lunedì 22 agosto 2011

Redemptor hominis - La Prima Enciclica di Giovanni Paolo II - XV

Continuiamo la lettura della Redemptor hominis, ovvero la Prima Enciclica di Giovanni Paolo II che cerca di rispondere ai dubbi e ai problemi dell'uomo contemporaneo, cercando allo stesso modo di ridare vitalità all'opera della Chiesa. Oggi in particolare continuiamo a scoprire il legame tra la Chiesa e l'uomo: 

La Chiesa vive queste realtà, vive di questa verità sull'uomo, che le permette di varcare le frontiere della temporaneità e, simultaneamente, di pensare con particolare amore e sollecitudine a tutto ciò che, nelle dimensioni di questa temporaneità, incide sulla vita dell'uomo, sulla vita dello spirito umano, in cui si esprime quella perenne inquietudine, secondo le parole di S. Agostino: «Ci hai fatto, o Signore, per te ed è inquieto il nostro cuore, finché non riposa in te»125. In questa inquietudine creativa batte e pulsa ciò che è più profondamente umano: la ricerca della verità, l'insaziabile bisogno del bene, la fame della libertà, la nostalgia del bello, la voce della coscienza. La Chiesa, cercando di guardare l'uomo quasi con «gli occhi di Cristo stesso», si fa sempre più consapevole di essere la custode di un grande tesoro, che non le è lecito sciupare, ma deve continuamente accrescere. Infatti, il Signore Gesù ha detto: «Chi non raccoglie con me, disperde»126. Quel tesoro dell'umanità, arricchito dall'ineffabile mistero della figliolanza divina127, della grazia di «adozione a figli»128 nell'unigenito Figlio di Dio, mediante il quale diciamo a Dio «Abbà, Padre»129, è insieme una forza potente che unifica la Chiesa soprattutto dal di dentro e dà senso a tutta la sua attività. Per tale forza la Chiesa si unisce con lo Spirito di Cristo, con quello Spirito Santo che il Redentore aveva promesso, che comunica continuamente, e la cui discesa, rivelata il giorno della Pentecoste, perdura sempre. Così negli uomini si rivelano le forze dello Spirito130, i doni dello Spirito131, i frutti dello Spirito Santo132. E la Chiesa del nostro tempo sembra ripetere con sempre maggior fervore e con santa insistenza: «Vieni, o Santo Spirito!». Vieni! Vieni! «Lava ciò che è sordido! Feconda ciò che è arido! Risana ciò che è ferito! Piega ciò che è rigido! Riscalda ciò che è gelido! Raddrizza ciò che è sviato!»133.

Questa supplica allo Spirito, intesa appunto ad ottenere lo Spirito, è la risposta a tutti i «materialismi» della nostra epoca. Sono essi che fanno nascere tante forme di insaziabilità del cuore umano. Questa supplica si fa sentire da diverse parti e sembra che fruttifichi anche in modi diversi. Si può dire che in questa supplica la Chiesa non sia sola? Sì, si può dire, perché «il bisogno» di ciò che è spirituale è espresso anche da persone che si trovano al di fuori dei confini visibili della Chiesa134. Non è ciò confermato forse da quella verità sulla Chiesa, messa in evidenza con tanta acutezza dal recente Concilio nella Costituzione dogmatica Lumen Gentium, laddove insegna che la Chiesa è «sacramento, o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano»?135 Questa invocazione allo Spirito e per lo Spirito non è altro che un costante introdursi nella piena dimensione del mistero della Redenzione, in cui Cristo, unito al Padre e con ogni uomo, ci comunica continuamente quello Spirito che mette in noi i sentimenti del Figlio e ci orienta verso il Padre136. È per questo che la Chiesa della nostra epoca - epoca particolarmente affamata di Spirito, perché affamata di giustizia, di pace, di amore, di bontà, di fortezza, di responsabilità, di dignítà umana - deve concentrarsi e riunirsi intorno a quel mistero, ritrovando in esso la luce e la forza indispensabili per la propria missione. Se infatti - come è stato detto in precedenza - l'uomo è la via della vita quotidiana della Chiesa, è necessario che la stessa Chiesa sia sempre consapevole della dignità dell'adozione divina che l'uomo ottiene, in Cristo, per la grazia dello Spirito Santo137, e della destinazione alla grazia e alla gloria138. Riflettendo sempre di nuovo su tutto questo, accettandolo con una fede sempre più cosciente e con un amore sempre più fermo, la Chiesa si rende, al tempo stesso, più idonea a quel servizio dell'uomo, a cui Cristo Signore la chiama, quando dice: «Il Figlio dell'uomo... non è venuto per essere servito, ma per servire»139. La Chiesa esplica questo suo ministero, partecipando al «triplice ufficio» ch'è proprio dello stesso suo Maestro e Redentore. Questa dottrina, appoggiata sul suo fondamento biblico, è stata messa in piena luce dal Concilio Vaticano II, con grande vantaggio per la vita della Chiesa. Quando, infatti, diventiamo consapevoli della partecipazione alla triplice missione del Cristo, al suo triplice ufficio - sacerdotale, profetico e regale140 - diventiamo parimenti più consapevoli di ciò a cui deve servire tutta la Chiesa, come società e comunità del Popolo di Dio sulla terra, comprendendo, altresì, quale debba essere la partecipazione di ognuno di noi a questa missione e servizio.

 

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