mercoledì 12 ottobre 2011

Verità della Fede - XXXVII parte

Tornano gli approfondimenti sulle "Verità della Fede" attraverso le attente analisi di Sant'Alfonso Maria de' Liguori. Proseguiamo la lettura del cap. II con il primo paragrafo. Il secondo capitolo della terza parte dimostra come non sia vera la religione dei pagani come abbiamo visto la scorsa settimana. Il primo paragrafo continua su questa linea dimostrando la non veridicità delle divinazioni e degli oracoli dei gentili:





Verità della Fede

di Sant'Alfonso Maria de' Liguori

PARTE TERZA


CONTRO I SETTARJ CHE NEGANO LA CHIESA CATTOLICA ESSERE L'UNICA VERA


CAP. II.


§. 1. Della vanità delle divinazioni e degli oracoli de' gentili.

11. Giova qui dir qualche cosa delle vane divinazioni e degli oracoli degli idolatri, per far vedere che tutte le profezie de' gentili, a differenza delle profezie divine, erano tutte bugie ed inganni. La divinazione appresso i gentili era di due maniere: artificiale e naturale. La naturale era collocata ne' sogni e ne' vaticinj di alcuni uomini, de' quali diceano gli antichi che aveano prese le anime dagli dei, e perciò teneano la virtù di conoscere le cose future. Costoro faceano le loro predizioni o in sogno, o pure stando vicini a morte; onde chiamavansi dormitantes vates. Ma perché poi tali vaticinj erano sempre oscuri, per tanto vi erano gl'interpreti che gli spiegavano.

12. La divinazione artificiale poi era quella, per mezzo della quale con certi segni prediceansi cose future; e di questa vi erano infinite specie. Alcune si operavano per mezzo degli uomini, o di cose umane: per esempio si prendeano gli augurj dall'incontro d'una persona, o dal detto di un'altra; siccome era mal segno, se si fosse incontrato un etiope, o pure se taluno in un convito avesse nominato incendio, e ciò si chiamava ominatio: o pure si prendeano da qualche fatto, come se a caso fosse caduto un poco di vino sulla veste, questo era un buon segno, come anche era buon segno se alcuno avesse starnutato dopo mezzo giorno; ma se nella mattina, era mal segno: si prendeano ancora gli augurj dal volto dei cadaveri, o pure dalle loro mani, ossa e ventre.

13. Un'altra specie di divinazione artificiale si operava con cose fatte ad arte, come con anelli, chiavi, specchi, incenso, farina o pece posta sul fuoco, vasi di creta o vetro con certe candele poste all'orlo, crivelli sospesi da un filo, soprapposti ad una forbice, acqua marina o di fontana, bevendo di quella, o buttandovi qualche cosa dentro per vedere se andava a galla o a fondo. Servivansi ancora ad effetto di saper le cose future di alcuni punti trovati a caso impressi nella terra: del fuoco de' sagrificj, se la fiamma era tranquilla, e se si alzava diritto in alto: di frondi di salvia, in cui si scrivevano alcune voci: della cenere esposta al vento: delle foglie di fico, se si trovavano verdi: del fumo della lucerna, se avea moto retto o pure obliquo.

14. Un'altra specie di divinazioni si ricavava dagli animali, e questa propriamente si chiamava auspicium quando era circa gli uccelli, guardando il loro volo o canto. Quando era poi circa altri animali, si chiamava auguriume si prendea dall'osservare, come i polli o i pesci pigliavano il cibo, o come era formato il cuore o il fegato, o le fibre de' quadrupedi: o da' nitriti dei cavalli, o dall'incontro di certe bestie, come d'un cane negro, d'un leprone, o d'una cerva. Un'altra specie di divinazioni si prendea dagli ecclissi, dalle comete, da' tuoni e fulmini e dalla congiunzione de' pianeti. Ognuno vede quanto erano vane ed inette queste profezie dei gentili. Del resto i dotti fra essi ben vedeano che erano tutti inganni, e li sosteneano non per altro che per mantenere i popoli ubbidienti al volere dei governatori, facendo interpretare gli augurj secondo loro piaceva per evitare le dissensioni. Di ciò ne abbiamo un lume presso Cicerone: Est in collegio vestro inter Marcellum et Appium, optimos augures, magna dissensio...; cum alteri placeat auspicia ista ad utilitatem esse reipublicae composita1.

15. Altrettanto erano vani gli oracoli, o sieno le risposte che i gentili ricevevano dagli idoli. Crisippo e Porfirio raccolsero molti di questi oracoli, e gli scrissero; ma chi gli osserva, vede che tutti essi erano ambigui e versatili a diversi sensi, come quello: Aio te, Eacida, romanos vincere posse. Altri erano oscuri, come fu il consiglio di Apollo Delfico agli ateniesi che si fossero salvati in muro ligneo: queste parole da altri furon interpretate che significassero doversi salvar gli ateniesi nelle navi: da altri, doversi salvar colla fuga, altrimenti, restando tra i loro muri, sarebbero periti. Tra questi dei che davano oracoli vi erano frapposti alle volte uomini viventi, siccome vi era Efestione, fatto dio da Alessandro Magno; vi era anche Augusto imperatore, che da' romani in sua vita era stato annoverato fra' dei; e v'era ancora Antinoro (carissimo ad Adriano) consacrato per dio da' greci.

16. I ministri che presedeano al ricevimento di questi oracoli, come portano Erodoto e Plutarco, erano ben pagati; onde Demostene a suo tempo dicea che Pithia philippizabat, perché procurava d'interpretare gli oracoli in favore di Filippo, che l'avea guadagnata con mercedi. Ma spesso le frodi di questi oracoli si scoprivano, siccome le frodi de' sacerdoti di Bel furono scoperte da Daniele, e quelle d'Iside dal marito di Paolina e da Tiberio. Erodoto riferisce varie frodi in questa materia venute a luce. A questo fine gl'idoli che davano tali oracoli, erano posti sulle montagne, che abbondavano di spelonche e luoghi sotterranei atti ad occultare gl'inganni. Tali erano il tempio di Apollo Delfico nel monte Parnasso, come lo descrive s. Giustino, l'antro di Trofonio figlio d'Apollo, come lo descrive Filostrato, ed i templi di Serapide, di Apollo Cladio, della Sibilla Cumana ed altri. E dove non vi erano questi luoghi atti alle frodi fatti dalla natura, li faceano i sacerdoti ad arte, costruendoli tenebrosi con nascondigli di dentro e colle entrate anche nascoste. E ciò appunto narra Eusebio nella vita di Costantino, che quando l'imperatore ordinò la distruzione di tali templi, vi trovarono i luoghi già fatti a posta per nascondere le frodi nel darsi gli oracoli. Dee sapersi ancora che in tali luoghi non faceansi entrare se non gl'imperatori, i re o altri gran personaggi. Narra Strabone, riferendo un certo oracolo, che dal sacerdote fu concesso solamente ad Alessandro entrare nel tempio, e che gli altri intesero l'oracolo, ma stando di fuori. Così anche si riferisce di Vespasiano, che solo fu ammesso nel tempio di Serapi nel riceversi l'oracolo.

17. I modi poi di rendere questi oracoli erano diversi, ma tutti capaci di frode. Altri oracoli si davano colla voce per via di certi lunghi tubi, come narra Teodoreto1 degli oracoli di Alessandria. Altri si rendeano per via di sorte, che i sacerdoti interpretavano poi come voleano. Altri si davano per certe tavole suggellate, e si facea così: si scriveano le dimande in una tabella segnata col suggello di cera; il sacerdote poi la portava in un luogo del tempio, e dopo certi giorni si prendea la tabella anche suggellata, ed ivi si trovavano le risposte. In somma questi modi erano tutti talmente fraudolenti, che gli stessi gentili più accorti disprezzavano e derideano tali oracoli, come scrivono Crisippo presso Cicerone, e Porfirio presso Eusebio2, il quale Porfirio giunse a confessare la vanità di molti oracoli.

18. I dottori poi della chiesa cristiana, benché attribuissero alcuni di questi oracoli all'arte de' demonj, spesso non però si avvidero che erano frodi ed inganni de' sacerdoti, come scrive Origene3 ed Eusebio4, il quale lo ricavò dalle stesse confessioni de' pagani; ma dice ancora che colla venuta di Cristo son cessati tutti gli oracoli, che avvenivano per operazione del demonio. E ciò lo scrisse anche Plutarco.

19. In quanto poi agli oracoli delle sibille, si dice che i primi versi de' loro oracoli furono venduti al re Tarquinio, e che dopo essere stati raccolti tutti quelli che poterono aversi, furono appresso bruciati per ordine del senato. Scrive non però Svetonio che Cesare Augusto fece bruciare più di 2000 versi di oracoli, ma ritenne i sibillini e li fece conservare in due scrigni dorati. Ma come scrive Dione, tali versi molto poca fede meritavano, poiché non erano trascritti che da semplici persone private. È vero poi che quegli oracoli delle sibille, che vaticinavano la venuta del Messia e la religion cristiana, spesso si sono addotti da' nostri dottori per difender la fede. Del resto quella raccolta di versi sibillini in otto libri, che si ritrova posta nella biblioteca de' padri, si tiene quasi tutta per falsa. L'autore di quella si spaccia per genero di Noè, ed asserisce ch'esso vaticinava dopo la partita degli ebrei dall'Egitto; ma si conosce ch'egli era cristiano; e si appura che non si ritrova sempre verace e perito nelle cose dell'istoria. I gentili in fatti, come Celso ed altri, secondo scrivono Origene e Lattanzio, diceano che nei versi sibillini eransi da' cristiani molte cose dolosamente intruse. E sant'Agostino5, quantunque egli par che approvi questi oracoli delle sibille, non lascia però di dire che han potuto esser finti con indiscreto zelo da' cristiani; onde esorta a fermar la fede delle cose di Cristo sopra la scrittura.

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1 L. 2. de leg. n. 13.

1 Histor. eccl. l. 5.

2 L. 6. c. 5.

3 L. 7. contra Celsum.

4 Praep. evang. l. 4.

5 De civ. Dei l. 18. c. 47. 

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