lunedì 5 settembre 2011

Redemptor hominis - La Prima Enciclica di Giovanni Paolo II - XVII

Continuiamo la lettura della Redemptor hominis, ovvero la Prima Enciclica di Giovanni Paolo II che cerca di rispondere ai dubbi e ai problemi dell'uomo contemporaneo, cercando allo stesso modo di ridare vitalità all'opera della Chiesa. Oggi, in concomitanza anche con il XXV Congresso Eucaristico Nazionale, ci soffermiamo proprio sull'importanza vitale rappresentata dal Corpo Eucaristico:

IV - La missione della chiesa e la sorte dell'uomo  


20. Eucaristia e penitenza

Nel mistero della Redenzione, cioè dell'opera salvifica operata da Gesù Cristo, la Chiesa partecipa al Vangelo del suo Maestro non soltanto mediante la fedeltà alla Parola ed il servizio alla verità, ma parimenti mediante la sottomissione, piena di speranza e di amore, partecipa alla forza della sua azione redentrice, che Egli ha espresso e racchiuso in forma sacramentale, soprattutto nell'Eucaristia154. Questo è il centro e il vertice di tutta la vita sacramentale, per mezzo della quale ogni cristiano riceve la forza salvifica della Redenzione, iniziando dal mistero del Battesimo, in cui siamo immersi nella morte di Cristo, per diventare partecipi della sua Risurrezione155, come insegna l'Apostolo. Alla luce di questa dottrina, diventa ancor più chiara la ragione per cui tutta la vita sacramentale della Chiesa e di ciascun cristiano raggiunge il suo vertice e la sua pienezza proprio nell'Eucaristia. In questo Sacramento, infatti, si rinnova continuamente, per volere di Cristo, il mistero del sacrificio, che Egli fece di se stesso al Padre sull'altare della Croce: sacrificio che il Padre accettò, ricambiando questa totale donazione di suo Figlio, che si fece «obbediente fino alla morte»156, con la sua paterna donazione, cioè col dono della nuova vita immortale nella risurrezione, perché il Padre è la prima sorgente e il datore della vita fin dal principio. Quella vita nuova che implica la glorificazione corporale di Cristo crocifisso, è diventata segno efficace del nuovo dono elargito all'umanità, dono che è lo Spirito Santo, mediante il quale la vita divina, che il Padre ha in sé e che dà al suo Figlio157, viene comunicata a tutti gli uomini che sono uniti con Cristo.

L'Eucaristia è il Sacramento più perfetto di questa unione. Celebrando ed insieme partecipando all'Eucaristia, noi ci uniamo a Cristo terrestre e celeste, che intercede per noi presso il Padre158; ma ci uniamo sempre mediante l'atto redentore del suo sacrificio, per mezzo del quale Egli ci ha redenti, così che siamo stati «comprati a caro prezzo»159. Il «caro prezzo» della nostra redenzione comprova, parimenti, il valore che Dio stesso attribuisce all'uomo, comprova la nostra dignità in Cristo. Diventando infatti «figli di Dio»160, figli di adozione161, a sua somiglianza noi diventiamo al tempo stesso «regno di sacerdoti», otteniamo «il sacerdozio regale»162, cioè partecipiamo a quell'unica e irreversibile restituzione dell'uomo e del mondo al Padre, che Egli, Figlio eterno163 e insieme vero uomo, fece una volta per sempre. L'Eucaristia è il Sacramento, in cui si esprime più compiutamente il nostro nuovo essere, in cui Cristo stesso, incessantemente e sempre in modo nuovo, «rende testimonianza» nello Spirito Santo al nostro spirito164 che ognuno di noi, come partecipe del mistero della Redenzione, ha accesso ai frutti della filiale riconciliazione con Dio165, quale Egli stesso aveva attuato e sempre attua fra noi mediante il ministero della Chiesa.

È verità essenziale, non soltanto dottrinale ma anche esistenziale, che l'Eucaristia costruisce la Chiesa166, e la costruisce come autentica comunità del Popolo di Dio, come assemblea dei fedeli, contrassegnata dallo stesso carattere di unità, di cui furono partecipi gli Apostoli ed i primi discepoli del Signore. L'Eucaristia costruisce sempre nuovamente questa comunità e unità; sempre la costruisce e la rigenera sulla base del sacrificio di Cristo stesso, perché commemora la sua morte sulla Croce167, a prezzo della quale siamo stati redenti da Lui. Perciò, nell'Eucaristia tocchiamo, si potrebbe dire, il mistero stesso del Corpo e del Sangue del Signore, come testimoniano le stesse parole al momento dell'istituzione, le quali, in virtù di essa, sono diventate le parole della perenne celebrazione dell'Eucaristia da parte dei chiamati a questo ministero nella Chiesa.

La Chiesa vive dell'Eucaristia, vive della pienezza di questo Sacramento, il cui stupendo contenuto e significato han trovato spesso la loro espressione nel Magistero della Chiesa, dai tempi più remoti fino ai nostri giorni168. Tuttavia, possiamo dire con certezza che questo insegnamento - sorretto dalla acutezza dei teologi, dagli uomini di profonda fede e di preghiera, dagli asceti e mistici, in tutta la loro fedeltà al mistero eucaristico - rimane quasi sulla soglia, essendo incapace di afferrare e di tradurre in parole ciò che è l'Eucaristia in tutta la sua pienezza, ciò che essa esprime e ciò che in essa si attua. Infatti, essa è il Sacramento ineffabile! L'impegno essenziale e, soprattutto, la visibile grazia e sorgente della forza soprannaturale della Chiesa come Popolo di Dio, è il perseverare e progredire costantemente nella vita eucaristica, nella pietà eucaristica, è lo sviluppo spirituale nel clima dell'Eucaristia. A maggior ragione, dunque, non ci è lecito né nel pensiero, né nella vita, né nell'azione togliere a questo Sacramento, veramente santissimo, la sua piena dimensione ed il suo essenziale significato. Esso è nello stesso tempo Sacramento-Sacrificio, Sacramento-Comunione e Sacramento-Presenza. E benché sia vero che l'Eucaristia fu sempre e deve essere tuttora la più profonda rivelazione e celebrazione della fratellanza umana dei discepoli e confessori di Cristo, non può essere trattata soltanto come un'«occasione» per manifestare questa fratellanza. Nel celebrare il Sacramento del Corpo e del Sangue del Signore, bisogna rispettare la piena dimensione del mistero divino, il pieno senso di questo segno sacramentale, nel quale Cristo, realmente presente, è ricevuto, l'anima è ricolmata di Grazia e a noi vien dato il pegno della gloria futura169. Di qui deriva il dovere di una rigorosa osservanza delle norme liturgiche e di tutto ciò che testimonia il culto comunitario reso a Dio stesso, tanto più perché, in questo segno sacramentale, Egli si afffida a noi con fiducia illimitata, come se non prendesse in considerazione la nostra debolezza umana, la nostra indegnità, le abitudini, la «routine» o, addirittura, la possibilità di oltraggio. Tutti nella Chiesa, ma soprattutto i Vescovi e i Sacerdoti, debbono vigilare perché questo Sacramento di amore sia al centro della vita del Popolo di Dio, perché, attraverso tutte le manifestazioni del culto dovuto, si faccia in modo da rendere a Cristo «amore per amore», perché Egli diventi veramente «vita delle nostre anime»170. Né, d'altra parte, potremo mai dimenticare le seguenti parole di San Paolo: «Ciascuno, pertanto, esamini se stesso, e poi mangi di questo pane e beva di questo calice»171.

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