martedì 26 luglio 2011

La Città di Dio - XXVIII parte

Riprendiamo la lettura dell'opera di Sant'Agostino nota come "La città di Dio": nell'appuntamento odierno vediamo la crisi (secondo Sallustio) e le sciagure che colpirono il popolo romano, a dimostrazione dell'inesistenza degli dei e della perversità dei costumi romani: 

Libro terzo

LA STORIA DI ROMA IN UNA VISIONE CRITICA  

17. 1. Allora diminuito ormai il timore, non perché le guerre fossero cessate, ma perché non incalzavano tanto gravemente, finito cioè il tempo in cui si amministrò con legislazione giusta e moderata, seguirono le condizioni che il citato Sallustio espone in breve così: In seguito i patrizi trattarono la plebe come schiava, ne disposero della vita e dell'opera con diritto regio, la privarono della proprietà dei campi e amministrarono da soli con l'esclusione di tutti gli altri. La plebe, oppressa dalla vessazione e soprattutto dalle tasse giacché doveva subire l'imposta e insieme il servizio militare per le continue guerre, occupò armata il monte Sacro e l'Aventino e così rivendicò i tribuni della plebe e gli altri diritti. Fine delle discordie e della lotta fra le due parti fu la seconda guerra punica 65. Perché dunque dovrei subire continue dilazioni e imporle ai lettori? Da Sallustio è stata rilevata la grande crisi della società romana, perché da lungo tempo e per tanti anni fino alla seconda guerra punica le guerre non cessarono di turbarla dall'esterno e le discordie e le sedizioni civili nell'interno. Pertanto quelle vittorie non sono state gioie piene di individui felici ma vuote consolazioni d'individui infelici e sollecitazioni ingannevoli d'individui guerrafondai a subire continue sventure prive di risultato. E i buoni Romani non devono arrabbiarsi con noi perché diciamo queste cose, sebbene non devono essere né richiesti né avvertiti in proposito, perché è assolutamente certo che non si arrabbieranno affatto. Infatti io, inferiore per cultura letteraria e disponibilità di tempo, non posso certamente dire più duramente cose più dure dei loro scrittori, tanto più che i Romani stessi si sono applicati e costringono i loro figli ad applicarsi per conoscerli. Ma coloro che si arrabbiano non mi perdonerebbero certamente se fossi io a dire queste parole di Sallustio: Si ebbero moltissimi tumulti, sedizioni e infine guerre civili, giacché pochi potenti, la cui influenza parecchi avevano accettato, aspiravano alle cariche con la speciosa adesione al partito senatoriale o democratico. Furono considerati buoni anche i cattivi cittadini e non per benemerenze verso la società, giacché tutti erano depravati, ma il più ricco e più capace nel commettere ingiustizia era considerato onesto perché difendeva lo stato presente delle cose 66. Dunque gli storiografi hanno considerato di pertinenza di una onorata libertà non tacere i mali della propria città, sebbene in molti passi sono stati costretti a lodarla con alto encomio, perché non conoscevano quella ideale, nella quale si devono raccogliere i cittadini dell'eternità. Che cosa dunque dovremmo far noi che dobbiamo avere una libertà tanto più grande, quanto è migliore e più certa la nostra speranza in Dio, quando rinfacciano i mali presenti al nostro Cristo? E lo fanno per distogliere le coscienze più deboli e inesperte da quella città in cui soltanto si potrà vivere in una felicità perpetua? E io non dico contro i loro dèi cose più tremende di quelle dette allo stesso modo dai loro scrittori che essi leggono ed esaltano, giacché da loro le ho apprese e non sono certamente da tanto di dirle tutte e come loro.

17. 2. Dove erano dunque quegli dèi, che si ritiene di dover onorare in vista dell'insignificante e fuggevole felicità di questo mondo, quando i Romani, ai quali con l'astuzia dell'impostore si esibivano per farsi onorare, erano travagliati da tante sciagure? Dove erano quando il console Valerio fu ucciso mentre difendeva con successo il Campidoglio, al quale esiliati e schiavi avevano appiccato il fuoco 67? Eppure era stato di maggior aiuto egli al tempio di Giove che a lui la ressa di tante divinità col loro re ottimo massimo, di cui aveva salvato il tempio. Dove erano quando la cittadinanza, afflitta dal male incessante delle sedizioni, in un breve periodo di tranquillità, aspettava gli ambasciatori mandati ad Atene per derivarne le leggi, fu spopolata da grave fame e pestilenza 68? Dove erano quando, in altra occasione, il popolo travagliato dalla fame creò il primo prefetto della provvigione annuale e aumentando la fame Spurio Melio, per il fatto che offrì grano alla massa affamata, fu incolpato di aspirare al regno e su richiesta del medesimo prefetto fu condannato dal dittatore Lucio Quinzio, rimbambito dall'età, e fu giustiziato, durante un gravissimo e pericolosissimo tumulto popolare, dal capo della cavalleria Quinto Servilio 69? Dove erano quando, scoppiata una gravissima epidemia, il popolo a lungo e pesantemente logorato, prese la deliberazione, mai avutasi prima, di offrire nuovi lettisterni agli dèi inefficienti 70? Si stendevano dei letti conviviali in onore degli dèi e da quell'uso ebbe nome questo rito sacro o meglio sacrilegio. Dove erano quando l'esercito romano, poiché combatteva male, per dieci anni continui aveva ricevuto presso Veio frequenti e pesanti sconfitte, se infine non fosse stato soccorso da Furio Camillo che in seguito l'ingrata città condannò 71? Dove erano quando i Galli presero, saccheggiarono, incendiarono e riempirono di stragi Roma 72? Dove erano quando una straordinaria epidemia menò tanta strage di cui morì anche Furio Camillo che difese prima l'ingrata patria dai Veienti e poi la protesse anche dai Galli?. Durante questa epidemia i Romani introdussero gli spettacoli teatrali, altra nuova peste non per il loro corpo ma, che è molto più funesto, per la loro moralità 73. Dove erano quando si sospettò che un'altra forte mortalità fosse dovuta ai veleni propinati da certe matrone e si scoprì che la moralità di molte nobili donne insospettate era più rovinosa di qualsiasi epidemia 74? O quando ambedue i consoli con l'esercito, assediati dai Sanniti alle forche caudine, furono costretti a stipulare con loro un patto disonorevole al punto che consegnati come ostaggi seicento cavalieri romani, gli altri, perdute le armi, spogliati e privati del resto dell'armatura, furono fatti passare sotto il giogo dei nemici, con un solo indumento addosso 75? O quando, mentre alcuni erano colpiti da grave pestilenza, molti altri, anche nell'esercito, morirono folgorati 76? O quando, scoppiata un'altra paurosa epidemia, Roma fu costretta a chiamare Esculapio da Epidauro per servirsene come di un dio medico 77, perché le frequenti fornicazioni, cui aveva atteso da giovanotto, non avevano permesso a Giove, che da tempo comandava in Campidoglio, di apprendere la medicina? O quando in seguito all'alleanza simultanea di Lucani, Bruzi, Sanniti, Etruschi e Galli Senoni, in un primo tempo furono uccisi i legati romani e poi fu sconfitto l'esercito guidato dal pretore e morirono assieme a lui sette tribuni e tredicimila soldati 78? O quando dopo lunghe e gravi sedizioni a Roma, alla fine la plebe, con ostile discordia, fece secessione sul Gianicolo? Era così grave il danno di questa sciagura che in vista di essa, e questo avveniva in pericoli di estrema gravità, fu creato dittatore Ortensio il quale, fatta tornare la plebe, morì durante la magistratura 79. Non si era mai verificato prima di lui ad alcun dittatore. Fu quindi un reato più grave degli dèi, perché era già presente Esculapio.

17. 3. E scoppiarono in quei tempi tante guerre che per carenza di soldati furono arruolati i proletari, così chiamati perché attendevano a generare prole non potendo fare il soldato per mancanza di mezzi. Anche Pirro, un re della Grecia, fatto venire dai Tarentini, venuto allora in grande fama, divenne nemico dei Romani. Mentre egli consultava Apollo sulla futura eventualità dei fatti, il dio con discreto buon garbo diede un responso così ambiguo che, qualunque delle due eventualità si fosse verificata, egli come divinatore se la cavava. Rispose infatti: "Ti dico, o Pirro, che puoi vincere i Romani"; o anche: "Ti dico, o Pirro, che i Romani ti possono vincere". Così, sia che Pirro vincesse i Romani o che i Romani vincessero Pirro, il vaticinatore poteva aspettare senza preoccupazioni l'uno o l'altro evento. Si verificò comunque un grande e spaventoso massacro dell'uno e dell'altro esercito 80. Tuttavia in quel caso vinse Pirro che poteva perciò dal proprio punto di vista considerare divinatore Apollo, se subito dopo in altra battaglia non avessero vinto i Romani. Durante così grande strage militare scoppiò anche una grave morìa di donne. Morivano nella gravidanza prima di dare alla luce i figli. Esculapio, penso io, si scusò del fatto perché era di professione primario medico non levatrice. Morivano con la medesima patologia anche gli animali domestici al punto da far credere che perfino la generazione degli animali cessasse 81. Quell'inverno fu memorabile perché incredibilmente rigido al punto che a causa delle nevi, le quali rimasero a una preoccupante altezza per quaranta giorni anche nel foro, perfino il Tevere gelò. Se si fosse avuto ai nostri tempi, costoro ne avrebbero dette tante e tanto grosse. Allo stesso modo una straordinaria epidemia, finché infierì, ne fece morire molti. Ed essendosi prolungata con maggiore virulenza nell'anno successivo malgrado la presenza di Esculapio, si consultarono i libri sibillini 82. In questo tipo di oracoli, come ricorda Cicerone nel libro Sulla divinazione, abitualmente si crede di più agli interpreti che spiegano le cose dubbie come possono o come vogliono 83. Il responso fu che causa dell'epidemia era il fatto che molti occupavano abusivamente parecchi edifici sacri. Così per il momento Esculapio fu scolpato dall'accusa d'incapacità o di trascuratezza. Gli edifici erano stati occupati senza che alcuno lo impedisse perché erano state inutilmente a lungo rivolte suppliche a una così folta moltitudine di divinità. Così un po' alla volta i locali venivano disertati dai devoti in modo che essendo vuoti si potevano senza offesa di alcuno adibire agli usi umani. Per far cessare la pestilenza furono fatti restituire e restaurare. E se in seguito non fossero rimasti sconosciuti perché di nuovo abbandonati e occupati, non si darebbe certamente merito alla grande erudizione di Varrone che scrivendo sugli edifici sacri ne ricorda molti ignorati 84. In quel caso non si ottenne la fine della epidemia ma per un po' di tempo una diplomatica scusa per gli dèi.

 

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