martedì 25 ottobre 2011

La Città di Dio - XXXVIII parte

Riprendiamo la lettura dell'opera di Sant'Agostino nota come "La città di Dio": continua la lettura del libro quarto dell'opera che si sofferma sull'imperialismo romano; oggi continuiamo a vedere il Santo d'Ippona "esaminare" a fondo la religione politeista romana, continuando a soffermarsi sulla falsa dea Fortuna:

Libro quarto
IMPERIALISMO ROMANO E POLITEISMO


19. Hanno in tanta considerazione la falsa divinità che chiamano Fortuna, da tramandare che la sua statua, dedicata dalle matrone e chiamata Fortuna femminile, ha parlato e ha ricordato non una ma più volte che le matrone l'avevano dedicata secondo i riti 39. Se il fatto è avvenuto non c'è da meravigliarsene. Per i demoni non è difficile ingannare anche con questi sistemi. Però i pagani avrebbero dovuto accorgersi dei loro scaltri artifici, perché avrebbe parlato proprio quella dea che sopraggiunge fortuitamente e non viene per meriti. Fu quindi Fortuna ciarliera e Felicità muta affinché gli uomini, in pieno accordo con Fortuna che li rendeva fortunati senza alcun merito, non si preoccupassero di vivere onestamente. E in definitiva se Fortuna parla, dovrebbe essere quella maschile e non quella femminile a parlare affinché non si sospettasse che proprio le matrone, che avevano dedicato la statua, avevano per muliebre loquacità inventato il fatto meraviglioso.


20. Hanno considerato dea anche la virtù. Se fosse una dea, sarebbe da preporre a molte. Ma poiché non è una dea ma un dono di Dio, si chieda a colui che solo la può dare e scomparirà ogni schiera di falsi dèi. Ma perché anche la fede fu creduta una dea ed ebbe anche essa un tempio e un altare?. In verità se un individuo ne ha la vera nozione si rende sua dimora. Ma da che cosa i pagani possono avere il concetto della fede, se una prima e fondamentale funzione è che si creda nel vero Dio? E perché non era stata sufficiente la virtù? Fra le virtù non vi è anche la fede? Infatti essi hanno diviso le virtù in quattro specie: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza 40 e poiché ognuna di esse ha le sue parti, la fede è fra le parti della giustizia e ha grandissima importanza per noi, perché conosciamo il significato di quel detto: Il giusto vive di fede 41. Ma, se la fede è una dea, mi meraviglio che individui desiderosi di una folla di dèi fecero torto a molte dee trascurando quelle alle quali avrebbero potuto egualmente dedicare tempietti e are. Perché la temperanza non meritò di essere una dea se nel suo nome alcuni capi romani raggiunsero una grande gloria? Perché inoltre la fortezza non è una dea se assisté Muzio quando stese la mano sulle fiamme, assisté Curzio che per la patria si gettò a capofitto in una voragine, assisté Decio padre e Decio figlio che si sacrificarono per l'esercito? Sia detto nel caso che la loro fu vera fortezza 42. Non è questo il momento di trattarne. Perché la prudenza e la sapienza non ebbero un posto fra le divinità? Forse perché col termine generale di virtù si onorano tutte? Per lo stesso titolo si poteva adorare un solo Dio, perché gli altri dèi sono considerati sue parti. Ma nell'unica virtù vi sono anche fede e pudicizia che tuttavia hanno ottenuto di avere per sé altari in particolari tempietti.


21. La menzogna e non la verità le rende dee. Sono doni del vero Dio e non dee in sé. Comunque se si hanno virtù e felicità, che altro si cerca? Che cosa basta a chi non bastano virtù e felicità? Infatti la virtù abbraccia tutto il bene che si deve compiere, la felicità tutto il bene che si deve conseguire. Giove era adorato perché le concedesse; e nel caso che siano un bene l'estensione e la durata del dominio, esse sono di competenza della felicità. Perché dunque non si è capito che sono un dono di Dio e non dee? Se comunque sono state considerate dee, per lo meno non si doveva cercare l'altra grande folla degli dèi. Tenuto conto delle mansioni di tutti gli dèi e dee, che i pagani hanno foggiato ad arbitrio secondo un loro pregiudizio, trovino se è possibile qualcosa che possa essere concesso da un dio a un individuo che ha la virtù, ha la felicità. Quale parte della cultura si poteva chiedere a Mercurio o a Minerva se la virtù le contiene tutte. La virtù fu definita dagli antichi anche arte del vivere moralmente 43. Hanno pensato pertanto che i Latini abbiano derivato il nome di arte dal termine greco che significa virtù 44. Ma se la virtù potesse essere concessa soltanto alla persona intelligente, che bisogno c'era del dio Cazio padre, che rendesse cauti, cioè avveduti, se questo lo poteva concedere anche Felicità? Nascere intelligenti è infatti della felicità; quindi, anche se la dea Felicità non poteva essere onorata da chi non era ancora nato affinché resa propizia gli concedesse questo favore, lo poteva accordare ai genitori che la onoravano perché nascessero loro figli intelligenti. Che bisogno c'era per le partorienti invocare Lucina, perché se le avesse assistite Felicità, non solo avrebbero partorito bene ma anche buoni figli? Che bisogno c'era di affidarli alla dea Opi mentre nascevano, al dio Vaticano quando vagivano, alla dea Cunina quando giacevano, alla dea Rumina quando poppavano, al dio Statilino quando stavano in piedi, alla dea Adeona quando entravano in casa, alla dea Abeona quando ne uscivano, alla dea Mente perché avessero una buona mente, al dio Volunno e alla dea Volunna perché volessero il bene, agli dèi nuziali perché si sposassero felicemente, agli dèi campestri e soprattutto alla ninfa Fruttisea perché avessero frutti abbondanti, a Marte e Bellona perché fossero buoni guerrieri, alla dea Vittoria perché vincessero, al dio Onore perché avessero onori, alla dea Pecunia perché fossero danarosi, al dio Bronzino e a suo figlio Argentino perché avessero monete di bronzo e di argento? Pensarono che Bronzino fosse padre di Argentino, perché la moneta di bronzo fu messa in circolazione prima di quella d'argento. Mi meraviglio che Argentino non desse alla luce Aurino perché in seguito venne anche la moneta aurea. Avrebbero preferito Aurino ad Argentino padre e a Bronzino nonno, come Giove a Saturno. Che bisogno c'era di onorare e invocare per i beni spirituali, fisiologici e materiali una così folta schiera di dèi? E neanche li ho ricordati tutti. I pagani stessi non hanno potuto provvedere tanti piccoli e particolari dèi per tutti i beni umani anche se passati in rassegna ad uno ad uno in particolare. In una grande e facile concentrazione poteva la sola dea Felicità accordarli tutti e non si sarebbe cercato un altro dio non solo per ottenere i beni ma anche per evitare i mali. Perché si doveva invocare la ninfa Fessonia per gli stanchi, la ninfa Pellonia per scacciare i nemici, come medico per gli ammalati, Apollo o Esculapio o tutti e due insieme se il pericolo era grande? Non si doveva invocare il dio Spiniese perché estirpasse le spine dai campi, né la dea Ruggine perché non assalisse il grano. Con la presenza e la protezione della sola dea Felicità o non sarebbero arrivati i malanni o sarebbero stati allontanati con estrema facilità. Infine poiché stiamo trattando di queste due dee, Virtù e Felicità, se la felicità è premio della virtù, non è dea ma un dono di Dio. Se invece è una dea, perché non dire che fa conseguire anche la virtù, dal momento che conseguire la virtù è grande felicità?


22. Per qual ragione dunque Varrone si vanta di rendere un grande servizio ai suoi concittadini perché non solo ricorda gli dèi che si devono adorare dai Romani, ma espone anche la mansione di ciascuno? Non giova nulla, egli dice, conoscere il nome e la figura di un medico e ignorare che è medico; così, soggiunge, non giova nulla sapere che Esculapio è un dio, se non sai che protegge la salute e perciò non sai il motivo per cui lo devi invocare. Lo conferma anche con un'altra similitudine. Dice che non solo non si può vivere agiatamente ma che non si può vivere affatto se non si conoscono il falegname, il mugnaio e il muratore, cui poter chiedere un servizio, ovvero se non si sa chi assumere come collaboratore, guida e insegnante. Allo stesso modo, egli afferma, non v'è dubbio che è utile la conoscenza degli dèi, se si sa anche quale virtù, facoltà e potere ha ciascun dio sulle varie cose. Da questo potremo conoscere, egli dice, quale dio, secondo la competenza di ciascuno, dobbiamo chiamare in aiuto e invocare per non comportarci come i mimi e non chiedere l'acqua a Bacco e il vino alle Linfe 45. È davvero una grande utilità. Ma chi non ringrazierebbe Varrone se affermasse il vero e insegnasse agli uomini ad adorare l'unico vero Dio da cui deriva ogni bene?


23. 1. Ma torniamo all'argomento. Se i loro libri e le tradizioni religiose sono vere e Felicità è una dea, perché non è stato stabilito che ella sola fosse adorata, dal momento che poteva accordare tutti i beni e rendere felici per la via più corta? Non si desidera una cosa per un'altra ma soltanto per esser felici. E perché Lucullo dopo tanti capi romani innalzò così tardi un tempietto a una dea tanto importante? E perché lo stesso Romolo, desiderando fondare una città felice, non innalzò di preferenza un tempio a lei? Non per altro scopo invocò altri dèi. Nulla sarebbe mancato se ella non fosse mancata. Egli stesso non sarebbe divenuto prima re e poi, a sentir loro, dio, se non avesse avuto favorevole questa dea. Perché ha stabilito come dèi per i Romani Giano, Giove, Marte, Pico, Fauno, Tiberino, Ercole ed altri ancora? E perché Tito Tazio ha aggiunto Saturno, Opi, Sole, Luna, Vulcano, Luce e gli altri che ha aggiunto, fra cui anche Cloacina, trascurando Felicità? Perché Numa ha introdotto tanti dèi e dee e non lei? Forse in tanta ressa non riuscì a vederla? Anche re Ostilio non avrebbe introdotto come dèi nuovi per renderli propizi Pavore e Pallore, se avesse conosciuto e adorato questa dea. Con la presenza di Felicità ogni pavore e pallore non si sarebbe allontanato perché reso propizio ma sarebbe fuggito perché scacciato.


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