlia 57. Tuttavia i Romani non denominarono questo Tarquinio crudele o scellerato ma superbo forse perché per un altro genere di superbia non sopportavano il suo orgoglio di re. Infatti non presero in considerazione il delitto dell'uccisione del suocero, il migliore dei loro re, tanto che lo elessero re. In proposito mi meraviglio che abbiano dato una così grande ricompensa a un delitto così grave senza ricorrere a un delitto più grave. E gli dèi non si allontanarono abbandonando templi e altari. Ma qualcuno potrebbe difendere questi dèi col dire che rimasero a Roma per punire con pene i Romani anziché aiutarli con favori perché li ingannavano con vane vittorie e li sterminavano con guerre sanguinose. Questa fu la vita dei Romani nel periodo encomiabile dello Stato fino all'espulsione di Tarquinio il Superbo per circa duecentoquarantatré anni. Eppure tutte quelle vittorie, ottenute con molto sangue e grandi sventure, non estesero il suo dominio oltre le venti miglia dalla città 58. Ed è uno spazio che non si può affatto paragonare all'attuale territorio di una qualsiasi città della Getulia.

16. A questo periodo aggiungiamo anche quello in cui, come dice Sallustio, si amministrò con diritto giusto e moderato, mentre si avevano il timore da parte di Tarquinio e la grave guerra con l'Etruria 59. Infatti finché gli Etruschi aiutarono Tarquinio che tentava di rioccupare il regno, Roma fu logorata da una grave guerra. E Sallustio dice che lo Stato fu amministrato con legislazione giusta e moderata, perché il timore incalzava e non perché decideva la giustizia. In quel breve periodo fu veramente funesto l'anno in cui, dopo la fine del potere regio, furono eletti i primi consoli. Essi intanto non portarono a termine il loro anno. Giunio Bruto infatti depose ed esiliò da Roma il collega Lucio Tarquinio Collatino 60. Subito dopo egli cadde in combattimento uccidendo a sua volta il nemico, dopo aver fatto uccidere in precedenza i figli e i fratelli della moglie, perché aveva scoperto che congiuravano per ristabilire Tarquinio 61. Virgilio, ricordato l'episodio con ammirazione, immediatamente ne prova orrore per senso di umanità. Dice infatti: Un padre per l'amata libertà condannerà a morte i figli che preparavano nuove guerre; ma subito aggiunge l'esclamazione: Sciagurato, in qualsiasi modo i posteri giudicheranno quei fatti. Comunque, egli dice, i posteri giudichino i fatti, cioè vantino ed esaltino un individuo che ha ucciso i figli, Bruto è uno sciagurato. E come a consolare lo sciagurato, soggiunse: Vincono l'amore della patria e l'immensa passione della gloria 62. E in Bruto, che uccise perfino i figli e non poté sopravvivere al nemico figlio di Tarquinio da lui ferito a morte perché a sua volta ferito a morte, mentre a lui sopravvisse Tarquinio, non sembra vendicata l'innocenza del collega Collatino? Questi, pur essendo un buon cittadino, subì, dopo l'espulsione di Tarquinio ciò che aveva subito lo stesso Tarquinio che era un tiranno. Si narra infatti che anche Bruto fosse consanguineo di Tarquinio 63 ma fu la omonimia a danneggiare Collatino, perché aveva come nome anche Tarquinio. Si doveva costringerlo a mutare il nome non la patria; in definitiva nel suo nome si sarebbe avuto un termine di meno, si sarebbe chiamato Lucio Collatino. Ma per questo appunto non fu costretto a perdere ciò che avrebbe potuto perdere senza danno per costringerlo a perdere la carica di primo console e la cittadinanza sebbene buon cittadino. Anche questa detestabile ingiustizia di Giunio Bruto e niente affatto vantaggiosa allo Stato è gloria? E per commetterla vincono l'amor di patria e l'immensa passione della gloria? Ormai espulso il tiranno Tarquinio, fu eletto console assieme a Bruto il marito di Lucrezia, Lucio Tarquinio Collatino. Giustamente il popolo badò nel cittadino ai costumi, non al nome. Ma Bruto, che avrebbe potuto privare il collega nella carica, istituita da poco per la prima volta, soltanto del nome se esso gli dava fastidio, spietatamente lo privò della patria e della carica. Si compirono queste malvagità, avvennero queste sciagure nello Stato romano quando si amministrò con legislazione giusta e moderata. Anche Lucrezio, eletto in luogo di Bruto, morì di malattia prima che l'anno finisse. Furono Publio Valerio, che era succeduto a Collatino e Marco Orazio, sostituito al defunto Lucrezio, a chiudere quell'anno fatale e cupo che ebbe cinque consoli 64. E proprio in quell'anno lo Stato romano diede l'avvio alla nuova carica politica del consolato.

 

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