giovedì 10 maggio 2012

Catechismo della Chiesa Cattolica - LXXVI

Proseguiamo l'appuntamento volto alla conoscenza del Catechismo della Chiesa Cattolica. Restiamo nell'Articolo 4 del Capitolo Secondo sui Sacramenti di Guarigione:


PARTE SECONDA  
LA CELEBRAZIONE DEL MISTERO CRISTIANO

SEZIONE SECONDA 
«I SETTE SACRAMENTI DELLA CHIESA»

CAPITOLO SECONDO 
I SACRAMENTI DI GUARIGIONE

ARTICOLO 4 
IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA E DELLA RICONCILIAZIONE



VIII. Il ministro di questo sacramento

1461 Poiché Cristo ha affidato ai suoi Apostoli il ministero della riconciliazione,63 i Vescovi, loro successori, e i presbiteri, collaboratori dei Vescovi, continuano ad esercitare questo ministero. Infatti sono i Vescovi e i presbiteri che hanno, in virtù del sacramento dell'Ordine, il potere di perdonare tutti i peccati « nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo ».


1462 Il perdono dei peccati riconcilia con Dio ma anche con la Chiesa. Il Vescovo, capo visibile della Chiesa particolare, è dunque considerato a buon diritto, sin dai tempi antichi, come colui che principalmente ha il potere e il ministero della riconciliazione: è il moderatore della disciplina penitenziale.64 I presbiteri, suoi collaboratori, esercitano tale potere nella misura in cui ne hanno ricevuto l'ufficio sia dal proprio Vescovo (o da un superiore religioso), sia dal Papa, in base al diritto della Chiesa.65


1463 Alcuni peccati particolarmente gravi sono colpiti dalla scomunica, la pena ecclesiastica più severa, che impedisce di ricevere i sacramenti e di compiere determinati atti ecclesiastici,66 e la cui assoluzione, di conseguenza, non può essere accordata, secondo il diritto della Chiesa, che dal Papa, dal Vescovo del luogo o da presbiteri da loro autorizzati.67 In caso di pericolo di morte, ogni sacerdote, anche se privo della facoltà di ascoltare le confessioni, può assolvere da qualsiasi peccato e da qualsiasi scomunica.68


1464 I sacerdoti devono incoraggiare i fedeli ad accostarsi al sacramento della Penitenza e devono mostrarsi disponibili a celebrare questo sacramento ogni volta che i cristiani ne facciano ragionevole richiesta.69


1465 Celebrando il sacramento della Penitenza, il sacerdote compie il ministero del buon pastore che cerca la pecora perduta, quello del buon Samaritano che medica le ferite, del padre che attende il figlio prodigo e lo accoglie al suo ritorno, del giusto giudice che non fa distinzione di persone e il cui giudizio è ad un tempo giusto e misericordioso. Insomma, il sacerdote è il segno e lo strumento dell'amore misericordioso di Dio verso il peccatore.


1466 Il confessore non è il padrone, ma il servitore del perdono di Dio. Il ministro di questo sacramento deve unirsi all'intenzione e alla carità di Cristo.70 Deve avere una provata conoscenza del comportamento cristiano, l'esperienza delle realtà umane, il rispetto e la delicatezza nei confronti di colui che è caduto; deve amare la verità, essere fedele al Magistero della Chiesa e condurre con pazienza il penitente verso la guarigione e la piena maturità. Deve pregare e fare penitenza per lui, affidandolo alla misericordia del Signore.


1467 Data la delicatezza e la grandezza di questo ministero e il rispetto dovuto alle persone, la Chiesa dichiara che ogni sacerdote che ascolta le confessioni è obbligato, sotto pene molto severe, a mantenere un segreto assoluto riguardo ai peccati che i suoi penitenti gli hanno confessato.71 Non gli è lecito parlare neppure di quanto viene a conoscere, attraverso la confessione, della vita dei penitenti. Questo segreto, che non ammette eccezioni, si chiama il « sigillo sacramentale », poiché ciò che il penitente ha manifestato al sacerdote rimane « sigillato » dal sacramento.


IX. Gli effetti di questo sacramento


1468 « Tutto il valore della Penitenza consiste nel restituirci alla grazia di Dio stringendoci a lui in intima e grande amicizia ».72 Il fine e l'effetto di questo sacramento sono dunque la riconciliazione con Dio. Coloro che ricevono il sacramento della Penitenza con cuore contrito e in una disposizione religiosa conseguono « la pace e la serenità della coscienza insieme a una vivissima consolazione dello spirito ».73 Infatti, il sacramento della Riconciliazione con Dio opera una autentica « risurrezione spirituale », restituisce la dignità e i beni della vita dei figli di Dio, di cui il più prezioso è l'amicizia di Dio.74


1469 Questo sacramento ci riconcilia con la Chiesa. Il peccato incrina o infrange la comunione fraterna. Il sacramento della Penitenza la ripara o la restaura. In questo senso, non guarisce soltanto colui che viene ristabilito nella comunione ecclesiale, ma ha pure un effetto vivificante sulla vita della Chiesa che ha sofferto a causa del peccato di uno dei suoi membri.75 Ristabilito o rinsaldato nella comunione dei santi, il peccatore viene fortificato dallo scambio dei beni spirituali tra tutte le membra vive del corpo di Cristo, siano esse ancora nella condizione di pellegrini o siano già nella patria celeste.76


« Bisogna aggiungere che tale riconciliazione con Dio ha come conseguenza, per così dire, altre riconciliazioni, che rimediano ad altrettante rotture, causate dal peccato: il penitente perdonato si riconcilia con se stesso nel fondo più intimo del proprio essere, in cui ricupera la propria verità interiore; si riconcilia con i fratelli, da lui in qualche modo offesi e lesi; si riconcilia con la Chiesa; si riconcilia con tutto il creato ».77


1470 In questo sacramento, il peccatore, rimettendosi al giudizio misericordioso di Dio, anticipa in un certo modo il giudizio al quale sarà sottoposto al termine di questa esistenza terrena. È infatti ora, in questa vita, che ci è offerta la possibilità di scegliere tra la vita e la morte, ed è soltanto attraverso il cammino della conversione che possiamo entrare nel regno di Dio, dal quale il peccato grave esclude.78 Convertendosi a Cristo mediante la penitenza e la fede, il peccatore passa dalla morte alla vita « e non va incontro al giudizio » (Gv 5,24).


X. Le indulgenze


1471 La dottrina e la pratica delle indulgenze nella Chiesa sono strettamente legate agli effetti del sacramento della Penitenza.


Che cos'è l'indulgenza?


« L'indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, remissione che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei santi ».79


« L'indulgenza è parziale o plenaria secondo che libera in parte o in tutto dalla pena temporale dovuta per i peccati ».80 « Ogni fedele può acquisire le indulgenze [...] per se stesso o applicarle ai defunti ».81





martedì 8 maggio 2012

Filotea: Introduzione alla vita devota - XXXIX

Proseguiamo l'appuntamento con Filotea: Introduzione alla vita devota di San Francesco di Sales:




FILOTEA
Introduzione alla vita devota

(San Francesco di Sales)



SECONDA PARTE

Contiene diversi consigli per l’elevazione dell’anima a Dio per mezzo dell’Orazione e dei Sacramenti.



Capitolo XX



LA COMUNIONE FREQUENTE

Si dice che Mitridate, re del Ponto, avesse inventato un veleno con il quale aveva talmente rinvigorito il proprio organismo, che, quando volle avvelenarsi per sfuggire alla schiavitù dei Romani, non riuscì a portare a compimento il proposito.

Il Salvatore ha istituito l’augusto sacramento dell’Eucarestia, che contiene realmente la sua carne e il suo sangue, affinché chi ne mangia viva eternamente. Ecco perché, chiunque vi ricorre spesso con devozione, rinforza talmente la salute e la vitalità dell’anima, che è quasi impossibile che rimanga avvelenata dai cattivi affetti di qualunque sorta siano.

Non è possibile nutrirsi di questo cibo di vita e continuare a vivere gli affetti di morte; allo stesso modo che gli uomini nel paradiso terrestre non avrebbero potuto morire quanto al corpo in virtù del frutto della vita del Signore vi aveva collocato, così essi non possono morire spiritualmente in virtù di questo sacramento di vita.

Se è vero che i frutti più teneri, soggetti a corrompersi, come le ciliegie, le albicocche e le fragole, si conservano facilmente tutto l’anno una volta canditi nello zucchero e nel miele, nessuna meraviglia che i nostri cuori, benché fragili e deboli, siano resi immuni dalla corruzione del peccato quando sono trattati con quello zucchero e quel miele che sono la carne e il sangue incorruttibili del Figlio di Dio. O Filotea, i cristiani che saranno condannati, resteranno senza parola allorché il Giudice giusto rinfaccerà loro il torto che hanno avuto di lasciarsi morire spiritualmente, quando era loro così facile mantenersi in vita e buona salute nutrendosi del suo Corpo offerto a tal fine. Miserabili, dirà loro. Come avete potuto lasciarvi morire, quando avevate l’ordine di nutrirvi del cibo di vita?

"Io non lodo e non biasimo il fatto di ricevere la comunione eucaristica tutti i giorni; ma consiglio ed esorto ciascuno a fare la comunione tutte le Domeniche, purché lo spirito non abbia affetti al peccato".

Sono parole testuali di S. Agostino, al quale mi associo non biasimando e non lodando chi fa la comunione tutti i giorni; lascio la decisione su questo punto alla discrezione del Padre spirituale di chi vorrà prendere decisioni a questo proposito; infatti le disposizioni per accostarsi così di frequente alla santa comunione devono essere di un livello di perfezione, che non è opportuno dare in materia un parere generico. D’altra parte, siccome tali disposizioni, benché richiedono un livello di perfezione alto, possono trovarsi in molte anime buone, non è nemmeno bene distogliere e dissuadere tutti. Va deciso dopo aver preso in esame lo stato interiore di ciascuno in particolare.

Sarebbe imprudente consigliare a tutti indiscriminatamente la comunione frequente; ma sarebbe ugualmente imprudente biasimare chi la facesse, soprattutto quando c’è di mezzo il parere di un prudente direttore di spirito. Bella la risposta di S, Caterina da Siena, quando, a proposito della sua comunione quotidiana, le fu citato S. Agostino che non loda e non biasima chi si comunica tutti i giorni: Ebbene, disse, poiché S. Agostino non lo biasima, prego anche voi di fare altrettanto, e mi basta.

Ma vedi bene, Filotea, che S. Agostino esorta e consiglia con forza di fare la comunione tutte le domeniche; falla anche tu più spesso che puoi. Giacché, io lo credo, tu non hai alcun affetto al peccato mortale, e nemmeno al peccato veniale, sei nella disposizione richiesta da S. Agostino, e anche qualcosa di più; perché non solo non hai l’affetto a peccare, ma non hai nemmeno l’affetto al peccato. Sicché se il tuo padre spirituale lo trova bene, puoi fare la comunione anche più spesso di ogni domenica.

Possono tuttavia sorgere molte difficoltà, non da parte tua, ma da parte di coloro che vivono con te, che potrebbero consigliare al tuo saggio direttore di non farti comunicare così spesso. Se, per esempio, tu sei sottomessa a qualcuno, e coloro cui devi obbedienza e rispetto siano così mal istruiti e così strani da sentirsi inquieti e turbati nel vederti fare la comunione così spesso, nel caso, tutto considerato, sarà bene andare incontro alla loro malattia e fare la comunione soltanto ogni quindici giorni; ciò solo nel caso che la difficoltà non possa esse superata in altro modo. In questo campo non bisogna dare direttive generali, occorre stare a quanto dice il padre spirituale; tuttavia mi sento in obbligo di affermare con certezza che la massima distanza tra una comunione e l’altra non deve superare il mese, almeno in quelli che intendono servire Dio devotamente.

Se sai essere molto prudente, non c’è né madre, né moglie, né marito, né padre che ti impedisca di comunicare spesso: e sai perché. Perché il giorno in cui avrai fatto la comunione, non diminuirai la cura per quello che fa parte dei doveri del tuo stato, anzi sarai più dolce e gentile e non rifiuterai l’adempimento di nessun dovere; la conseguenza sarà che gli altri non avranno alcun interesse a distoglierti da questo esercizio che non causa loro alcun pregiudizio; a meno che non siano gretti e incapaci di ragionare; in tal caso, come già detto, usa condiscendenza, secondo il consiglio del tuo direttore.

Devo aggiungere una parola per la gente sposata: Dio, nell’antica Legge, trovava cosa fatta male che i creditori esigessero il loro debito nei giorni di festa; ma non se l’aveva a male se il debitore pagava e rendeva il debito a chi lo esigeva. E’ cosa poco conveniente, benché non sia un grande peccato, chiedere la soddisfazione del debito coniugale nel giorno in cui si è fatta la comunione; ma non è sconveniente, anzi direi che è meritorio, renderlo. Ecco perché a causa di tali doveri, nessuno deve essere privato della Comunione, quando la sua devozione lo spinge a chiederla. Nella Chiesa primitiva i cristiani comunicavano tutti i giorni, pur essendo sposati e benedetti da tanti figli; ecco perché ho detto che la comunione frequente non deve generare alcuna sorta di problemi né ai papà, né alle mamme, né ai mariti, né alle mogli purché l’anima che si accosta alla comunione sia prudente e discreta.

Quanto alle malattie corporali non ce n’è alcuna che impedisca questa santa partecipazione, eccetto quelle che causano vomito molto frequente.

Per fare la comunione ogni otto giorni occorre non avere peccati mortali e non avere affetto al peccato veniale, e avere un grande desiderio di fare la comunione; ma per fare la comunione tutti i giorni, oltre a ciò, bisogna aver superato la maggior parte delle cattive inclinazioni ed avere il parere favorevole del padre spirituale.

sabato 5 maggio 2012

Il Sabato dei Salmi - Salmo 103 - Dio è amore

Salmo 103  

Dio è amore 
[1]Di Davide. 

Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
[2]Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tanti suoi benefici. 

[3]Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue malattie;
[4]salva dalla fossa la tua vita,
ti corona di grazia e di misericordia;
[5]egli sazia di beni i tuoi giorni
e tu rinnovi come aquila la tua giovinezza. 

[6]Il Signore agisce con giustizia
e con diritto verso tutti gli oppressi.
[7]Ha rivelato a Mosè le sue vie,
ai figli d'Israele le sue opere. 

[8]Buono e pietoso è il Signore,
lento all'ira e grande nell'amore.
[9]Egli non continua a contestare
e non conserva per sempre il suo sdegno.
[10]Non ci tratta secondo i nostri peccati,
non ci ripaga secondo le nostre colpe. 

[11]Come il cielo è alto sulla terra,
così è grande la sua misericordia su quanti lo temono;
[12]come dista l'oriente dall'occidente,
così allontana da noi le nostre colpe.
[13]Come un padre ha pietà dei suoi figli,
così il Signore ha pietà di quanti lo temono. 

[14]Perché egli sa di che siamo plasmati,
ricorda che noi siamo polvere.
[15]Come l'erba sono i giorni dell'uomo,
come il fiore del campo, così egli fiorisce.
[16]Lo investe il vento e più non esiste
e il suo posto non lo riconosce. 

[17]Ma la grazia del Signore è da sempre,
dura in eterno per quanti lo temono;
la sua giustizia per i figli dei figli,
[18]per quanti custodiscono la sua alleanza
e ricordano di osservare i suoi precetti.
[19]Il Signore ha stabilito nel cielo il suo trono
e il suo regno abbraccia l'universo. 

[20]Benedite il Signore, voi tutti suoi angeli,
potenti esecutori dei suoi comandi,
pronti alla voce della sua parola.
[21]Benedite il Signore, voi tutte, sue schiere,
suoi ministri, che fate il suo volere.
[22]Benedite il Signore, voi tutte opere sue,
in ogni luogo del suo dominio.
Benedici il Signore, anima mia. 




Commento dei Padri della Chiesa


v. 1b Quanto è in me benedica il suo santo nome. Non crediamo inutile questa distinzione implicita di tutte le parti di noi stessi per applicarle alla lode di Dio: le più piccole parti del nostro corpo sono state stabilite dall’abisso della Sapienza divina in modo che non ci sia in noi nulla d’inutile e l’accordo e l’armonia di tutte le nostre più piccole parti contribuisca a lodare Dio e benedirlo. E’ giusto, dunque, convocare tutto ciò che è in noi (Eusebio). 


vv. 2-5 Sintesi dei benefici di Dio: perdona i nostri peccati per mezzo della propiziazione che è il Cristo; ti libera dalla morte dando per la tua morte il sangue del suo Figlio; ti corona della grazia d’adozione; ti dona la speranza della risurrezione con il pegno dello Spirito. Tutti questi sono i doni dello Sposo alla sposa, e questa non porta che la propria fede (Eusebio). 


Chi si ricorda davvero dei benefici di Dio non si stanca mai di lodarlo (Atanasio). 


Dio ci ha perdonato i peccati, adottati, colmati di beni spirituali, e ha dato se stesso donandoci il pane di vita (Atanasio). 


Dio perdona, guarisce, risuscita, corona (Cassiodoro). 


Ti spoglierai del tuo uomo vecchio, come l’aquila si spoglia della sua vecchiezza (Origene). 


La tua giovinezza sarà rinnovata per sempre in una vita incorruttibile (Eusebio). 


L’aquila simboleggia e profetizza la risurrezione (Atanasio). 


v. 6 Il Signore ha mostrato sotto Mosè come egli ha pietà, ma anche come giudica severamente. Il Signore ha pietà di noi allo stesso modo che un padre ha compassione di figli che si comportano male. Noi eravamo senza Dio e senza timore di Dio: ci ha resi pii e timorosi di Dio (Eusebio). 


v. 7 La nostra salvezza mediante il battesimo non è una cosa nuova, perché Dio l’aveva annunciata per mezzo dei profeti e raffigurata con Mosé che attraversa il mar Rosso (Teodoreto). 


Dio ha fatto conoscere le sue vie a Mosé donando la legge per convincere l’uomo che era malato e aveva bisogno del medico [cfr. Rm 7,23ss] (Agostino). 


vv. 9-10 Dio è stato irritato dal peccato di Adamo e ci ha condannati a morte, ma ciò non durerà per sempre (Origene). 


Neppure i reprobi Dio retribuisce con tutti i supplizi che meriterebbero (Origene). 


vv. 13-16 Il Creatore ha i sentimenti di un padre che conosce la debolezza dei suoi figli. Seguirà ora la descrizione di questa debolezza: siamo fatti di polvere, ecc. (Teodoreto). 


Un padre ha compassione dei suoi figli correggendoli; così Dio con noi (Girolamo). 


L’argilla, se non si mescola con l’acqua, si disgrega immediatamente; come l’argilla ha bisogno d’acqua per essere riplasmata, così noi abbiamo bisogno del battesimo per essere riplasmati (Esichio di Gerusalemme). 


Egli sa di che cosa siamo plasmati. Il suo modo di conoscere la nostra argilla fu di assumerla per amore (Gregorio Magno). 


vv. 20-22 All’inizio del salmo lo Spirito divino invitava l’anima umana a benedire Dio. Ora, dopo aver parlato delle dimore celesti destinate ai fedeli, passa con molta naturalezza agli spiriti celesti, perché questi fanno festa per ogni peccatore che si pente.  O anima mia, sei ben poca cosa tu per benedire il Signore, mentre questi spiriti potenti… E quelli che conducono sulla terra la vita degli angeli hanno più possibilità che altri di lodare Dio. Quando ci si pensa, si sarebbe tentati di dire: Lasciamo ai migliori questa cura! Cediamo il posto a persone più degne! No, ciascuno al proprio posto loda Dio nella creazione: quelli che sono fatti ad immagine di Dio come te, e anche gli esseri inanimati lo celebrano con la loro bellezza. Questo concerto incita anche me a celebrare il Creatore. E se i giudei erano tenuti a celebrare il culto nella sola Gerusalemme, noi, secondo il comando dell’apostolo, possiamo pregare in ogni luogo alzando mani pure e senza contese [1Tm 2,8] (Eusebio). 


Questo insegna che chi loda Dio condivide la dignità degli angeli (Atanasio). 


Più fortunati dei giudei, noi possiamo ovunque innalzare le nostre mani a Dio nella preghiera [cf 1Tm 2,8]. Il Cristo ha detto: Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità [Gv 4,23] (Teodoreto).




giovedì 3 maggio 2012

Catechismo della Chiesa Cattolica - LXXV

Proseguiamo l'appuntamento volto alla conoscenza del Catechismo della Chiesa Cattolica. Restiamo nell'Articolo 4 del Capitolo Secondo sui Sacramenti di Guarigione:


PARTE SECONDA  
LA CELEBRAZIONE DEL MISTERO CRISTIANO

SEZIONE SECONDA 
«I SETTE SACRAMENTI DELLA CHIESA»

CAPITOLO SECONDO 
I SACRAMENTI DI GUARIGIONE

ARTICOLO 4 
IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA E DELLA RICONCILIAZIONE

VII. Gli atti del penitente

1450 « La penitenza induce il peccatore a sopportare di buon animo ogni sofferenza; nel suo cuore vi sia la contrizione, nella sua bocca la confessione, nelle sue opere tutta l'umiltà e la feconda soddisfazione ».42

La contrizione

1451 Tra gli atti del penitente, la contrizione occupa il primo posto. Essa è « il dolore dell'animo e la riprovazione del peccato commesso, accompagnati dal proposito di non peccare più in avvenire ».43

1452 Quando proviene dall'amore di Dio amato sopra ogni cosa, la contrizione è detta « perfetta » (contrizione di carità). Tale contrizione rimette le colpe veniali; ottiene anche il perdono dei peccati mortali, qualora comporti la ferma risoluzione di ricorrere, appena possibile, alla confessione sacramentale.44

1453 La contrizione detta « imperfetta » (o « attrizione ») è, anch'essa, un dono di Dio, un impulso dello Spirito Santo. Nasce dalla considerazione della bruttura del peccato o dal timore della dannazione eterna e delle altre pene la cui minaccia incombe sul peccatore (contrizione da timore). Quando la coscienza viene così scossa, può aver inizio un'evoluzione interiore che sarà portata a compimento, sotto l'azione della grazia, dall'assoluzione sacramentale. Da sola, tuttavia, la contrizione imperfetta non ottiene il perdono dei peccati gravi, ma dispone a riceverlo nel sacramento della Penitenza.45

1454 È bene prepararsi a ricevere questo sacramento con un esame di coscienza fatto alla luce della Parola di Dio. I testi più adatti a questo scopo sono da cercarsi nel Decalogo e nella catechesi morale dei Vangeli e delle lettere degli Apostoli: il discorso della montagna, gli insegnamenti apostolici.46

La confessione dei peccati

1455 La confessione dei peccati (l'accusa), anche da un punto di vista semplicemente umano, ci libera e facilita la nostra riconciliazione con gli altri. Con l'accusa, l'uomo guarda in faccia i peccati di cui si è reso colpevole; se ne assume la responsabilità e, in tal modo, si apre nuovamente a Dio e alla comunione della Chiesa al fine di rendere possibile un nuovo avvenire.

1456 La confessione al sacerdote costituisce una parte essenziale del sacramento della Penitenza: « È necessario che i penitenti enumerino nella confessione tutti i peccati mortali, di cui hanno consapevolezza dopo un diligente esame di coscienza, anche se si tratta dei peccati più nascosti e commessi soltanto contro i due ultimi comandamenti del Decalogo,47 perché spesso feriscono più gravemente l'anima e si rivelano più pericolosi di quelli chiaramente commessi »:48

« I cristiani [che] si sforzano di confessare tutti i peccati che vengono loro in mente, senza dubbio li mettono tutti davanti alla divina misericordia perché li perdoni. Quelli, invece, che fanno diversamente e tacciono consapevolmente qualche peccato, è come se non sottoponessero nulla alla divina bontà perché sia perdonato per mezzo del sacerdote. "Se infatti l'ammalato si vergognasse di mostrare al medico la ferita, il medico non può curare quello che non conosce" ».49

1457 Secondo il precetto della Chiesa, « ogni fedele, raggiunta l'età della discrezione, è tenuto all'obbligo di confessare fedelmente i propri peccati gravi, almeno una volta nell'anno ».50 Colui che è consapevole di aver commesso un peccato mortale non deve ricevere la santa Comunione, anche se prova una grande contrizione, senza aver prima ricevuto l'assoluzione sacramentale,51 a meno che non abbia un motivo grave per comunicarsi e non gli sia possibile accedere a un confessore.52 I fanciulli devono accostarsi al sacramento della Penitenza prima di ricevere per la prima volta la santa Comunione.53

1458 Sebbene non sia strettamente necessaria, la confessione delle colpe quotidiane (peccati veniali) è tuttavia vivamente raccomandata dalla Chiesa.54 In effetti, la confessione regolare dei peccati veniali ci aiuta a formare la nostra coscienza, a lottare contro le cattive inclinazioni, a lasciarci guarire da Cristo, a progredire nella vita dello Spirito. Ricevendo più frequentemente, attraverso questo sacramento, il dono della misericordia del Padre, siamo spinti ad essere misericordiosi come lui:55

« Chi riconosce i propri peccati e li condanna, è già d'accordo con Dio. Dio condanna i tuoi peccati; e se anche tu li condanni, ti unisci a Dio. L'uomo e il peccatore sono due cose distinte: l'uomo è opera di Dio, il peccatore è opera tua, o uomo. Distruggi ciò che tu hai fatto, affinché Dio salvi ciò che egli ha fatto. [...] Quando comincia a dispiacerti ciò che hai fatto, allora cominciano le tue opere buone, perché condanni le tue opere cattive. Le opere buone cominciano col riconoscimento delle opere cattive. Operi la verità, e così vieni alla Luce ».56

La soddisfazione

1459 Molti peccati recano offesa al prossimo. Bisogna fare il possibile per riparare (ad esempio restituire cose rubate, ristabilire la reputazione di chi è stato calunniato, risanare le ferite). La semplice giustizia lo esige. Ma, in più, il peccato ferisce e indebolisce il peccatore stesso, come anche le sue relazioni con Dio e con il prossimo. L'assoluzione toglie il peccato, ma non porta rimedio a tutti i disordini che il peccato ha causato.57 Risollevato dal peccato, il peccatore deve ancora recuperare la piena salute spirituale. Deve dunque fare qualcosa di più per riparare le proprie colpe: deve « soddisfare » in maniera adeguata o « espiare » i suoi peccati. Questa soddisfazione si chiama anche « penitenza ».

1460 La penitenza che il confessore impone deve tener conto della situazione personale del penitente e cercare il suo bene spirituale. Essa deve corrispondere, per quanto possibile, alla gravità e alla natura dei peccati commessi. Può consistere nella preghiera, in un'offerta, nelle opere di misericordia, nel servizio del prossimo, in privazioni volontarie, in sacrifici, e soprattutto nella paziente accettazione della croce che dobbiamo portare. Tali penitenze ci aiutano a configurarci a Cristo che, solo, ha espiato per i nostri peccati58 una volta per tutte. Esse ci permettono di diventare coeredi di Cristo risorto, dal momento che « partecipiamo alle sue sofferenze » (Rm 8,17):59

« Ma questa soddisfazione, che compiamo per i nostri peccati, non è talmente nostra da non esistere per mezzo di Gesù Cristo: noi, infatti, che non possiamo nulla da noi stessi, col suo aiuto "possiamo tutto in lui che ci dà la forza".60 Quindi l'uomo non ha di che gloriarsi; ma ogni nostro vanto è riposto in Cristo, [...] in cui offriamo soddisfazione, "facendo opere degne della conversione",61 che da lui traggono il loro valore, da lui sono offerte al Padre e grazie a lui sono accettate dal Padre ».62



domenica 29 aprile 2012

Filotea: Introduzione alla vita devota - XXXVIII

Proseguiamo l'appuntamento con Filotea: Introduzione alla vita devota di San Francesco di Sales:




FILOTEA
Introduzione alla vita devota

(San Francesco di Sales)



SECONDA PARTE

Contiene diversi consigli per l’elevazione dell’anima a Dio per mezzo dell’Orazione e dei Sacramenti.



Capitolo XIX



LA SANTA CONFESSIONE

Il nostro Salvatore ha lasciato alla sua Chiesa il sacramento della Penitenza o Confessione perché potessimo purificarci dalle nostre iniquità, per numerose che siano, tutte le volte che ci infanghiamo.

Perciò, Filotea, non tollerare mai per lungo tempo che il tuo cure rimanga contagiato dal peccato, disponendo tu di un rimedio sempre pronto e facile da applicare. La leonessa che si è unita ad un leopardo corre immediatamente a lavarsi per togliere da sé il lezzo, perché il leone, avvertendolo, non si adombri e si irriti. L’anima che ha acconsentito al peccato deve avere orrore di se stessa e ripulirsi immediatamente, per rispetto alla Maestà divina che sempre la segue. Perché vogliamo lasciarci morire spiritualmente quando abbiamo a disposizione un rimedio così sicuro?

Confessati devotamente e umilmente ogni otto giorni, e, se puoi, ogni volta fai la comunione, anche se non avverti nella coscienza il rimorso di alcun peccato mortale. In tal caso, con la confessione, non soltanto riceverai l’assoluzione dei peccati veniali confessati, ma anche una grande forza per evitarli in avvenire, una grande chiarezza per distinguerli e una efficace grazia per rimediare a tutto il danno che ti hanno causato. Praticherai la virtù dell’umiltà, dell’obbedienza, della semplicità e della carità; con il solo atto della Confessione praticherai più virtù che con qualsiasi altro.

Abbi sempre un sincero dispiacere dei peccati che confessi, per piccoli che siano, e prendi una ferma decisione di correggerti. Molti si confessano dei peccati veniali per abitudine, quasi meccanicamente, senza pensare minimamente ad eliminarli; e così per tutta la vita ne saranno dominati e perderanno molti beni e frutti spirituali.

Se, per esempio, ti confessi di aver mentito senza recar danno, o di aver detto qualche parola grossolana, o di aver giocato troppo, pentiti e fa proposito di correggerti; è un abuso confessare un peccato, sia mortale che veniale, senza aver intenzione di emendarsene, perché la Confessione è stata istituita proprio per quello scopo.

Non fare accuse generiche, come fanno molti, in modo macchinale, tipo queste: Non ho amato Dio come era mio dovere; Non ho ricevuto i Sacramenti con il rispetto dovuto, e simili. Ti chiarisco il motivo: Ciò dicendo tu non offri alcuna indicazione particolare che possa dare al confessore un’idea dello stato della tua coscienza; tutti i Santi del Paradiso e tutti gli uomini della terra potrebbero dire tranquillamente la stessa cosa. Cerca qual è la ragione specifica dell’accusa, una volta trovata, accusati della mancanza commessa con semplicità e naturalezza.

Se, per esempio, ti accusi di non avere amato il prossimo come avresti dovuto, può darsi che si sia trattato di un povero veramente bisognoso che tu non hai aiutato come avresti potuto o per negligenza, o per durezza di cuore, o per disprezzo; vedi un po’ tu il motivo!

Similmente non accusarti di non aver pregato Dio con la dovuta devozione; ma specifica se hai avuto delle distrazioni volontarie perché non hai avuto cura di scegliere il luogo, il tempo e il contegno atti a favorire l’attenzione nella preghiera; accusati con semplicità di quello in cui trovi di aver mancato, senza ricorrere a quelle espressioni generiche che, nella confessione, non fanno né caldo né freddo.

Non accontentarti di raccontare i tuoi peccati veniali solo come fatto; accusati anche del motivo che ti ci ha portato.

Non dimenticarti, per esempio, di dire che hai mentito senza coinvolgere nessuno; ma chiarisci, se è stato per vanità, se era per vantarti o scusarti, o per gioco, o per cocciutaggine. Se hai peccato nel gioco, specifica se è stato per soldi, o per il piacere della conversazione, e così via.

Dì anche se sei rimasto per lungo tempo nel tuo male, perché, in genere, il tempo aggrava il peccato. C’è molta differenza tra la vanità di un momento, che ha occupato il nostro spirito sì e no per un quarto d’ora, e quella nella quale il nostro cuore è rimasto immerso per uno, due o tre giorni!

In conclusione, bisogna esporre il fatto, il motivo e la durata dei nostri peccati; perché, anche se comunemente non siamo obbligati ad essere così esatti nel dichiarare i nostri peccati veniali, anzi non siamo nemmeno obbligati a confessarli, è pur sempre vero che coloro che vogliono pulire per bene l’anima per raggiungere più speditamente la santa devozione, devono avere molta cura di descrivere al medico spirituale il male, per piccolo che sia, se vogliono guarire.

Non trascurare di aggiungere quanto serve per far capire il tipo dell’offesa, come il motivo che ti ha fatto montare in collera, o ti ha fatto accettare il vizio di qualcuno. Per esempio, se un uomo che non mi va a genio, mi provoca con qualche leggera parola per ischerzo, io la prendo a male e monto in collera: cosa che se l’avesse fatta un altro che mi è simpatico, l’avrei accettata, anche se avesse caricato la dose.

Preciserò dunque con chiarezza: Mi sono lasciato trasportare a parole di collera contro una persona, perché ho preso a male ciò che mi aveva detto, non per le parole in se stesse, ma perché mi è antipatico colui che le ha dette.

E se fosse necessario precisare le parole per farti capire meglio, penso che faresti bene a dirle. Accusandoci in questo modo, con naturalezza, non solo mettiamo fuori i peccati fatti, ma anche le cattive inclinazioni, le usanze, le abitudini e le altre radici del peccato, in modo che il padre spirituale abbia una chiara conoscenza del cuore che gli è affidato e quindi predisponga i rimedi più opportuni. Tuttavia non fare il nome di chi ha eventualmente cooperato al tuo peccato, almeno finché ti sarà possibile.

Fa attenzione a numerosi peccati che vivono e spadroneggiano, spesso senza essere avvertiti, nella coscienza e accusali per potertene liberare; a questo fine leggi attentamente i Capitoli VI, XXVII, XXVIII, XXIX, XXXV e XXXVI della III parte e il Capitolo VIII della IV parte.

Non cambiare facilmente di confessore, ma scegline uno e rendigli conto della tua coscienza nei giorni che avrai stabilito; e digli con naturalezza e franchezza i peccati commessi; di tanto in tanto, ogni mese o ogni due mesi, digli anche a che punto sei con le inclinazioni, benché in quelle non ci sia peccato; digli se sei afflitta dalla tristezza, dal rimpianto, se sei invece portata alla gioia, al desiderio di acquisire ricchezze, e simili inclinazioni.

sabato 28 aprile 2012

Il Sabato dei Salmi - Salmo 102 - Preghiera nella sventura

Salmo 102  

Preghiera nella sventura 
[1]Preghiera di un afflitto che è stanco
e sfoga dinanzi a Dio la sua angoscia.
[2]Signore, ascolta la mia preghiera,
a te giunga il mio grido.
[3]Non nascondermi il tuo volto;
nel giorno della mia angoscia
piega verso di me l'orecchio.
Quando ti invoco: presto, rispondimi. 

[4]Si dissolvono in fumo i miei giorni
e come brace ardono le mie ossa.
[5]Il mio cuore abbattuto come erba inaridisce,
dimentico di mangiare il mio pane.
[6]Per il lungo mio gemere
aderisce la mia pelle alle mie ossa. 

[7]Sono simile al pellicano del deserto,
sono come un gufo tra le rovine.
[8]Veglio e gemo
come uccello solitario sopra un tetto.
[9]Tutto il giorno mi insultano i miei nemici,
furenti imprecano contro il mio nome.
[10]Di cenere mi nutro come di pane,
alla mia bevanda mescolo il pianto,
[11]davanti alla tua collera e al tuo sdegno,
perché mi sollevi e mi scagli lontano.
[12]I miei giorni sono come ombra che declina,
e io come erba inaridisco. 

[13]Ma tu, Signore, rimani in eterno,
il tuo ricordo per ogni generazione.
[14]Tu sorgerai, avrai pietà di Sion,
perché è tempo di usarle misericordia:
l'ora è giunta.
[15]Poiché ai tuoi servi sono care le sue pietre
e li muove a pietà la sua rovina. 

[16]I popoli temeranno il nome del Signore
e tutti i re della terra la tua gloria,
[17]quando il Signore avrà ricostruito Sion
e sarà apparso in tutto il suo splendore.
[18]Egli si volge alla preghiera del misero
e non disprezza la sua supplica. 

[19]Questo si scriva per la generazione futura
e un popolo nuovo darà lode al Signore.
[20]Il Signore si è affacciato dall'alto del suo santuario,
dal cielo ha guardato la terra,
[21]per ascoltare il gemito del prigioniero,
per liberare i condannati a morte;
[22]perché sia annunziato in Sion il nome del Signore
e la sua lode in Gerusalemme,
[23]quando si aduneranno insieme i popoli
e i regni per servire il Signore. 

[24]Ha fiaccato per via la mia forza,
ha abbreviato i miei giorni.
[25]Io dico: Mio Dio,
non rapirmi a metà dei miei giorni;
i tuoi anni durano per ogni generazione.
[26]In principio tu hai fondato la terra,
i cieli sono opera delle tue mani.
[27]Essi periranno, ma tu rimani,
tutti si logorano come veste,
come un abito tu li muterai
ed essi passeranno. 

[28]Ma tu resti lo stesso
e i tuoi anni non hanno fine.
[29]I figli dei tuoi servi avranno una dimora,
resterà salda davanti a te la loro discendenza.

Commento dal sito: http://www.padrelinopedron.it

Commento dei Padri della Chiesa


v. 2 Il coro dei profeti canta, pieno di dolore, sulla rovina di Gerusalemme. Preludio alla beatitudine del povero (Eusebio). 


Preghiera del povero affranto dal dolore. Il coro dei profeti effonde la sua preghiera perché il Signore faccia misericordia al suo popolo. Profetizza la vocazione dei gentili per la venuta del nostro salvatore Gesù Cristo (Atanasio). 


Il povero è colui che si fa povero volontariamente, cioè che si umilia da sé. E’ di lui che il Cristo ha detto: Beati i poveri in spirito [Mt 5,3] (Esichio di Gerusalemme). 


La Scrittura chiama povero colui che sente il bisogno di Dio (Teodoreto). 


Un povero prega. Quale povero? Si è fatto povero per voi, perché voi diventiate ricchi per mezzo della sua povertà (2Cor 8,9) Guarda le sue ricchezze: Tutto è stato fatto per mezzo di lui (Gv 1,3). Com’è arrivato a mangiare un pane di cenere e a mescolare la sua bevanda con il pianto? (v. 10). Il salmista risponde: Io sono il tuo servo e il figlio della tua ancella (Sal 116,16): nel seno della Vergine si è rivestito della nostra povertà. Ma noi siamo ancora lontani dalla cenere e dalle lacrime… Non oso dirlo: è lui, e non più lui. Assumendo la forma del servo, ha detto addio a suo Padre; aggiunga ora povertà a povertà, lasci anche la madre, si unisca alla sua sposa e trasfiguri in sé il corpo della nostra umiliazione. Allora non ci stupiremo più del pane di cenere né della bevanda di lacrime. In una sola voce, il Cristo e la sposa vivono la nostra povertà, il nostro travaglio, il nostro pianto… E’ lo stesso Povero che dice nel salmo 61,3: Dai confini della terra io t’invoco. E’ lui il Povero, lo sposo (Agostino). 


A partire da questo salmo, il salmista esprime la sofferenza di essere trattenuto nella carne: sono ancora lontano dal regno, trattenuto nella mortalità. Il povero è sia Cristo, sia il popolo umile, servo di Cristo (Ruperto). 


v. 3 Nascondermi il tuo volto sarebbe il contrario di: Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto (Sal 4,7b). Il santo non chiede di essere dispensato dalla lotta, domanda la passione e la gioia (Origene). 


Non si deve pregare solo nel momento dell’afflizione ma anche prima. Il profeta non chiede di essere dispensato dall’afflizione, il che non è possibile, ma di non essere assorbito da essa (Eusebio). 


Il Cristo prega per ciascuna delle sue membra. O povero, davanti alla porta di Dio! Scopriamo noi stessi in questa povertà ed entriamo in questa preghiera (Agostino). 


v. 5 Ho dimenticato di mangiare il pane spirituale di cui il Cristo parla: Procuratevi il cibo che non perisce (Gv 6,27). 


Mangerai il pane… aveva detto Dio (Gen 3,19). Ecco il pane che riparerà la tua dimenticanza: mangia colui che avevi dimenticato. Mangialo: tu stesso fai parte del suo corpo (Agostino). 


vv. 7-8 Gli uccelli nominati sono uccelli solitari; ciò significa: mi sono esiliato dagli uomini. Questi uccelli sono citati come simbolo, come figure di timore e di rovina. Il passero è ansioso; il gufo abbandona le abitazioni e vola verso luoghi deserti, come se fosse stato abbandonato. Il profeta esprime così che egli stesso è abbandonato e solitario e che la sua preghiera e la sua umiliazione sono incessanti (Origene). 


Gli uccelli di cui si parla rappresentano la paura, la mancanza di protezione, la perdita del sonno, la solitudine e le rovine (Teodoreto). 


Tre uccelli diversi e tre luoghi… ma vediamo se non sia il Signore stesso. Cerchiamo di riconoscere se è il pellicano del deserto, il gufo fra le rovine, il passero solitario sul tetto… Ci dica questo Povero, che è il nostro Capo, colui che è povero volontariamente, che parla a coloro che sono poveri per necessità. C’è una somiglianza tra il pellicano e il Cristo, perché è il sangue di Cristo che ci ha donato la vita (Agostino). 


v. 9 Mi insultano. Si sa che è una delle malizie del diavolo: quando non può abbattere i servi di Dio con la forza, li fa piegare con ingiurie ironiche, con lo scherno (Cassiodoro).  


v. 11 Sono colmo di mali, perché la sua ira infierisce contro di me. Il profeta fa propria la sventura del popolo. Tu mi solevi e mi scagli lontano. Il popolo giudeo, innalzato alla dignità di popolo di Dio e possessore del suo santuario, in seguito fu rigettato e distrutto da Dio (Eusebio). 




La collera di Dio contro Adamo. L’uomo, elevato in onore (Sal 49,13), fatto ad immagine di Dio e posto al di sopra degli animali, destinato alla beatitudine se avesse ben vissuto, trascina un’esistenza miserabile perché ha peccato (Agostino). 


v. 13 Lasciati commuovere, Signore, tu che sei eterno. Fa’ un gesto per me, così effimero (Origene).


v. 14 Signore, non ti lasci intenerire davanti alla mia natura povera, fuggevole e sventurata? Ti è così facile cambiare i mali presenti. Sì, tu avrai compassione di Sion! Sì, è venuto il tempo, perché la nostra misura di miseria è colma e invoca la misericordia (Eusebio). 


v. 16 Se il tuo tempio è ricostruito, tu sarai il Signore per il mondo intero. Al primo avvento il Cristo edifica Sion, la Chiesa. Al secondo avvento sarà visto nella gloria, questo ospite del nostro tabernacolo. La sua gloria apparve già, quando disse a Tommaso: Metti qua il tuo dito… [Gv 20,27] (Origene). 


v. 17 Attualmente quelli che edificano Sion pregano e gemono, perché questo Povero è migliaia di poveri: è uno solo per la carità che unisce a lui la Chiesa, ed è migliaia in tutte le nazioni (Agostino). 


v. 19 Sia scritta questa profezia della vocazione universale per la generazione futura, la creatura nuova nel Cristo, creata e ricreata fino alla fine dei secoli (Origene). 


v. 20 Cristo Signore si piega a guardare la terra e prevede il piano della sua salvezza (Esichio di Gerusalemme). 


v. 23 Il profeta vede in anticipo il radunarsi dei popoli nella Chiesa e domanda di farne parte (Atanasio). 


vv. 24-25 Il profeta vorrebbe che i suoi giorni fossero prolungati per vedere l’avvento del Messia, com’è scritto in Mt 13,17: Molti profeti e giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete (Eusebio). 


v. 27 Tutto passa in questo mondo, solo tu rimani e fai nuove tutte le cose (Teodoreto). 


v. 29 Abiteranno Gerusalemme, sulla terra e in cielo (Teodoreto). 


Abiteranno con il Signore: Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato, siano con me dove sono io [Gv 17,24] (Cassiodoro).



giovedì 26 aprile 2012

Catechismo della Chiesa Cattolica - LXXIV

Proseguiamo l'appuntamento volto alla conoscenza del Catechismo della Chiesa Cattolica. Restiamo nell'Articolo 4 del Capitolo Secondo sui Sacramenti di Guarigione:


PARTE SECONDA  
LA CELEBRAZIONE DEL MISTERO CRISTIANO

SEZIONE SECONDA 
«I SETTE SACRAMENTI DELLA CHIESA»

CAPITOLO SECONDO 
I SACRAMENTI DI GUARIGIONE

ARTICOLO 4 
IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA E DELLA RICONCILIAZIONE

V. Le molteplici forme della penitenza nella vita cristiana

1434 La penitenza interiore del cristiano può avere espressioni molto varie. La Scrittura e i Padri insistono soprattutto su tre forme: il digiuno, la preghiera, l'elemosina,26 che esprimono la conversione in rapporto a se stessi, in rapporto a Dio e in rapporto agli altri. Accanto alla purificazione radicale operata dal Battesimo o dal martirio, essi indicano, come mezzo per ottenere il perdono dei peccati, gli sforzi compiuti per riconciliarsi con il prossimo, le lacrime di penitenza, la preoccupazione per la salvezza del prossimo,27 l'intercessione dei santi e la pratica della carità che « copre una moltitudine di peccati » (1 Pt 4,8).


1435 La conversione si realizza nella vita quotidiana attraverso gesti di riconciliazione, attraverso la sollecitudine per i poveri, l'esercizio e la difesa della giustizia e del diritto,28 attraverso la confessione delle colpe ai fratelli, la correzione fraterna, la revisione di vita, l'esame di coscienza, la direzione spirituale, l'accettazione delle sofferenze, la perseveranza nella persecuzione a causa della giustizia. Prendere la propria croce, ogni giorno, e seguire Gesù è la via più sicura della penitenza.29


1436 Eucaristia e Penitenza. La conversione e la penitenza quotidiane trovano la loro sorgente e il loro alimento nell'Eucaristia, poiché in essa è reso presente il sacrificio di Cristo che ci ha riconciliati con Dio; per suo mezzo vengono nutriti e fortificati coloro che vivono della vita di Cristo; essa « è come l'antidoto con cui essere liberati dalle colpe di ogni giorno e preservati dai peccati mortali ».30


1437 La lettura della Sacra Scrittura, la preghiera della liturgia delle Ore e del « Padre nostro », ogni atto sincero di culto o di pietà ravviva in noi lo spirito di conversione e di penitenza e contribuisce al perdono dei nostri peccati.


1438 I tempi e i giorni di penitenza nel corso dell'anno liturgico (il tempo della Quaresima, ogni venerdì in memoria della morte del Signore) sono momenti forti della pratica penitenziale della Chiesa.31 Questi tempi sono particolarmente adatti per gli esercizi spirituali, le liturgie penitenziali, i pellegrinaggi in segno di penitenza, le privazioni volontarie come il digiuno e l'elemosina, la condivisione fraterna (opere caritative e missionarie).


1439 Il dinamismo della conversione e della penitenza è stato meravigliosamente descritto da Gesù nella parabola detta « del figlio prodigo » il cui centro è « il padre misericordioso »:32 il fascino di una libertà illusoria, l'abbandono della casa paterna; la miseria estrema nella quale il figlio viene a trovarsi dopo aver dilapidato la sua fortuna; l'umiliazione profonda di vedersi costretto a pascolare i porci, e, peggio ancora, quella di desiderare di nutrirsi delle carrube che mangiavano i maiali; la riflessione sui beni perduti; il pentimento e la decisione di dichiararsi colpevole davanti a suo padre; il cammino del ritorno; l'accoglienza generosa da parte del padre; la gioia del padre: ecco alcuni tratti propri del processo di conversione. L'abito bello, l'anello e il banchetto di festa sono simboli della vita nuova, pura, dignitosa, piena di gioia che è la vita dell'uomo che ritorna a Dio e in seno alla sua famiglia, la Chiesa. Soltanto il cuore di Cristo, che conosce le profondità dell'amore di suo Padre, ha potuto rivelarci l'abisso della sua misericordia in una maniera così piena di semplicità e di bellezza.


VI. Il sacramento della Penitenza e della Riconciliazione


1440 Il peccato è anzitutto offesa a Dio, rottura della comunione con lui. Nello stesso tempo esso attenta alla comunione con la Chiesa. Per questo motivo la conversione arreca ad un tempo il perdono di Dio e la riconciliazione con la Chiesa, ciò che il sacramento della Penitenza e della Riconciliazione esprime e realizza liturgicamente.33


Dio solo perdona il peccato


1441 Dio solo perdona i peccati.34 Poiché Gesù è il Figlio di Dio, egli dice di se stesso: « Il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati » (Mc 2,10) ed esercita questo potere divino: « Ti sono rimessi i tuoi peccati! » (Mc 2,5).35 Ancor di più: in virtù della sua autorità divina dona tale potere agli uomini36 affinché lo esercitino nel suo nome.


1442 Cristo ha voluto che la sua Chiesa sia tutta intera, nella sua preghiera, nella sua vita e nelle sue attività, il segno e lo strumento del perdono e della riconciliazione che egli ci ha acquistato a prezzo del suo sangue. Ha tuttavia affidato l'esercizio del potere di assolvere i peccati al ministero apostolico. A questo è affidato il « ministero della riconciliazione » (2 Cor 5,18). L'Apostolo è inviato « nel nome di Cristo », ed è Dio stesso che, per mezzo di lui, esorta e supplica: « Lasciatevi riconciliare con Dio » (2 Cor 5,20).


Riconciliazione con la Chiesa


1443 Durante la sua vita pubblica, Gesù non ha soltanto perdonato i peccati; ha pure manifestato l'effetto di questo perdono: egli ha reintegrato i peccatori perdonati nella comunità del popolo di Dio, dalla quale il peccato li aveva allontanati o persino esclusi. Un segno chiaro di ciò è il fatto che Gesù ammette i peccatori alla sua tavola; più ancora, egli stesso siede alla loro mensa, gesto che esprime in modo sconvolgente il perdono di Dio37 e, nello stesso tempo, il ritorno in seno al popolo di Dio.38


1444 Rendendo gli Apostoli partecipi del suo proprio potere di perdonare i peccati, il Signore dà loro anche l'autorità di riconciliare i peccatori con la Chiesa. Tale dimensione ecclesiale del loro ministero trova la sua più chiara espressione nella solenne parola di Cristo a Simon Pietro: « A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli » (Mt 16,19). Questo « incarico di legare e di sciogliere, che è stato dato a Pietro, risulta essere stato pure concesso al collegio degli Apostoli, unito col suo capo (cf Mt 18,18; 28,16-20) ».39


1445 Le parole legare e sciogliere significano: colui che voi escluderete dalla vostra comunione sarà escluso dalla comunione con Dio; colui che voi accoglierete di nuovo nella vostra comunione, Dio lo accoglierà anche nella sua. La riconciliazione con la Chiesa è inseparabile dalla riconciliazione con Dio.


Il sacramento del perdono


1446 Cristo ha istituito il sacramento della Penitenza per tutti i membri peccatori della sua Chiesa, in primo luogo per coloro che, dopo il Battesimo, sono caduti in peccato grave e hanno così perduto la grazia battesimale e inflitto una ferita alla comunione ecclesiale. A costoro il sacramento della Penitenza offre una nuova possibilità di convertirsi e di recuperare la grazia della giustificazione. I Padri della Chiesa presentano questo sacramento come « la seconda tavola [di salvezza] dopo il naufragio della grazia perduta ».40


1447 Nel corso dei secoli la forma concreta, secondo la quale la Chiesa ha esercitato questo potere ricevuto dal Signore, ha subito molte variazioni. Durante i primi secoli, la riconciliazione dei cristiani che avevano commesso peccati particolarmente gravi dopo il loro Battesimo (per esempio l'idolatria, l'omicidio o l'adulterio), era legata ad una disciplina molto rigorosa, secondo la quale i penitenti dovevano fare pubblica penitenza per i loro peccati, spesso per lunghi anni, prima di ricevere la riconciliazione. A questo « ordine dei penitenti » (che riguardava soltanto certi peccati gravi) non si era ammessi che raramente e, in talune regioni, una sola volta durante la vita. Nel settimo secolo, ispirati dalla tradizione monastica d'Oriente, i missionari irlandesi portarono nell'Europa continentale la pratica « privata » della penitenza, che non esige il compimento pubblico e prolungato di opere di penitenza prima di ricevere la riconciliazione con la Chiesa. Il sacramento si attua ormai in una maniera più segreta tra il penitente e il sacerdote. Questa nuova pratica prevedeva la possibilità della reiterazione e apriva così la via ad una frequenza regolare di questo sacramento. Essa permetteva di integrare in una sola celebrazione sacramentale il perdono dei peccati gravi e dei peccati veniali. È questa, a grandi linee, la forma di Penitenza che la Chiesa pratica fino ai nostri giorni.


1448 Attraverso i cambiamenti che la disciplina e la celebrazione di questo sacramento hanno conosciuto nel corso dei secoli, si discerne la medesima struttura fondamentale. Essa comporta due elementi ugualmente essenziali: da una parte, gli atti dell'uomo che si converte sotto l'azione dello Spirito Santo: cioè la contrizione, la confessione e la soddisfazione; dall'altra parte, l'azione di Dio attraverso l'intervento della Chiesa. La Chiesa che, mediante il Vescovo e i suoi presbiteri, concede nel nome di Gesù Cristo il perdono dei peccati e stabilisce la modalità della soddisfazione, prega anche per il peccatore e fa penitenza con lui. Così il peccatore viene guarito e ristabilito nella comunione ecclesiale.


1449 La formula di assoluzione in uso nella Chiesa latina esprime gli elementi essenziali di questo sacramento: il Padre delle misericordie è la sorgente di ogni perdono. Egli realizza la riconciliazione dei peccatori mediante la pasqua del suo Figlio e il dono del suo Spirito, attraverso la preghiera e il ministero della Chiesa:


« Dio, Padre di misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e risurrezione del suo Figlio, e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati, ti conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace. E io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo ».41


domenica 22 aprile 2012

Filotea: Introduzione alla vita devota - XXXVII

Proseguiamo l'appuntamento con Filotea: Introduzione alla vita devota di San Francesco di Sales:




FILOTEA
Introduzione alla vita devota

(San Francesco di Sales)



SECONDA PARTE

Contiene diversi consigli per l’elevazione dell’anima a Dio per mezzo dell’Orazione e dei Sacramenti.



Capitolo XVIII



COME VANNO ACCOLTE LE ISPIRAZIONI

Chiamiamo ispirazioni gli inviti, i movimenti, i rimproveri, i rimorsi interiori, i lumi e le cognizioni che Dio genera in noi prevenendo il nostro cuore con le sue benedizioni, con attenzione e affetto di Padre per svegliarci, scuoterci, spingerci, attirarci verso la virtù, l’amore celeste, i buoni propositi: in breve, verso tutto ciò che ci mette in cammino per il nostro bene eterno.

Lo Sposo lo chiama bussare alla porta e bussare al cuore della Sposa, svegliarla se dorme, invocarla e chiamarla quand’è assente, invitarla a gustare il miele e a cogliere i frutti e i fiori nel suo giardino, a cantare e a fare udire la voce alle sue orecchie.

Tre sono i movimenti che si susseguono nella promessa sposa prima di giungere al matrimonio: in primo luogo le viene proposto il matrimonio, poi ella lo trova di suo gradimento, infine dà il suo consenso.

Allo stesso modo, quando Dio vuole compiere in noi, per mezzo di noi e con noi un’opera di rilievo, in primo luogo ce la propone ispirandocela; poi tocca a noi esprimerci dicendo se ci piace; in terzo luogo aderiamo con il sì.

Lo stesso processo lo seguiamo per cadere nel peccato: anche il tal caso i movimenti sono tre: la tentazione, il compiacimento, il consenso.

Per conquistare le virtù i gradini sono sempre tre: l’ispirazione, che è il contrario della tentazione; il compiacimento nell’ispirazione che è il contrario del compiacimento nella tentazione; il consenso all’ispirazione, che è il contrario del consenso alla tentazione.

Anche se l’ispirazione dovesse insistere per tutto l’arco della nostra vita, se non la trovassimo bella e piacevole, non saremmo in alcun modo accetti a Dio; anzi la sua divina Maestà ne sarebbe offesa, come lo fu nei confronti degli Israeliti, che aveva inseguito inutilmente per quarant’anni chiamandoli alla conversione senza trovare in essi risposta. Giurò che mai più li avrebbe fatti entrare nella sua pace.

Così un signore che abbia per molto tempo corteggiato una giovane donna, sarebbe molto contrariato, se, dopo tutto, lei non volesse saperne di matrimonio.

Il piacere che si prova nelle ispirazioni è un avvio determinante alla gloria di Dio e in tal modo si comincia ad essere graditi alla divina Maestà; benché questo compiacimento non sia ancora un consenso pieno, perlomeno è una disposizione favorevole.

Se è vero che è un buon segno e cosa molto utile compiacersi nell’ascolto della Parola di Dio, tanto che possiamo considerarlo un’ispirazione esteriore, è cosa altrettanto buona e gradita a Dio compiacersi nell’ispirazione interiore: è quel piacere di cui parla la Sposa quando dice: la mia anima si è sciolta di piacere, quand’ho udito la voce dell’amato.

Il gentiluomo è soddisfatto quando vede che la dama che egli serve è contenta del suo servizio.

In conclusione è il consenso che completa l’atto virtuoso: perché anche se ispirati e contenti dell’ispirazione, neghiamo poi il consenso a Dio, siamo degli ingrati e offendiamo gravemente la Maestà divina, perché il disprezzo sembra ancora maggiore. E’ quanto capitò alla Sposa, perché, pur avendole il canto del suo Amato toccato il cuore di piacere, ella non gli aprì la porta e si scusò con una ragione sciocca. Lo Sposo si indignò, passò oltre e se ne andò.

Così un gentiluomo che dopo aver corteggiato lungamente una donna e averle reso gentilmente servizio, si vede alla fine respinto e disprezzato, avrà senz’altro più motivo di risentimento di quanto ne avrebbe avuto se fosse stato subito accolto male e trattato peggio.

Risolviti, Filotea, ad accettare di buon cuore tutte le ispirazioni che Dio vorrà mandarti. Quando ti giungeranno accoglile come ambasciatrici del Re del Cielo, che vuole unirsi in matrimonio con te. Ascolta con cuore sereno quello che ti propongono; considera l’amore che te le ha fatte mandare e trattale bene.

Acconsenti con un’adesione piena d’amore e fedele all’ispirazione; in modo che Dio, che non sei in grado di costringere, si sentirà fortemente obbligato dal tuo affetto. Ma prima di dare il consenso alle ispirazioni per cose importanti e straordinarie, per non rischiare di cadere in inganno, consigliati sempre con la tua guida, perché esamini se l’ispirazione è vera o falsa. Se il nemico vede un’anima pronta a consentire alle ispirazioni, gliene propone subito di false per trarla in inganno; cosa che gli sarà impossibile se ella, con umiltà, ubbidirà a chi la conduce.

Una volta dato il consenso, bisogna far sì che abbia seguito e l’ispirazione si attui: questo è il culmine della virtù autentica. Consentire nel cuore senza passare ai fatti, è come piantare una vigna senza volerne frutto. A questo scopo è molto utile praticare l’esercizio del mattino e il raccoglimento spirituale, indicati sopra. Il tal modo non solo ci prepariamo a fare in modo generico il bene, ma concretamente lo realizziamo.