mercoledì 11 gennaio 2012

Verità della Fede - L

Tornano gli approfondimenti sulle Verità della Fede di Sant'Alfonso Maria de' Liguori. Proseguiamo la lettura del capitolo nove con il paragrafo 2:





Verità della Fede

di Sant'Alfonso Maria de' Liguori

PARTE TERZA


CONTRO I SETTARJ CHE NEGANO LA CHIESA CATTOLICA ESSERE L'UNICA VERA


CAP. IX.


§. 2. Si risponde all'opposizione de' concilj Pisano e Costanziese.


32. Oppongono di più il concilio pisano ed insieme quello di Costanza che fu un compimento del pisano. Parliamo prima del concilio di Pisa. Agitava in quel tempo la chiesa lo scisma di due pontefici dubbj, Benedetto XIII., Pietro di Luna e Gregorio XII., Angelo Corrario; e non volendo niuno di essi cedere, prima che l'altro non rinunziasse al papato, nell'anno 1409. si adunò un concilio in Pisa, da cui furono deposti Benedetto e Gregorio, e fu eletto Alessandro V., al quale (essendo egli morto fra poco tempo) fu sostituito Giovanni XXIII. Ma questa elezione in vece di estinguere, più accrebbe lo scisma; e dove prima i popoli erano divisi in due fazioni, indi si divisero in tre; poiché un tal concilio da molti dotti e specialmente da s. Antonino2 non fu tenuto per legittimo, per non essere stato congregato coll'autorità del papa. Onde scrisse Pietro Alliacense che quei delle due fazioni di Benedetto e di Gregorio seguirono a sostenere probabilmente i loro partiti: Duae obedientiae duorum contendentium probabiliter tenent contrarium3. E lo stesso Alliacense adoperossi che Gioanni Domenico, creato cardinale da Gregorio, fosse ricevuto poi nel concilio di Costanza colle insegne cardinalizie. Ed anche Maimburgo nella sua istoria dello scisma lib. 6. confessò: Eorum sententiam, qui Benedictum agnoscebant, probabilem fuisse... et ideo viros potuisse illam secura conscientia amplecti. Ed attesa una tal probabilità, nel medesimo concilio costanziese furono accordati a Gregorio gli onori papali. Sicché il concilio pisano non poté chiamarsi ecumenico e legittimo, essendosi congregato senza l'autorità del papa. Ma ancorché fosse stato ecumenico e legittimo, non potea certamente da quello dedursi, come pretende Maimburgo, essere il concilio superiore al papa; poiché allora, secondo apparisce da tutti gli atti conciliari, era affatto incerto chi fosse il papa, se Benedetto o Gregorio per tanti dubbj che vi erano di fatto e di legge, come espressero le università di Parigi e di Bologna ne' loro pareri uniformi, che diedero fuori: Stante dubio inextricabili papatus, propter dubia facti et iuris, provisio spectat ad concilium. Onde il concilio a' 5. di giugno nella sess. 15. fece il decreto: Visis et diligenter inspectis omnibus..., in praedictos Benedictum et Gregorium, tanquam de papatu colludentes, schismaticos et veros haereticos, sententiam depositionis pronuntiat. Il decreto dunque del concilio niente osta alla nostra sentenza, che parla solo del papa cattolico e certo.

33. Passiamo ora al concilio di Costanza. Stante che l'elezione fatta del nuovo pontefice dal concilio pisano, come si è detto, niente avea giovato a sedare lo scisma nell'anno 1414. coll'autorità di Giovanni XXIII. si adunò un altro concilio in Costanza, affin di sottomettere tutti i tre pontefici Benedetto XIII., Gregorio XII. e Gioanni XXIII. al giudizio del concilio; onde nella sessione quarta si disse così: Haec sancta synodus... in Spiritu sancto congregata legitime, generale concilium faciens ecclesiam repraesentans, potestatem a Christo

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immediate habet, cui quilibet cuiuscunque dignitatis, etiamsi papalis existat, obedire tenetur in iis, quae pertinent ad fidem et extirpationem dicti schismatis et reformationem generalem ecclesiae in capite et in membris. Tal si vuole da Maimburgo il decreto di questa quarta sessione. Ma si oppone il dotto Emanuele Schelstrate, chiamato dal p. Natale Alessandro uomo chiarissimo, nel suo trattato: de sensu et auct. decret. etc. pag. 42, e dice che quella parola ad fidem non vi era nel decreto, ma vi fu apposta da Pietro Crabbe nell'edizione del concilio ch'egli fece nel 1538. ; poiché tal parola mancava nelle edizioni più antiche di Parigi, di Colonia, di Agenou e di Milano; scrive non però che tal particola ben vi era negli antichi manoscritti del concilio. Dice di più nella pag. 41. ed 84. , che quelle parole in fine del decreto: Et reformationem generalem ecclesiae in capite et in membris, si voleano mettere da alcuni, ma poi non si posero, per essersi protestati i cardinali insieme cogli oratori francesi di non voler ammettere il decreto, se non si togliessero le dette parole, e che in fatti non si posero. Così scrive l'abate Panormitano, e così trovasi anche notato in tre codici manoscritti del registro del concilio, e Schelstrate ne riferisce le precise parole. Così anche si vede che manca la riferita clausula ne' codici manoscritti delle biblioteche di Parigi, di Vienna, di Roma, di Salerno ed in più altri; e 'l padre Roncaglia nelle note all'istoria del p. Natale tom. 20. aggiunge che manca in nove manoscritti e nove edizioni fatte in Venezia. Mainburgo rapporta alcuni manoscritti in contrario, ma Schelstrate fa vedere che quei codici non parlano della sessione quarta fatta ai 30. di marzo, ma della sess. quinta de' 6. di aprile, e che in tanto trovasi scritta la predetta clausula in più edizioni stampate, in quanto i padri di Basilea per avvalorare il loro decreto (di cui appresso parleremo) della superiorità del concilio al papa, si valsero di alcuni codici, i quali erano poco veridici, come scrive lo stesso Maimburgo, confessando che la collezione de' padri basileesi e le edizioni susseguenti erano difettose.

34. Dopo la sessione quarta si preparò da alcuni del concilio il decreto per la quinta, ove si fece il seguente decreto: Item declarat, quod quicunque cuiuscunque conditionis etc., etiamsi papalis, qui mandatis huius s. synodi et cuiuscunque alterius concilii generalis legitime congregati, super praemissis, seu ad ea spectantibus, factis, vel faciendis, obedire contumaciter contempserit; debite puniatur etc. Questo decreto era di molto peso, onde richiedea una matura discussione; ma i padri altro non fecero che deputare alcuni a conferire il punto col card. Zabarella fiorentino, il quale si oppose, ma si oppose indarno, perché i deputati vollero in ogni conto e senza altro esame mettere il decreto, come già si era scritto. Ecco come si trova ciò notato nel registro del concilio presso il quarto manoscritto: Post sessionem quartam fuit per cardinalem Florentinum cum deputatis aliqualiter disputatum; finaliter concilium voluit ex integro dictas definitiones in alia sessione pronuntiari etc. Quindi, udendo i cardinali volersi apporre nella sess. 5. quei decreti così poco esaminati, proposero di non intervenirvi; ma poi, per evitare lo scandalo e 'l pericolo di sciogliersi il concilio, v'intervennero; ma prima si protestarono unitamente ancora cogli oratori francesi di non acconsentirvi: Praemissa per dominos cardinales et oratores regis Franciae, protestatione facta quod propter scandalum evitandum ad sessionem ibant, non animo consentiendi iis, quae audierunt statui debere. Così si legge nei tre codici manoscritti del registro del concilio presso Schelstrate1.

35. Udiamo quel che dice il ven. card. Bellarmino delle riferite sessioni IV. e V. Egli scrive2 che quando si fecero la quarta e quinta sessione, il concilio non era ecumenico, perché allora

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vi assisté la sola terza parte della chiesa, cioè quei soli ch'erano del partito di Giovanni, ripugnando i partigiani di Gregorio e di Benedetto. Dice di più che in quel tempo non vi era papa certo, tanto più che Giovanni, il quale avea convocato il concilio, allora si già era partito da quello. Soggiunge che non osta il dire: dunque il concilio, non essendo ecumenico, non potea deporre i tre papi, ch'erano dubbj; poiché risponde che, sebbene il concilio non può definire nuovi dogmi di fede senza l'autorità del papa, ben può nondimeno in tempo di scisma provveder la chiesa di pastore, quando questo è incerto. Aggiunge che Giovanni e Gregorio già appresso rinunziarono spontaneamente al papato, come si legge nella sessione 12. e 14. E benché Benedetto non volle mai rinunziare, non però il suo successore Clemente VIII. cedette ogni suo diritto a Martino V., il quale fu poi riconosciuto per pontefice da tutta la chiesa.

36. E questa è quella sessione quinta, da cui deduce il Maimburgo la superiorità assoluta del concilio sopra del papa. Ma primieramente noi diciamo che, anche attese le parole de' decreti della detta sessione, non può concludersi una tal superiorità, mentre il concilio sempre intese di parlare in caso di scisma e di papa dubbio; e ciò consta delle stesse parole riferite di sopra: Quae pertinent ad fidem et extirpationem dicti schismatis; e dalle altre parole susseguenti: Item declarat quod quicunque mandatis s. synodi super praemissis, seu ad ea spectantibus... obedire... contempserit etc. Quali erano mai le cose premesse, se non l'estirpazion dello scisma e la deposizione dei pontefici dubbj? Del resto nella congregazione degli 11 di settembre del 1417. , come sta notato negli atti del concilio (il che non si nega dal p. Natale) le tre nazioni contro la Germania dissero che, parlandosi di papa certo, Papa rite et canonice electus a concilio ligari non posset. E perciò nel decreto della sessione 45, fatto conciliarmente da cinque nazioni, si stabilì, Ut rom. pontifex proxime assumendus ecclesiam in capite et membris reformet; si disse che il papa, non già il concilio reformet. Si aggiunge che nel trattato che esposero al concilio i cardinali, tra le altre proposizioni che posero, furono queste due: Romana ecclesia omnium ecclesiarum caput merito dici potest; romana ecclesia sicut omnium ecclesiarum caput dicitur, sic et concilii generalis, imo universalis ecclesiae. La risposta del concilio fu questa: Nota super verbum caput: hoc concedatur; tamen non ad fovendum schisma, aut deformitates. Item nota super verbum concilii, subdistinguendum: hoc est verum in aliquo concilio, maxime cum agitur ad haeresim extirpandam; ubi autem agitur de schismate tollendo in romana ecclesia, quod per cardinales ortum habuit, ibi non habet locum. Si aggiunge che nella proposizione 41 di Wicleffo, che dicea: Non est de necessitate salutis credere romanam ecclesiam esse supremam inter ecclesias, fu fatta la censura che se ciò s'intendeva anche per le chiese militanti, il senso era eretico, e ne fu data la ragione: Quia necesse est remanere huiusmodi ecclesiam supremam in officio et auctoritate docendi, et praecipiendi... ut talis est ecclesia romana, ubi papa caput est etc. E questa censura fu approvata dal concilio nella sessione 8. Onde poi nella costituzione di Martino V., approvata dallo stesso concilio nell'ultima sessione, una delle interrogazioni che dovea farsi agli eretici convertiti, era questa: Utrum credat quod papa canonice electus, qui pro tempore fuit, eius nomine proprio expresso, sit successor b. Petri habens supremam in ecclesiam Dei potestatem? Non avrebbe il papa la podestà suprema, se fosse sottoposto al concilio. Di più Eugenio IV. nella sua bolla Moyses, approvata dal concilio fiorentino nell'anno 1439, condannò la proposizione dei padri di Basilea asserenti che il concilio di Costanza avea dichiarato essere il concilio sopra del papa, dicendo iuxta pravum ipsorum

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basileensium intellectum, quem facta demonstrant, veluti s. scripturae et ss. Patrum et ipsius constantiensis concilii contrarium. Dunque Eugenio col concilio di Firenze teneano per certo che il concilio di Costanza avea parlato del papa dubbio.

37. Tutto ciò può dirsi, avendo per valida la mentovata sessione quinta. Ma vediamo ora i gravissimi difetti che ella patì. Il primo difetto fu di deliberazione. Circa l'autorità del concilio e del papa molte erano le sentenze che allora si proponeano. La prima era che in niun caso il concilio potesse avere autorità su del papa. La seconda era che neppure su del papa dubbio potesse giudicare, ma solo quando il papa fosse notoriamente eretico potesse dichiararlo decaduto dal pontificato come scrive s. Antonino1 dicendo che in tal caso videretur (pontifex) a papatu deiectus2. E questa sentenza par che fosse stata ricevuta nel concilio pisano, mentre per deporre i due papi dubbj Benedetto e Gregorio, come già li deposero, conclusero di dichiararli prima scismatici ed eretici. La terza sentenza era del cardinale Alliacense; che il papa in tempo di scisma dovea soggiacere al giudizio del concilio. La quarta era del cardinal Zabarella che in tempo di scisma ben poteva il concilio eleggere il papa, ma che prima di eleggerlo non potea procedere ad alcuna riforma di costumi, né circa il capo, né circa i membri; e questa fu ancora la protesta che fecero le quattro nazioni dopo la sessione 38, ove dissero: Duplex secundum sacros doctores est unio in ecclesia: una membrorum ad invicem, quae iam creditur est facta: altera membrorum ad caput, ut constituatur corpus integrum et perfectum, et ista non est facta: igitur primo loco fienda. E questa sentenza, per quel che si dirà, fu più applaudita nel concilio di Costanza. La quinta sentenza finalmente fu di Giovan Gersone, che il papa sempre ed in tutto era soggetto al concilio; ma ella non fu mai dal concilio ricevuta, poiché ne' decreti sempre si fece menzione dello scisma.

38. Ma, per venire al punto della deliberazione, è certo che una questione così intrigata e divisa in tante opinioni diverse ricercava molta e lunga discussione; ma non si fece così, come si è narrato di sopra: in un sol giorno si proposero i decreti della mentovata sessione quinta, e, dopo una breve altercazione fatta tra pochi, si conclusero e si dissero: Pene in omnibus concilii decretis factum est, ut cardinalibus ita arcto et brevi tempore ostensa sint decreta a nationibus conclusa, ut non fuerit in eorum potestate sufficienter deliberare etc. Così trovasi notato nel quarto codice manoscritto degli atti del concilio presso Schelstrate3. Questo fu uno dei dubbj, che propose al concilio il cardinal Alliacense nel trattato che scrisse: de eccl. et card. auct. part. 1. cap. 4. dicendo: An quatuor nationes, excluso cardinalium collegio, faciant concilium generale... non facta in communi sessione collatione votorum, videtur multis non esse censenda deliberatio concilii conciliariter facta. E questa ancora fu una delle cause per cui Giovanni XXIII. non mai volle consentire a' decreti del concilio, giusta quel ch'egli scrisse al duca di Berry, come si legge in due codici manoscritti della biblioteca di s. Vittore: Licet in conciliis non debeat fieri nationum differentia, sed omnes et singulos sententiam suam dicere publice oporteat, ut unius instructione informentur alii; hoc tamen constantiae non fuerit permissum, quin imo statutum, quamlibet nationem unam vocem habituram. Sicché il primo difetto fu di deliberazione.

39. Il secondo difetto fu di libertà, poiché i voti si davano tra romori e minaccie, sicché non erano liberi; e perciò tre nazioni insieme col collegio de' cardinali protestarono contro la nazione germanica, dicendo che la fede del concilio vacillava, mentre i popoli di più regni non aderivano fermamente

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al concilio per cagion delle discordie e dei timori: Clerus et populus nonnullorum regnorum nondum solide huic s. concilio adhaeserunt, nec non etiam quorundam qui eidem concilio adhaeserunt propter rumores discordiarum et quasi impressionum, quas in eodem concilio fieri audiunt, fides iam de eodem concilio dicitur vacillare; così si legge dei quattro codici degli atti agli 11 di settembre del 1417. I timori erano per causa del re, che minacciava i cardinali, i quali non voleano eleggere il papa a suo piacere, come si dice negli stessi atti: His diebus magnus terror et turbatio dicebatur esse in concilio... causa autem odii regis in eos dicebatur, quod rex volebat habere papam ad voluntatem suam. E questa fu un'altra cagione, per cui Giovanni XXIII. non volle aderire al concilio, dicendo: Et licet in conciliis suffragia debeant esse libera, nihilominus multae extiterunt cavillationes et subornationes per minas et terrores ab imperatore procedentes. Di più, come scrisse Eugenio IV. nella sua apologia contro i basileesi, molti, benché riclamassero contro i decreti, non poterono essere intesi, per lo strepito che vi era nel concilio: Contra decreta de auctoritate conciliorum nonnulli reclamaverunt graviter, qui, strepente multitudine superati, audiri nequiverunt.

40. Il terzo difetto fu di ordine, poiché nel concilio non davano il voto secondo i sacri canoni i cardinali e i vescovi in pubblico, ma in consigli privati erano tutti ammessi a dar la voce, ed anche i laici, e così concludeansi i decreti: Cum in conciliis secundum statuta canonum vis suffragii non competat nisi cardinalibus et episcopis, quorum suffragia requirenda sunt in sessionibus publicis et non privatis consiliis, nihilominus quicumque ad huiusmodi consilia fuissent admissi, nullo discrimine personarum habito, omnium suffragia, etiam laicorum, subtractis praelatorum suffragiis, recepta sint; così Giovanni XXIII. nella citata lettera ad duca di Berry. E questo fu un altro de' suoi dubbj, che il cardinale di Alliaco propose al concilio nel luogo citato circa la sua validità: An dictae nationes (ciascuna nazione facea un solo voto, benché l'una fosse di molto minor numero delle altre) quae multis videntur contra vel praeter consuetudinem antiquam conciliorum, habuerint auctoritatem... privandi romanam eclesiam et sacrum collegium iure suo, habendi scilicet votum in concilio.

41. L'altro difetto fu di autorità, perché il concilio si unì colla sola ubbidienza del papa Giovanni, senza consenso di Benedetto e di Gregorio. Onde tutti i vescovi e dottori di Scozia, di Spagna e di più altre provincie, che nel tempo della quarta e quinta sessione aderivano a Gregorio ed a Benedetto, non ebbero il concilio per ecumenico. Sicché dice il cardinal Bellarmino1 che, quando si fecero le due predette sessioni, il concilio non era generale, mentre allora vi assisteva la sola terza parte della chiesa, cioè i soli partigiani di Giovanni. Si sa che nella sessione 20 essendosi fatta una congregazione generale tra Sigismondo, i legati del concilio ed i legati de' principi del partito di Benedetto, a' 4 di febbraio 1416. , furono approvati con comun consenso de' padri i capitoli del concordato, tra' quali vi erano i patti che nel concilio non si trattasse altro affare che di togliere lo scisma, e che se Benedetto seguisse a ripugnare di cedere, contro lui si procedesse ed altri simili patti; ma perché Benedetto fu pertinace, si fece contro di esso la sentenza come scismatico ed eretico. Or, posto ciò, come può dirsi che le sessioni 4 e 5 senza tali ubbidienze fossero decreti di concilio ecumenico, e che Martino, come tali li abbia approvati? Quindi scrisse poi Eugenio IV. nella mentovata apologia che il concilio non fu generale, se non dopo che Gregorio e Giovanni acconsentirono di convocarsi un nuovo concilio; e poi soggiunse: Quod ergo ante illum articulum actum est, universae ecclesiae non debet adscribi, sed

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eis tantum obedientiae synodum faciebant. Anzi, come nota il Turrecremata1, neppure l'intiero partito di Giovanni acconsentì a' decreti, poiché molti padri di quello ripugnarono. E soggiunge lo stesso autore che il dire esser bastata la sola ubbidienza di Giovanni a fare il concilio generale, non può scusarsi da temerità: Nullus dubitat quod asserere quod sola obedientia Ioannis faceret concilium universale, esset temerarium. Si aggiunge che quando Giovanni diede il consenso, lo diede con questa espressa condizione, ut iterum concilium convocaretur, perinde ac si hactenus legitime convocatum non esset neque oecumenicum fuisset. E con tal condizione fu accettato il consenso di Giovanni dal concilio, il quale perciò consentì che nuovamente si convocasse il concilio da' legati di Gregorio; e la stessa facoltà concessero a' vescovi partigiani di Benedetto, come si legge in due codici manoscritti, e negli atti della sessione XX. Sicché gli stessi padri conobbero che era dubbia l'autorità del concilio prima di convocarsi il concilio da tutte e tre le ubbidienze di Giovanni, Gregorio e Benedetto; altrimenti non avrebbero ammessa la nuova convocazione del concilio, colla quale poneansi in dubbio tutti i decreti prima fatti.

42. Né affatto è vero che Martino V., eletto poi pontefice, avesse a' 21 di marzo 1418. confermati tutti i decreti dal concilio prima fatti; poiché Martino nella sessione 45 confermò i decreti del concilio, ma in questo solo preciso modo: Omnia et singula decreta in materia fidei per praesens s. concilium... conciliariter facta approbat et ratificat, et non aliter, nec alio modo. Dunque primieramente Martino approvò i soli decreti di fede, cioè i decreti stabiliti contro Wicleffo e Giovanni d'Hus, a differenza de' decreti delle sessioni 4 e 5, i quali non già spettavano alla fede, ma alla riforma in capite et membris, come ivi si espresse. Onde scrisse Errico Spondano vescovo apamiense francese: Decreta de auctoritate concilii in pontificem et de potestate reformandi ecclesiam tam in capite, quam in membris, absolute, ut sonare videntur, sumpta, nullo modo Martinus approbare voluit, utpote contraria aestimata collatae a Christo Domino potestati, qua caput debet membra regere, non regi a membris2.

43. Inoltre Martino approvò i soli decreti conciliariter facta, quali certamente non erano i decreti mentovati, come di sopra si è osservato, per li tanti difetti che pativano. E scrive lo stesso Spondano che a questo fine Martino si serbò di rispondere nell'ultima sessione alla dimanda de' nunzi polacchi (che chiedeano di poter appellare al futuro concilio) per dare ad intendere colla risposta quali decreti esso pontefice intendeva approvare, e quale no: Putamus nunciorum Poloniae petitionem de industria Martini ad ultimam sessionem reservatam, ut ea occasione significaret quae concilii decreta ipse probaret, quae non. È tanto vero poi che Martino non intese approvarli, che appresso diede fuori una bolla contro i polacchi, i quali aveano appellato da Martino al concilio, ed in quella disse espressamente: Nulli fas est a supremo iudice, videlicet ab apostolica sede, seu romano pontifice appellare, aut illius iudicium in causis fidei declinare. Non potea il papa Martino spiegar più chiaro, ch'ei non intese mai confermare quei decreti che pregiudicavano alla sua autorità. Erra pertanto Maimburgo, dicendo che Martino li confermò. E ciò maggiormente consta dal vedere che Giovan Gersone nella sua dissertazione della podestà del concilio s'affaticò a provare che la bolla di Martino era invalida, appunto perché ripugnava a' decreti del concilio. Inoltre Martino nella bolla dell'approvazione del concilio che si legge nella sessione 45, e che dal concilio fu approvata, dichiarò espressamente: Papam supremam in ecclesia habere potestatem. E nella congregazione tenuta nel concilio agli 11 di settembre dell'anno 1417. si

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decise che papa rite et canonice electus a concilio ligari non posset. In tutte poi le altre approvazioni che riferisce il p. Natale fatte da Eugenio IV. e da Pio II. del concilio di Costanza, si legge che essi non intendeano di approvare altro se non quel che aveano approvato i pontefici loro antecessori; onde riferivansi all'approvazione di Martino. Abbiamo inoltre che lo stesso Eugenio insieme col concilio di Firenze condannarono come scandalose ed empie le dichiarazioni del concilio di Basilea, con cui si confermavano i decreti del concilio di Costanza circa la superiorità de' concilj. Di più lo stesso Eugenio più volte dichiarò appresso (come diremo nel §. seguente) ch'egli non avea inteso di confermare altri decreti, se non quelli che riguardavano l'eresia e la pace tra' principi, ma non quelli che toccavano la podestà pontificia. Ecco come scrisse Eugenio nella sua lettera a Francesco Foscareno doge di Venezia (presso Rainaldo all'anno 1433. n. 19. ): Potius vitam posuissemus, quam voluissemus ut pontificalis dignitas submitteretur concilio contra omnes canonicas sanctiones. Pio II. poi nella sua costituzione, parlando de' concilj, disse espressamente: Inter quae nullum invenimus fuisse ratum, quod, stante romano indubitato praesule, absque ipsius auctoritate convenerit; quia non est corpus ecclesiae sine capite, et omnis ex capite diffluit in membra potestas.

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2 3. p. tit. 22. c. 5. §. 2. 

3 Ap. Labbeum in ap. conc. Costant.

1 De sensu etc. p. 42. 

2 De concil. l. 2. c. 19. 

1 P. 3. tit. 23. c. 3. §. 3. 

2 Ex c. Audivimus 24. q. 1. 

3 De sensu etc. p. 104. 

1 De concil. l. 2. c. 19. 

1 L. 2. de eccl. c. 99. 

2 Ad annum 1414. 

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