lunedì 19 settembre 2011

Redemptor hominis - La Prima Enciclica di Giovanni Paolo II - XIX

Continuiamo la lettura della Redemptor hominis, ovvero la Prima Enciclica di Giovanni Paolo II che cerca di rispondere ai dubbi e ai problemi dell'uomo contemporaneo, cercando allo stesso modo di ridare vitalità all'opera della Chiesa. Oggi penetriamo nel mistero della vocazione cristiana che scopriremo appieno nel prossimo appuntamento:

IV - La missione della chiesa e la sorte dell'uomo 

21. Vocazione cristiana: servire e regnare

Il Concilio Vaticano II, costruendo dalle stesse fondamenta l'immagine della Chiesa come Popolo di Dio - mediante l'indicazione della triplice missione di Cristo stesso, partecipando alla quale noi diventiamo veramente Popolo di Dio - ha messo in rilievo anche questa caratteristica della vocazione cristiana, che si può definire «regale». Per presentare tutta la ricchezza della dottrina conciliare, bisognerebbe far qui riferimento a numerosi capitoli e paragrafi della Costituzione Lumen Gentium ed ancora a molti altri documenti conciliari. In mezzo a tutta questa ricchezza, un elemento sembra però emergere: la partecipazione alla missione regale di Cristo, cioè il fatto di riscoprire in sé e negli altri quella particolare dignità della nostra vocazione, che si può definire «regalità». Questa dignità si esprime nella disponibilità a servire, secondo l'esempio di Cristo, che «non è venuto per essere servito, ma per servire»181. Se dunque alla luce di questo atteggiamento di Cristo si può veramente «regnare» soltanto «servendo», in pari tempo il «servire» esige una tale maturità spirituale che bisogna proprio definirlo un «regnare». Per poter degnamente ed efficacemente servire gli altri, bisogna saper dominare se stessi, bisogna possedere le virtù che rendono possibile questo dominio. La nostra partecipazione alla missione regale di Cristo - proprio al suo «ufficio regale» (munus) - è strettamente legata ad ogni sfera della morale, cristiana ed insieme umana.

Il Concilio Vaticano II, presentando il quadro completo del Popolo di Dio, ricordando quale posto abbiano in esso non soltanto i sacerdoti, ma anche i laici, non soltanto i rappresentanti della Gerarchia, ma anche quelle e quelli degli Istituti di vita consacrata, non ha dedotto questa immagine solo da una premessa sociologica. La Chiesa, come società umana, può senz'altro essere anche esaminata e definita secondo le categorie, di cui si servono le scienze nei confronti di qualsiasi società umana. Ma queste categorie non sono sufficienti. Per tutta la comunità del Popolo di Dio e per ciascuno dei suoi membri, non si tratta soltanto di una specifica «appartenenza sociale», ma piuttosto è essenziale, per ciascuno e per tutti, una particolare «vocazione». La Chiesa, infatti, come Popolo di Dio - secondo l'insegnamento sopra citato di San Paolo e ricordato in modo mirabile da Pio XII - è anche «Corpo mistico di Cristo»182. L'appartenenza ad esso deriva da una chiamata particolare, unita all'azione salvifica della grazia. Se quindi vogliamo aver presente questa comunità del Popolo di Dio, così vasta ed estremamente differenziata, dobbiamo anzitutto vedere Cristo, che dice in un certo modo a ciascun membro di questa comunità: «Seguimi»183. Questa è la comunità dei discepoli, ciascuno dei quali, in modo diverso, talvolta molto cosciente e coerente, talvolta poco consapevole e molto incoerente, segue Cristo. In questo si manifestano anche il profilo profondamente «personale» e la dimensione di questa società, la quale - nonostante tutte le deficienze della vita comunitaria, nel senso umano di questa parola - è una comunità proprio per il fatto che tutti la costituiscono insieme con Cristo stesso, se non altro perché portano nella loro anima il segno indelebile di chi è cristiano.

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