mercoledì 13 luglio 2011

Verità della Fede - XXIV parte

Tornano gli approfondimenti sulle "Verità della Fede" attraverso le attente analisi di Sant'Alfonso Maria de' Liguori. Nel capitolo di oggi, il Santo Vescovo, Fondatore dei Redentoristi e Dottore della Chiesa proverà la verità del Nuovo Testamento:



Verità della Fede

di Sant'Alfonso Maria de' Liguori

SECONDA PARTE

Cap. XI

Si prova la verità delle Scritture del nuovo Testamento.

1. Tra i libri del nuovo testamento i principali sono i quattro evangeli, che parlano delle gesta di Gesù Cristo e della sua dottrina. Le prove più certe della verità di un'istoria sono primieramente che gli scrittori di quella sieno stati testimonj oculari delle cose che hanno scritte. Inoltre, che vi sieno altri scrittori loro contemporanei anche oculari, che confermino le stesse cose. Di più l'approvazione comune delle età susseguenti. Or tutte queste prove insieme con altre dimostrano la verità dell'istoria evangelica.

2. Per prima abbiamo che gli scrittori degli evangeli, come anche quelli che scrissero gli altri libri del nuovo testamento, furono contemporanei alle cose che narrano. Scrive s. Giovanni: Quod vidimus, et audivimus, annuntiamus vobis1. E s. Pietro: Non enim doctas fabulas secuti, notam fecimus vobis Domini nostri Iesu Christi virtutem et praesentiam: sed speculatores facti illius magnitudinis2. Gli altri scrittori poi de' libri sacri, benché non fossero stati annoverati tra gli apostoli, furono almeno del numero de' discepoli di Gesù Cristo; sicché ben furono testimonj oculari delle prediche e de' miracoli del Salvatore. S. Luca, ch'è il solo che fa menzione de' 72 discepoli, fu uno di essi, secondo alcuni Padri antichi; anzi dicono s. Epifanio3 e s. Gregorio4, che s. Luca fu uno de' tre che andavano in Emmaus, ed a' quali apparve Gesù risorto. Ma quantunque s. Luca attesta di scrivere quel che avea inteso dagli apostoli: Sicut tradiderunt nobis, qui ab initio ipsi viderunt, et ministri fuerunt sermonis5, e s. Marco scrisse quel che avea inteso da s. Pietro, come dice s. Girolamo6; nulladimanco questi due vangelisti almeno si ritrovarono certamente tra quelle 500 persone, alle quali apparve Gesù Cristo risuscitato, come scrive s. Paolo7, il quale anche ebbe la grazia di vederlo. Sicché tutti gli otto scrittori del nuovo testamento almeno furono testimonj oculari della risurrezione del Signore, ch'è il mistero de' misteri. Ed è bene qui notare che s. Pietro, allorché dovette sostituirsi un altro all'apostolato di Giuda, disse, che bisognava aggregare alcuno che fosse stato testimonio della risurrezione: Oportet... testem resurrectionis eius nobiscum fieri unum ex istis8.

3. Ma dirà alcun incredulo: chi sa che i sacri scrittori asseriscano d'aver veduto ciò che narrano, e non sia vero? Si risponde per prima che, ammettendosi questo chi sa, non dovrebbesi più credere a niuno scrittore, per quanto egli accertasse d'essersi trovato presente a quei fatti che narra. Diciamo inoltre esser moralmente impossibile ad uno scrittore asserire molte menzogne con designare il tempo, il luogo e le persone, senza che appresso non se ne scopra la falsità. I nostri sacri autori ci rappresentano tanti fatti particolari, lo stato degli ebrei di quel tempo, il dominio de' romani al quale essi allora soggiacevano, le mutazioni dei presidenti ed altro, e non si ritrova mai in ciò notato alcun errore neppure dagli estranei. Quel che rende maggiormente veridiche le loro narrazioni, è che i fatti son tra di loro totalmente connessi, che l'uno conferma l'altro; per esempio s. Pietro è citato nel pubblico consiglio de' giudei, come si narra negli atti al capo 3. e 4, e perché? Perché predicando dopo il miracolo d'aver sanato uno zoppo, avea convertite cinquemila persone. S. Paolo molti anni appresso è arrestato nel tempio, mentre stava per offerire un sacrificio dell'antica legge; dunque scrivendo s. Luca quest'avvenimento, dà a vedere che allora il tempio ancor sussisteva, e che poi fu distrutto da Tito. La prigionia ordinata da Erode e la liberazione di s. Pietro, che si narrano negli atti al capo 21. danno a vedere che in quel tempo ancora viveva Erode, il quale giunto poi a Cesarea, in castigo fu percosso dall'angelo, e morì ivi consumato da' vermi.

4. Inoltre abbiamo che i fatti scritti dagli uni si ritrovano confermati dagli altri scrittori sacri, che furono tra loro contemporanei, e testimonj parimente oculari degli avvenimenti che si narrano; poiché s. Matteo scrisse otto anni dopo la risurrezione del Signore come portano s. Atanasio, Teofilatto, Eutimio, Niceforo ed Eusebio co' manoscritti greci antichi. Che poi fosse stato poco appresso degli otto anni, come vogliono altri, poco importa: quello ch'è certo, è che s. Matteo fu il primo a scrivere il suo vangelo. S. Marco si vuole che scrivesse dieci o dodici anni dopo l'ascensione di Gesù Cristo: almeno come scrive s. Ireneo9, non compose il suo vangelo molto appresso, poiché s. Pietro in sua vita l'approvò. Di s. Luca poi è certo, che scrisse prima di s. Giovanni, ma dopo s. Matteo, come prova Grozio1 secondo la tradizione antica appoggiata all'autorità di s. Ireneo e Tertulliano, e come si deduce dallo stesso s. Luca, che scrive le medesime cose scritte da s. Matteo ed anche da s. Marco, e talvolta colle stesse parole. Ma basta in ciò quel che dice lo stesso s. Luca nel principio del suo vangelo al capo 1. vers. 2. , ove dichiara essere egli posteriore agli altri. Che abbia scritto poi prima di s. Giovanni, l'abbiamo da s. Epifanio2, da Eusebio3 e da s. Gio. Grisostomo4, dove asserisce il santo che s. Giovanni scrisse il suo vangelo essendo di anni cento, e morì di anni cento venti. E presso Eusebio5 si ritrova il seguente monumento: Cum tria evangelia iamdudum praescripta, cum in aliorum iam omnium, tum in ipsius (Ioannis) etiam manus pervenissent, fama est eum ea magnopere approbavisse, et constanti testimonio omnia in illis vere fuisse scripta confirmasse.

5. Sicché i vangelisti cogli altri sacri scrittori ben si ritrovano tutti uniformi nelle cose essenziali che dissero. Ma potrà dir taluno: perché non poteano tutti mentire, e concertare tra essi determinatamente ciò che aveano da scrivere? Ma per così mentire avrebbero dovuto tutti cospirare tra loro con molto consiglio. Ma ciò per prima non può presumersi, perché lo stile di ciascun vangelista si osserva differente da quello degli altri: lo stile di s. Matteo è più popolare e diffuso: quel di s. Marco è più ristretto: più colto è quello di s. Luca: e quel di s. Giovanni è più semplice, ma più ammirabile nell'esporre cose altissime colla stessa semplicità. Secondariamente la supposta cospirazione non vi poté essere, perché avrebbero dovuto tutti scriver le cose fra loro concertate nello stesso tempo e subito dopo il consiglio tra essi tenuto; ma come abbiam veduto di sopra, s. Matteo scrisse dopo otto anni in circa, gli altri molto tempo appresso, e s. Giovanni assai più tardi. E si sa che ciascuno di loro scrisse per qualche occasion particolare, o per riprovare le favole inventate da' nemici, o per dimostrare l'insussistenza delle false interpretazioni ch'essi davano alla dottrina predicata da Gesù Cristo. Si aggiunga che essi nello scrivere l'istoria evangelica non poterono avere alcun fine di ambizione, o d'altro proprio interesse; ma scrivendola e predicandola, già prevedeano i pericoli, a cui si esponeano, di perdere non solo i beni, ma anche la vita, come già la perderono in onor della fede.

6. Si aggiunge che i sacri vangelisti scrissero i loro evangeli stando in diversi luoghi: s. Matteo scrisse in Gerusalemme, o almeno dentro i confini della Giudea: s. Marco scrisse o in Roma o in Egitto, ma più presto in Roma: s. Luca in Acaia o in Alessandria: e s. Giovanni in Efeso o in quelle vicinanze; così dicono s. Girolamo, s. Atanasio, Origene, Eusebio ed altri. Tutte queste circostanze dimostrano che gli apostoli non iscrissero di concerto. Si aggiunge che se avessero scritto dopo aver concertate le cose che aveano da scriversi, ciascuno di loro avrebbe narrati compitamente i fatti; ma noi vediamo che uno ha notati alcuni fatti, un altro altri: uno alcune circostanze, uno altro altre. Ciò poi maggiormente si conferma dal ritrovare tra essi certi apparenti contraddizioni, che certamente le avrebbero evitate, se avessero scritto di concerto. In quanto poi a queste contraddizioni apparenti, ch'è una delle opposizioni degl'increduli, ne parleremo nel capo seguente.

7. Si conferma inoltre la verità dei libri della nuova legge dal vederli approvati e citati da altri autori santi e contemporanei a' discepoli di Gesù C., quali furono s. Ignazio martire, s. Clemente e s. Policarpo; come fu anche s. Erma discepolo di s. Paolo, che sta nominato nell'epistola a' Romani1; di più Papia vescovo di Gerapoli compagno di s. Policarpo, Quadrato che fece un compendio del vangelo, come scrive Eusebio2, l'autor dell'Epistola intitolata di s. Barnaba, Apollonio, Atenagora, Taziano e Teofilo Antiocheno.

8. Non mancano le testimonianze anche di altri scrittori ebrei e gentili contemporanei, o quasi contemporanei degli apostoli, che confermano l'istoria evangelica. Nel Talmud ben si attestano per veri i miracoli di Gesù Cristo. Abbiamo Giuseppe Ebreo, che scrisse più cose de' fatti narrati negli evangeli: scrisse che il Battista, dopo aver esortati i giudei agli esercizj delle virtù, fu ucciso da Erode: e che s. Giacomo fratello del Signore fu ingiustamente oppresso da' giudei. Così anche fece memoria di Pilato, di Caifasso, di Festo e di Felice, come già ne parla s. Luca. Ecco quel che specialmente scrisse di Gesù Cristo nel suo libro delle antichità giudaiche3Fuit autem hoc tempore Iesus vir sapiens, si tamen virum illum oportet dicere; erat enim mirabilium operum effector, magister hominum, qui vera libenter amplectuntur. Et plurimos quidem ex iudaeis, plurimos etiam ex gentibus ad se pertraxit. Hic erat Christus, cumque eum a primoribus gentis suae accusatum Pilatus ad crucem damnasset, ab eo diligendo non abstinuerunt, qui primum coeperant. Nam post tertium diem redivivus ipsis apparuit, cum divini vates haec aliaque quamplurima de eo praedixissent. Neque ad hanc diem defecit denominatum ab eo christianorum genus. Molti dubitano di questo passo che non sia di Giuseppe, ma Uezio l'ha per vero4: ed è certo che dal tempo di s. Geronimo in qua si legge in tutti gli esemplari di Giuseppe, come già leggeasi nel codice vaticano, prima che ne fosse raso dalla malizia (come si presume) di qualche ebreo; e la rasura osservasi tuttavia sino ad oggi, in giustificazione del cardinal Baronio, che tenne per vero il riferito passo di Giuseppe. Né sembra possibile che abbia potuto alcuno in tutte le copie del libro dolosamente apporre questo passo senza reclamazione dei savj, o almeno degli avversarj. Del resto troppo onore a questo ebreo han fatto certi autori protestanti, come Carlo Daubuz ed Ernesto Grabe nel tanto affaticarsi a provare ne' loro libri che sia il passo di Giuseppe: non ha bisogno la chiesa del testimonio dei suoi nemici, e la fede sdegna di appoggiarsi alle testimonianze umane di coloro che non sono figli della chiesa.

9. Vi sono di più molte testimonianze di autori gentili che vissero a tempo degli apostoli o poco lontano, e fecero menzione di Gesù Cristo, come Porfirio, Luciano, Tacito, Plinio iuniore, Svetonio5Iudaeos impulsore Chresto assidue tumultuantes Roma expulit. Presso i greci e romani in vece di Christus diceasi Chrestus, come notano Tertulliano e Lattanzio. Svetonio dice impulsore Chresto, poiché per causa di Gesù Cristo si eccitò un gran tumulto in Roma tra' giudei ed i cristiani; e perciò furono tutti di là discacciati. Celso presso Origene6 dicea che Gesù era nato in un villaggio della Giudea da una povera donzella moglie d'un fabbro, la quale poi si rifugiò in Egitto. Presso s. Giustino7 si ha che nelle tavole censuali de' romani stava scritto: Christo nato in Bethlehem. E presso Eusebio, Flegonte liberto di Adriano scrivesi che Cristo era profeta. Altri autori gentili vengono a descrivere fatti più particolari del Salvatore. Calcidio scrive la venuta de' Magi: Est quoque alia sanctior et venerabilior historia, quae perhibet ortum stellae cuiusdam, descensum Dei ad humanae conservationis gratiam. Stellam cum conspexissent chaldaeorum sapientes viri, quaesisse dicuntur recentem ortum Dei; repertaque illa maiestate puerili, veneratos esse, et vota Deo tanto nuncupasse8. Macrobio scrive la strage degl'innocenti ordinata da Erode, e che Augusto, avendo inteso che in questa strage Erode avea fatto uccidere ancora il figlio, disse: Melius est Herodis porcum esse, quam filium1. Flegonte e Tallo fan menzione delle tenebre e del terremoto che accaddero nel giorno della morte di Gesù Cristo: Quarto autem anno olympiadis 202. magna inter omnes, quae ante acciderant, defectio solis facta. Dies hora sexta ita in tenebrosam noctem versus, ut stellae in coelo visae sint, terraeque motus in Bythynia Nicaeae multas aedes subvertit2. Porfirio presso Eusebio3 loda la sapienza e pietà di Cristo, benché morto giustiziato; e poi pazzamente si duole che, dopo il culto dal mondo datogli come Dio, gli altri dei abbiano perduto ogni potere. Lampridio4 descrive gli onori divini fatti a Gesù Cristo da Adriano ed anche da Alessandro Severo, il quale di più, come narra, si estese a fabbricargli un tempio a parte. Né osta il dire che alcuni scrittori di quel tempo non fanno parola di Gesù Cristo; poiché non perciò può dirsi che sieno false le cose scritte dagli altri. Erodoto scrive più cose, che Tucidide tace; e Tucidide più cose, che tace Senofonte; così anche più cose che narra Polibio, le tace Livio; e che narra Svetonio, le tace Tacito: perciò si han da supporre false?

10. Ma lasciamo i pagani, e veniamo a fondamenti più sicuri, che hanno i sacri libri, e sono per prima l'attenzione che sempre ha avuta la chiesa in separare le scritture vere dalle false, come avverte s. Ireneo5. Comparvero già ne' primi secoli più evangelj falsi con diversi sovrannomi, Secondo gli egizj, secondo gli ebrei, secondo Bartolommeo, secondo Taddeo, secondo Mattia, un altro secondo i dodici apostoli, un altro sotto il nome diNicodemo, ed altri di Basilide, di Apollo, di Taziano ec. Così anche uscirono varj atti apostolici spurj, detti chi di Andrea, chi di Filippo, e chi di Tommaso: più false epistole di s. Paolo, una a Luadicesi e sei a Seneca:più altre Apocalissi, chiamate di Pietro, di Paolo, di Tommaso e di Stefano: ed innumerabili altri libri sacri apocrifi, che tutti furon dalla chiesa rigettati, appunto perché non aveano quelle prove sicure che hanno gli altri veri.

11. Ma qui bisogna avvertire che anticamente altri libri chiamavansi clandestini, e questi non ebbero mai autorità nella chiesa. Altri poi chiamavansi controversi, oppure deuterocanonici, come erano prima l'Apocalisse di san Giovanni e l'epistola di s. Paolo agli ebrei ed altre scritture che ora sono già nel nostro canone: queste non aveano tutta l'autorità presso alcune chiese ch'erano attaccate a' soli codici de' loro archivj, e faceano minor conto degli altri, i quali erano egualmente certi presso le chiese che li conservavano; ma poi col tempo sono stati stimati canonici universalmente in tutta la chiesa; poiché per questi già vi era bastante e sodo fondamento d'essere sacri, ed altro non mancava che d'essere riconosciuti per sacri da tutti; onde il consenso delle chiese in accettarli (dichiarato oggi dalla chiesa universale) non si può dire nuovo, ma solamente maggiormente esteso, che nel tempo passato. All'incontro la chiesa non mai ha ricevuta alcuna scrittura del nuovo testamento per sacra, se non dopo aver certamente appurato, che di quelle ne sia stato l'autore alcun discepolo di Gesù Cristo.

12. Inoltre la chiesa ha usata sempre la cautela, affinché ne' sacri libri non s'intromettessero alterazioni, come han cercato di fare gli eretici antichi e moderni, e specialmente i pretesi riformati, che han corrotta buona parte del nuovo testamento. E così la chiesa ha confutate sempre le scritture degli eretici col confrontarle cogli antichi esemplari, ch'erano comuni nella chiesa, come scrisse Tertulliano6Quotidie reformant illud, prout a nobis quotidie rediguntur. E s. Agostino1 scrisse contro questi eretici, che mutavano le scritture a loro voglia: Dices: improbo hoc illius esse, illud non esse, quia hoc pro me sonat, illud contra me. Tu es ergo regula veritatis? quicquid contra te fecerit, non est verum? San Paolo, ancorché le verità della fede gli fossero state rivelate dal Signore, pure per sua maggior sigurtà volle conferirle cogli apostoli s. Pietro, s. Giacomo e s. Giovanni: Ascendi autem secundum revelationem, et contuli cum illis evangelium, quod praedico in gentibus... ne forte in vacuum currerem aut cucurrissem2. Sicché la chiesa sempre si è conosciuta in obbligo, e con somma diligenza ha atteso ad osservarlo, di conservare illeso il deposito delle scritture, tal quale l'ha ricevuto dalla tradizione, tramandandolo poi ai posteri, in tal modo che potessero sempre i fedeli ascendere gradatamente a riconoscere l'origine di quelle, cioè la tradizione divina fatta di esse per mano degli apostoli.

13. Le scritture evangeliche furono sempre considerate nel cristianesimo gli così sacrosante, che neppure ad un angiolo fosse permesso il mutarne alcuna cosa; e chi avesse osato di far qualche mutazione, s'intendesse nello stesso tempo reciso dalla chiesa. Sed licet nos, scrive l'apostolo, aut angelus de coelo evangelizet vobis, praeterquam quod evangelizavimus vobis, anathema sit3. Siccome dunque è vero che la chiesa di Gesù Cristo sin dal suo principio si è conservata immune da errori, e sempre tale si conserverà sino alla fine del mondo, secondo la promessa del medesimo Redentore: Et portae inferi non praevalebunt adversum eam4; così sarà sempre vero che le scritture cristiane sino alla fine del mondo dovranno conservarsi incorrotte. Quel che disse s. Paolo, tutto poi fu confermato da s. Pietro: Sicut et carissimus frater noster Paulus secundum datam sibi sapientiam scripsit vobis, sicut et in omnibus epistolis, loquens in eis de his (e poi soggiunge): in quibus sunt quaedam difficilia intellectu, quae indocti et instabiles depravant, sicut et ceteras scripturas, ad suam ipsorum perditionem. Vos igitur, fratres, praescientes custodite, ne insipientium errore traducti excidatis a propria firmitate5. Sicché dichiara s. Pietro esser vietato ad ognuno sotto pena della dannazione eterna il mutare alcuna scrittura, o tirarla ad altro senso opposto a quello ch'è stato dichiarato dalla chiesa. Ma dirà alcuno: perché s. Pietro o gli altri apostoli, o almeno la chiesa, leggendo alcuni passi difficili o ambigui de' sacri scrittori, non gli hanno mutati o posti in chiaro per togliere ogni pericolo agli altri di errare? No, perché così gli apostoli come la chiesa sono stati sempre cauti di conservare illibati i libri santi, secondo sono usciti dagli autori.

14. Dee dunque tenersi per certo che le sacre scritture non han potuto mai patire alcuna alterazione. Non han potuto patirla certamente nel tempo in cui furono scritti i libri a vista degli stessi autori e di tanti testimonj che erano stati spettatori de' fatti ivi registrati. Neppure han potuto patir cangiamento dopo la loro morte; poiché da quei codici furono presi dalle chiese tante migliaia di copie. Tanto più che i pastori seguaci degli apostoli vegliarono sempre alla custodia del sacro deposito delle scritture. Vegliarono ancora i loro nemici, gli ebrei ed i gentili. Celso in fatti, come scrive Origene, opponea già: Quidam fidelium quasi per temulentiam permittunt sibi quidvis in permutanda scriptura evangelica tribus modis, quatuorve, aut pluribus, ut sic retracta possint negare, quoties arguuntur. Ma errava Celso, perché tali depravatori, risponde Origene, non erano i fedeli, ma gli eretici: Equidem a nemine alio mutatum evangelium scio, praeterquam a Marcionis et Valentini et fortasse Luciani discipulis; quod crimen non est evangelii sed eorum qui id ausi sunt depravare temere; così Origene1. Oltreché, come i cattolici poteano mutar cosa alcuna nelle scritture, se essi rimproveravano con gran calore agli eretici ogni mutazione fatta da' medesimi? E così rimproveravano anche i gnostici, che temerariamente vantavansi di aver riformato il vangelo, come scrive s. Ireneo2. E lo stesso rimproverarono a' teodoziani, asclepiodeziani ed ermofiliti, de' quali ogni setta avea mutate le scritture in modo che le une discordavano dalle altre, siccome scrive Eusebio3. Ma qui si vede la cura che tiene Dio delle sue scritture; perché le scritture adulterate di tutti questi eretici col tempo tutte si son perdute: laddove gli esemplari de' cattolici tutti si sono conservati, e tutti, almeno nella sostanza, uniformi.

15. L'altro gran fondamento che hanno d'esser veri ed incorrotti i libri evangelici, è il comun consenso con cui sono stati ricevuti e tenuti costantemente da tutti i fedeli delle età seguenti agli apostoli sino ad oggi, come costa dalle testimonianze de' santi padri e di altri scrittori, che ci assicurano della tradizione non mai interrotta. S. Clemente, s. Ignazio martire, s. Policarpo, s. Giustino, s. Ireneo, Papia, questi furono contemporanei agli apostoli, o pure a' loro discepoli; e questi citarono le stesse sentenze che ora noi leggiamo de' sacri libri. Questi vissero nel secondo secolo. Indi Origene, Tertulliano, s. Dionigi Alessandrino, s. Cipriano ed altri padri del terzo secolo citarono le stesse scritture; e di mano in mano gli scritti de' padri e dottori susseguenti confermano ed accertano quelli degli autori antecedenti. Commenta enim delet dies, scrisse Cicerone. Sappiamo poi che una gran parte de' padri dei primi secoli sparsero il sangue in conferma delle verità contenute nelle mentovate scritture. Or chi non vede essere una gran temerità non solo il giudicare, ma anche il sospettare che i sacri libri del nuovo testamento avvalorati da tante prove sieno falsi, o non sieno tutti incorrotti?

16. Vi è un'altra prova convincente delle verità de' libri evangelici, ed è questa: se potesse dubitarsi di alcuna parte di tali scritture, per noi non vi sarebbe più né fede né religione che potremmo seguitare con sicurezza della salute. La ragione è chiara: perché Gesù Cristo non ha scritta la sua dottrina, ma ha disposto che la scrivessero i suoi apostoli, e noi dalle loro mani la ricevessimo nelle scritture che ci hanno lasciate per regola della nostra fede. Quindi è che se potessimo dubitare di qualche parte delle scritture che la chiesa ci propone a tenere come divine, noi potremmo dubitare di tutto il codice evangelico; ed ecco che non avremmo più né fede né religione da poter seguire senza pericolo di errare. Ma noi all'incontro sappiamo dalle scritture del vecchio testamento, che il Messia promesso dovea essere a noi l'unico maestro che ci avrebbe insegnata la legge: Et erunt oculi tui videntes praeceptorem tuum4. Sappiamo di più che questa nuova legge dovea pubblicarsi in Gerusalemme: De Sion exibit lex, et verbum Domini de Ierusalem5. Ora il Messia è già venuto, e questo Messia è stato certamente Gesù Cristo, come di sopra si è provato al capo X., Gerusalemme è già distrutta. Dunque questa nuova legge è stata già promulgata in Gerusalemme, prima che Gerusalemme fosse distrutta. Ma di questa legge e della dottrina predicata dal Redentore noi altro non abbiamo, se non quello che ci hanno lasciato scritto gli apostoli, i quali dal medesimo Signore ci furono assegnati ad ammaestrarci come suoi legati: Sicut misit me Pater, et ego mitto vos6Euntes ergo docete omnes gentes, baptizantes eos etc.7. Or se noi fossimo privi delle vere scritture lasciate a noi dagli apostoli, saremmo ancora privi della vera dottrina e della vera fede. Ed ecco che così sarebbe ancora rimasta inutile la venuta, la predicazione e la morte di Gesù Cristo. Ciò conferma quel che di sopra si è detto, che Iddio non ha potuto mai permettere che fossero corrotti i libri della sua legge, che dalla santa chiesa ci sono proposti a tenere per veri. E basta a noi sapere che tali libri sono stati scritti dagli apostoli, per essere noi obbligati ad averli per divini.

17. Perciò gli apostoli protestaronsi sempre che non parlavano secondo la sapienza umana, ma secondo la divina: Non in doctis humanae sapientiae verbis, sed in doctrina spiritus (volta il testo greco: sed in verbis quae docet Spiritus sanctus) così s. Paolo1. In altro luogo si protestò l'apostolo che non parlava esso, ma Gesù Cristo per esso: In me loquitur Christus2. E perciò poi disse: Qui haec spernit, non hominem spernit, sed Deum, qui etiam dedit Spiritum suum sanctum in nobis3. E scrisse a' galati4 che non avessero creduto anche ad un angiolo del cielo, e neppure a lui stesso, se mai avesse insegnato poi un evangelio differente dal primo da esso predicato.

18. Si aggiunge che gli apostoli ben diedero una gran prova che i libri da essi scritti erano divini, con suggellare col proprio sangue ciò che scrissero. Può sì bene accadere che taluno dia la vita per una dottrina falsa, tenendola per vera; ma non mai è accaduto né accadrà che taluno dia la vita per sostenere fatti falsi, de' quali esso è stato l'inventore. Qual gloria o guadagno potrebbe sperare costui dalla sua morte sofferta per far credere una falsità, la quale almeno col tempo dovesse certamente scoprirsi? Il voler ciò supporre è contro il raziocinio umano. È avvenuto anche talvolta che alcuno sostenesse i tormenti, sapendo che il confessare l'inganno gli sarebbe costata la morte; ma chi mai seguirebbe a mentire, sapendo che il confessare la verità gli guadagna la vita? Ha potuto esser ancora che un qualche innocente abbia confessato nei tormenti un delitto non fatto, anche sapendo che dopo tal confessione dovesse morire, perché ha stimato minor male la morte, che il cruccio di quei tormenti; ma niuno mai si è trovato che abbia voluto morire per non disdirsi d'una menzogna inventata. Ma finalmente come mai tanti storici profani, un Tacito, un Livio han potuto ritrovar credito nelle cose da loro scritte, e poi non troveranno credito uomini di vita santa, che non hanno ripugnato di dar la vita per non negare gli evangeli da loro scritti? Ciò sia detto qui di passaggio; ma nella terza parte si parlerà più a lungo della prova che han data i martiri della nostra fede colla loro costanza, che non potea venire se non da Dio.

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1 1. Ioan. 1. 3.

2 2. Petr. 1. 16.

3 Haer. 15.

4 L. 1. Mor. c. 1.

5 Luc. 1. 2.

6 De scriptor. eccl. in Marc.

7 1. Cor. 15. 6.

8 Act. 1. 21. et 22.

9 Advers. Haeres. l. 3. c. 1.

1 In Luc. c. 1.

2 Haeres. 51.

3 Hist. l. 2. c. 18.

4 Hom. 67. de Io.

5 Hist. l. 2. c. 18.

1 C. 16. v. 14.

2 Hist. l. 3. c. 36.

3 L. 18. c. 4.

4 In Dem. ev. prop. 3. §. 11.

5 In Claud. c. 25.

6 L. 1. contra Cels.

7 Apol. 2.

8 Chaleid. comment. in Timacum.

1 Macrob. Saturnal. l. 2. c. 4.

2 Phleg. 13. Olymp. Cron. Thallus in syr. l. 3.

3 Dem. evang. l. 3. c. 8.

4 In Severum.

5 L. 1. c. 17. alias 20.

6 L. 4. contra Marcion. c. 5.

1 Contr. Faustum l. 11. c. 2.

2 Gal. 2. 2.

3 Gal. 1. 8.

4 Matth. 16. 18.

5 2. Petr. 3. 15. et 17.

1 Op. contra Cels. l. 2.

2 L. 3. adv. Haer. c. 1. et 2.

3 Hist. l. 5. c. ult.

4 Is. 30. 20.

5 Is. 2. 3.

6 Io. 20. 21.

7 Matth. 28. 19.

1 1. Cor. 2. 13.

2 2. Cor. 13. 3.

3 1. Tess. 4. 8.

4 1. 8. et 9. 

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