mercoledì 23 novembre 2011

Verità della Fede - XLIII

Tornano gli approfondimenti sulle "Verità della Fede" attraverso le attente analisi di Sant'Alfonso Maria de' Liguori. Restiamo nel capitolo nel quale si prova la non autenticità della religione riformata:





Verità della Fede

di Sant'Alfonso Maria de' Liguori

PARTE TERZA


CONTRO I SETTARJ CHE NEGANO LA CHIESA CATTOLICA ESSERE L'UNICA VERA


CAP. VI. 


Falsità della religione pretesa riformata.



§. 2. È falsa secondariamente la religion riformata, perché manca ad essa la regola di fede.

8. Tutta la regola di fede de' novatori consiste nella sacra scrittura, e perciò vogliono che sieno intesi della scrittura anche i villani e le femminucce del paese. Ma errano, perché la scrittura non può mai renderli certi de' dogmi e precetti della fede, atteso che giusta i loro principj non possono accertarsi né che vi sia scrittura, né quali siano i libri di quella veri o apocrifi, né qual sia l'incorrotta loro versione, né quale sia il lor legittimo senso.

9. E per 1. come sanno che vi sia scrittura divina? Per divina scrittura s'intendono i libri scritti dagli uomini, ma da Dio ispirati, de' quali il primo scrittore fu Mosè, indi i profeti ed altri autori canonici ed ultimamente gli evangelisti ed altri apostoli. Ora come provano l'esistenza della vera scrittura? Forse per le profezie e pei miracoli che ivi stanno scritti? Ma chi gli accerta che tali profezie si sieno avverate, o che non sieno state scritte dopo i fatti già avvenuti? Ed i miracoli come sappiamo che sieno stati veri? Oltreché vi sono più libri sacri, ove non vi sono né profezie né miracoli, ma solamente sentenze. E come si prova che questi sieno libri divini? Per il testo della stessa scrittura? Ma come il testo della scrittura può addursi per provare la esistenza della scrittura, quando appunto questo si dubita se quella sia vera scrittura?

10. Per 2. ancorché constasse dell'esistenza della scrittura, come provano quali sieno i veri libri di quella che s'abbiano da tenere per canonici? Poiché può essere che qualche libro sia veramente canonico, ma che a noi ancora non consti. Nel canone cattolico si contengono settantadue libri, 45. del vecchio testamento e 27 del nuovo, come abbiamo nel concilio tridentino1, che ricevette questo canone dal fiorentino, e il fiorentino dal romano sotto Gelasio papa, aggiunta l'autorità di s. Agostino e del Cartaginese III. (secondo altri V. o VI.), che fu approvato poi dal concilio ecumenico VI., i padri del quale dissero aver ricevuto lo stesso canone da Innocenzo I. che visse nel 402. , e dichiarò averlo ricevuto per tradizione continua dagli apostoli, la quale tradizione per causa delle persecuzioni avute ne' secoli precedenti non era nota in tutti i luoghi.

11. Lutero tolse dal mentovato canone più libri del vecchio testamento, cioè quel di Tobia, di Giuditta, della Sapienza, dell'Ecclesiastico, dei Macabei e di Baruch ed altri libri del testamento nuovo, come l'epistola di s. Paolo agli ebrei, l'epistola di s. Giacomo e di s. Giuda e l'Apocalisse di s. Giovanni. Or si dimanda a coloro che sono separati dalla chiesa cattolica: come essi provano che questi libri non sono sacri? E come provano che sono sacri gli altri libri da loro ammessi? Non possono certamente provarlo dalle altre scritture sacre; perché in quelle non si esprime che i libri da loro ammessi sono sacri e gli altri no. E benché in qualche luogo della scrittura si nomini alcun altro libro, o si porti alcuna sentenza addotta in altro luogo, chi ci assicura che tali cose non vi siano inserite da qualche impostore, siccome gli ebrei moderni hanno inserite nella loro scrittura tante cose false? Né vale dire che in certi libri dicesi: Dominus locutus est; perché ciò si dice in ogni sentenza; e poi chi sa se tali parole non siansi poste dai copisti per malizia o per errore? Neppure possono provarlo dagli indizj; poiché tali indizj non possono essere se non molto oscuri. Giacché quella luce che ad essi apparisce, non apparisce a' gentili, non a' maomettani, non a' giudei (circa il nuovo testamento), né ad altri fratelli riformati; poiché i calvinisti riconoscono per vere le epistole di s. Giacomo, di s. Giuda, di s. Paolo agli ebrei, l'Apocalisse, quando che i luterani (come si è detto di sopra) lo negano. Tanto meno possono provarlo per lo spirito privato, che ognuno ha, come dicono, intieramente per la luce dello Spirito santo; poiché tale spirito è affatto incerto se sia da Dio: onde avrebbe da conoscersi una cosa ignota per un'altra più ignota. Se ogni cristiano riceve questa luce interna, perché non l'ha ancora un ariano, un macedoniano, un nestoriano?

12. Dicono i novatori che non debbono tenersi per sacri quei libri che non sono scritti da' profeti, o a tempo de' profeti, oppure non sono scritti nell'idioma, di cui si serviva allora la sinagoga, o che non si vedono citati dagli apostoli, o che non fanno menzione del Messia. Ma si dimanda: come consta che poi sieno divine le altre sentenze che vi sono negli stessi libri, ma che non parlano del Messia? E poi come si prova che i libri per esser canonici abbisognino di tali condizioni? Ma, replicano, i libri ammessi da' cattolici contengono errori; ed in fatti l'autore de' due libri de' Maccabei cerca perdono degli errori commessi nello scrivere. Si risponde che in tai libri vi sono molte cose difficili ad intendere, come scrisse s. Pietro delle epistole di san Paolo1In quibus sunt quaedam difficilia intellectu, ma non già errori. Se poi l'autore de' Maccabei cerca perdono degli errori, non parla circa la verità, ma circa lo stile semplice con cui scrisse. Neppure osta che la chiesa per alcun tempo ha dubitato della verità di alcuni libri canonici; perché non mai ne ha dubitato tutta la chiesa, ed un tal dubitare non ha impedito che appresso ne fosse accertata per mezzo della tradizione e dell'assistenza dello Spirito santo.

13. Per 3. benché constasse dell'esistenza della scrittura, e constasse quali sono i libri canonici, come provano che la versione di tai libri sia legittima ed incorrotta? La bibbia originalmente è stata scritta in tre lingue, ebraica greca e latina. In lingua ebraica sono stati scritti i libri del testamento vecchio; nella greca poi quelli del nuovo, fuorché il vangelo di s. Matteo e l'epistola di s. Paolo agli ebrei, che probabilmente fu scritta in lingua siriaca usata a tempo degli apostoli, mista non però di voci ebraiche e caldaiche, ed eccettuato il vangelo di s. Marco, che probabilmente fu scritto in Roma in lingua latina. Inoltre è certo che della scrittura si son fatte più versioni. Il vecchio testamento prima fu trasportato dall'ebraico in greco in più versioni, come furono quelle di Origene, di s. Luciano, di Teodozione, d'Aquila ecc.; ma la più celebre fu quella de' settanta, la quale fu fatta circa gli anni 280. prima della venuta di Gesù Cristo. Di tutte queste niuna è autentica. Quella de' settanta è molto stimata, e di quella si valsero gli apostoli ed i santi padri. In quanto poi alle versioni latine, la Volgata viene attribuita a s. Girolamo: ciò è vero in quanto al vecchio testamento, eccettuati i salmi, la sapienza, l'ecclesiastico e Baruch; in quanto al nuovo la versione fu di altro autore più antico, ma fu commentata da san Girolamo. E questa volgata è stata dichiarata autentica dal concilio di Trento nella sess. 4. ove si disse: Sacrosancta synodus statuit et declarat ut haec ipsa vetus et vulgata editio, quae longo tot saeculorum usu in ipsa ecclesia probata est, in publicis lectionibus, disputationibus, praedicationibus et expositionibus pro autentica habeatur, et ut nemo illam reiicere quovis praetextu audeat. Gli eretici poi hanno stampate diverse altre versioni latine, ma tutte corrotte e discordanti in più cose dalla volgata, oltre poi di molte altre versioni fatte in lingua volgare più corrotte delle latine.

14. Posto ciò, gli eretici non possono trovare alcuna loro versione che sia pura, se non per lo spirito interno, in modo che le loro scritture si riducono ad una moltitudine confusa di sentenze diverse; poiché i loro traduttori non erano totalmente periti delle lingue originali, né erano esenti come uomini dal poter prendere molti abbagli; e ciò oltre gli errori che vi hanno inseriti, aggiungendo o togliendo parole, secondo meglio lor riusciva per coonestare le proprie dottrine.

15. Oppongono essi che la nostra volgata dissente dall'ebraica e dalla greca, e che perciò Clemente VIII. corresse in più luoghi la stessa volgata data fuori da Sisto V., e che ella neppure è purgata in tutto, come confessa il medesimo Clemente nella sua prefazione. Si risponde che la volgata non dissente dall'ebraica e greca in quanto al senso sostanziale; poiché i traduttori hanno riguardato più al senso che alle parole, affinché la versione non riuscisse molto oscura. Ma del resto che importa che la volgata discordi in più cose dall'ebrea e greca, mentre è noto, come avvertono gli eruditi, che gli esemplari ebraici e greci al presente si ritrovano in parte difettosi? La lezione poi di Clemente non variò da quella di Sisto in quanto al senso, ma solo in quanto a certe espressioni; tanto più che nello stesso testo ben possono esservi più sensi, come dicono i medesimi avversarj. La volgata, secondo parla Clemente, neppure oggi è libera da ogni errore accidentale; ma così per quella di Sisto, che per altro non fu promulgata, come per quella di Clemente sta definito ch'elle sono esenti da ogni errore sostanziale contro la fede o i buoni costumi, circa le quali cose, attesa la promessa di Gesù Cristo, la chiesa non può errare. Ma come il concilio di Trento poté dichiarare autentica quell'edizione che doveva esser corretta poi da Clemente? Rispondo: il concilio ben dichiarò autentica quella edizione che prima chiamavasi vecchia o volgata, ed era stata già provata per vera col lungo uso di tanti secoli per mezzo della tradizione apostolica, ch'è la parola viva della fede; altro dunque non dispose il concilio, se non che dal pontefice si aggiustassero meglio gli errori ch'erano accidentali.

16. Per 4. ed ultimo, ancorché constasse di alcun esemplare che quella è la vera ed intiera bibbia, e che quella è la legittima ed incorrotta versione, come si prova quale sia il vero senso delle scritture? Dice s. Girolamo che il vangelo, o sia la legge del vangelo non è nelle parole delle scritture, ma nel vero senso di quelle: Non putemus in verbis scripturarum esse evangelium, sed in sensu... Interpretatione enim perversa de evangelio Christi fit hominis evangelium, aut quod peius est, diaboli. Così le parole Pater maior me est1, come le intende un cattolico, sono parole di Dio; ma come le intende un ariano, sono parole d'un eretico. Queste altre parole: Qui crediderit, et baptizatus fuerit, salvus erit2, intese da un luterano sono eresia, intese da un cattolico sono verità.

17. Bisogna dunque distinguere i sensi. Altro è il vero senso della scrittura, altro l'accomodatizio. Il vero è quello che propriamente s'intende da Dio. L'accomodatizio è quello che gli danno gli uomini praeter la mente divina: si dice praeter non contra, perché se fosse contra, sarebbe falso; ma se solamente è praeter, è permesso, ma non è il senso proprio da Dio inteso. Vi è poi il senso letterale e il senso mistico; l'uno e l'altro può essere inteso da Dio. Non in ogni testo vi è il senso mistico, ma vi è bensì il letterale, fuorché quando la sentenza non si può intendere letteralmente. Talvolta in un testo vi è il letterale ed il mistico, come in quello: Abraham duos filios habuit, unum de ancilla et unum de libera... Quae sunt per allegoriam dicta. Haec enim sunt duo testamenta etc.1. In questo testo: Hoc est corpus meum2, la chiesa cattolica intende la parola est per essere nel tempo presente, sicché pronunziate le dette parole, il pane non è più pane, ma è vero corpo di Gesù Cristo, reale permanente. Zuinglio malamente intende la parola est per significare: Questo significa il corpo mio: siccome ne adduce l'esempio, Est enim Phase, idest transitus3. Lutero all'incontro intende malamente la parola est per essere, ma nel tempo futuro: Questo sarà il corpo mio, cioè nell'atto che sarà preso da' fedeli. Or come noi potremo sapere il vero senso di tali parole, avendo solamente riguardo al senso letterale? E se di tali parole non abbiamo noi cattolici la certezza del senso, possiamo aver ferma credenza del sacramento dell'eucaristia? Inoltre è certo che molti luoghi della scrittura sono oscuri. Lutero e Calvino dicono che no, ma ch'ella è chiara a tutti gli uomini pii. Ma come va poi che i santi padri han molto faticato per intendere alcuni testi, e neppure gli hanno compresi? S. Agostino4 confessa che erano più i testi che ignorava, che quelli che intendeva: In ipsis s. scripturis plura nescio, quam scio5. E s. Girolamo, Hoc tantum scio, quod nescio6. Gli stessi eretici Brenzio, Giovan Gerardo, Molineo ed Amesio han confessato che vi sono molti passi astrusi in più luoghi della scrittura, nei profeti, nei salmi, nell'apocalisse, nelle epistole e specialmente nell'epistola prima a' corinti7 ove si dice: Qui baptizantur pro mortuis. Come uno può battezzarsi per gli altri? E poi per li morti? Alcuni altri testi par che pugnino insieme: Non resurgent impii in iudicio, si dice nel salmo 1. v. 5. E poi nell'epistola di s. Paolo8 si dice:Omnes quidem resurgemus, sed non omnes immutabimur. Nell'epistola a' romani9 dicesi: Arbitramur enim iustificari hominem per fidem sine operibus legis. Ed all'incontro nella stessa epistola10 dicesi: Factores legis iustificabuntur. Non può negarsi che molti testi sono difficili ad intendersi, mentre nella stessa scrittura troviamo scritto: Sicut et in omnibus epistolis, cioè, dice s. Paolo, loquens in eis de his, in quibus sunt quaedam difficilia intellectu11.

18. Né gli eretici secondo i loro principj possono mai provare che abbiano il vero senso della scrittura. Non possono provarlo per mezzo della stessa scrittura, perché, siccome si è detto, la scrittura in molto luoghi è oscura, né in altri luoghi si spiega; e così come un testo può essere giudice dello stesso testo? Non possono neppure provarlo per lo spirito interno, perché questo spirito è di ciascun uomo privato, il quale può ingannarsi. Non dicono i novatori che la chiesa romana dopo il quinto secolo si è ingannata con tanti uomini dotti suoi seguaci, e così ha corrotta la fede? E come poi ciascun uomo privato non può ingannarsi? Ma a rispetto di questo spirito privato vediamo che ne dicono questi maestri di fede. Lutero nega tanti libri della scrittura: Giobbe, l'ecclesiaste ed altri riferiti di sopra: Calvino all'incontro gli ammette per veri e divini. Ambedue questi eresiarchi, come dicono i loro seguaci, sono stati messi illuminati da Dio, ambedue hanno avuta la luce interna dallo Spirito santo. A chi dei due dobbiamo noi credere? Di più le parole dell'eucaristia: Hoc est corpus meum, Lutero le intende realmente del corpo di Gesù Cristo; ma Zuinglio e Calvino le intendono figuratamente: Sicché quello che l'uno tiene per fede, gli altri condannano per idolatria. Mi dicano chi di loro dice la verità?

19. Posto ciò si vede che i riformati non hanno, né possono aver regola certa di fede; poiché non hanno giudice infallibile che decida le controversie. E qual è questo giudice infallibile? È la chiesa. Vediamolo.

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1 Sess. 4.

1 1. Petr. 3. 16.

1 Ioan. 10. 28.

2 Marc. 16. 16.

1 Gal. 4. 22. et 24.

2 Matth. 26. 26.

3 Exod. 11. 12.

4 Ep. 119. c. 21.

5 Ep. ad Ianuar c. 6.

6 Ep. ad Paulin.

7 C. 15. v. 19.

8 1. Cor. 15. 15.

9 C. 3. v. 28.

10 C. 1. v. 13.

11
 2. Petr. 3. 16. 

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