mercoledì 18 gennaio 2012

Verità della Fede - LI

Tornano gli approfondimenti sulle Verità della Fede attraverso le attente analisi di Sant'Alfonso Maria de' Liguori. Proseguiamo la lettura del nono capitolo mediante il terzo paragrafo:





Verità della Fede

di Sant'Alfonso Maria de' Liguori

PARTE TERZA


CONTRO I SETTARJ CHE NEGANO LA CHIESA CATTOLICA ESSERE L'UNICA VERA


CAP. IX.



§. 3. Si risponde all'opposizione del concilio di Basilea.

44. Si oppone di più dagli avversarj il concilio di Basilea principiato nell'anno 1432, ove nella sessione 2. si disse: Veritas de potestate concilii generalis universalem ecclesiam repraesentantis supra papam declarata per constantiense et hoc basileense generalia concilia, est veritas fidei catholicae. Su questo decreto bisogna notare più cose. Per 1. riferisce il Raynaldo all'anno 1431 n. 31. che Eugenio IV, dopo aver convocato il concilio in Basilea, ed avervi mandato per legato il cardinal Cesarini, avanti di terminar la prima sessione, mosso da giuste cause gli scrisse che sciogliesse il concilio in Basilea, e lo trasportasse in Bologna. Ma il Cesarini unito con pochi altri vescovi non volle ubbidire, onde Eugenio fu obbligato con una Bolla formale a rivocare il concilio, e dichiararlo sciolto; ma i padri di Basilea seguirono a congregarsi, ed a far decreti. Per 2. scrive il cardinal Turrecremata1 che la suddetta sessione 2. fu fatta da otto soli vescovi, e ne furono pubblicati i decreti ad furorem quorundam hostium apostolicae sedis. Per 3. in tal tempo il concilio già era stato rivocato e sciolto da Eugenio, e perciò più padri non vollero intervenire nelle sessioni susseguenti, ed appresso partironsi dal concilio, unendosi ad Eugenio. Per 4. è certo che il concilio non può definire se non quelle sole cose, per cui decidere è stato convocato; e perciò da Leone I. furon dichiarati irriti i decreti del constantinopolitano I. contro l'autorità del patriarca Alessandrino; e s. Gelasio papa, benché il concilio calcedonense fosse stato legittimo, nondimeno altre cose di quello non approvò, alia autem quae s. sedes apostolica gerenda nullatenus delegavit... nullatenus approbavit. Lo stesso dee dirsi del basileese, il quale fu convocato per la conversione de' boemi, per l'unione della chiesa greca colla latina e per la riforma de' costumi, ma non già per la decisione della podestà pontificia. Non ostanti però tutte queste cose i basileesi nella sessione 33 giunsero a tale audacia che, avendo Eugenio IV. trasportato il concilio a Ferrara nel 1437, lo deposero, e lo dichiararono eretico, e gli sostituirono Amedeo duca di Savoia col nome di Felice, ma contro il consenso quasi di tutti i vescovi; poiché lo Spondano2 scrisse: Cum iudicium in Eugenium intentarunt, vix triginta adfuerint, et in eius depositionem septem tantum episcopi. Tanto che lo stesso Felice, conoscendo poi la nullità della sua elezione, rinunziò appresso in mano di Nicola V

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successore di Eugenio ogni sua ragione al papato1.

45. Con tutto ciò Lodovico Dupino non ebbe ripugnanza di chiamar questo congresso disordinato, concilio ecumenico, dicendo che in tutto fu approvato da Nicola V. Ma, come si è detto, quantunque la convocazione di questo concilio di Basilea fu fatta da Eugenio IV., nulladimeno cominciò con tanto piccol numero, che non può dirsi che sul principio rappresentasse la chiesa; giacché nella seconda e terza sessione, nelle quali fecero l'ingiusta definizione di sopra riferita, non vi erano più che sette od otto vescovi, come si ha dalla risposta dello stesso concilio data nel 1440, dove si legge: Cum tempore primae dissolutionis praetensae pauci praelati essent in concilio non numerum quatuordecim excedentes, neque medietas numeri suppositorum in concilio haberetur, quae praemissis actibus interfuit etc. E benché, accresciuto il numero poi de' prelati nella sessione 18, fossero stati rinnovati i decreti della sessione 2, riferisce non però il cardinal Turrecremata2 che in quella sessione 18 non consentirono tutti; poiché altri si protestarono, altri diedero il consenso o come private persone, o piuttosto per violenza, ed altri finalmente non vollero intervenirvi, facendosi i decreti non da' soli vescovi, siccome bisognava, ma per multitudinem populi parvi pretii et nullius auctoritatis. E ciò si conferma dall'orazione del cardinal Arelatense (che si legge presso Enea Silvio3 il quale, essendo il principal difensore della superiorità del concilio sopra il papa, ivi si lagnò fortemente di questo dissenso de' prelati, e perciò ascrisse i riferiti decreti più presto a' voti del clero inferiore, che d'essi vescovi, dicendo: Opus Dei hac vice fuisse autumo, ut inferiores ad dicendum reciperentur. E come riferisce Lodovico Muratori4, il predetto Enea Silvio in un'altra sua orazione fatta nel 1452 verso gli australi, parlando de' nominati decreti, disse: Inter episcopos vidimus in Basilea coquos et stabularios orbis negotia iudicantes.

46. Inoltre nel concilio di Basilea i voti dati non furono liberi, come scrive il cardinal Turrecremata, e come s'espresse Eugenio nella sua bolla del 1431 all'arcivescovo di Colonia, dicendo: Plerique accedere sunt coacti, in quibus nec vis, nec potestas concilii generalis consistit, quorum deliberationes minime sunt liberae, cum ab eorum, qui compulerunt, voluntate dependeant. Onde s. Antonino e s. Gio. Capistrano chiamarono questo sinodo di Basilea: Conciliabulum viribus cassum et synagogam Satanae, synodum profanam, excommunicatam et basiliscorum speluncam. Il concilio fiorentino nella sessione avuta nel 1439 condannò le dichiarazioni di Basilea come scandalose ed empie: Tamquam impias, scandalosas etc. damnat reprobatque. E finalmente il concilio lateranense V. come si legge nella sess. 11. e nella bolla di Leone X., dove si approva questo concilio, chiamasi il sinodo di Basilea: Conciliabulum schismaticum, seditiosum et nullius prorsus auctoritatis.


47. Né osta il dire che Eugenio colla sua costituzione, che comincia Dudum, rivocò le prime, dichiarando che il medesimo era stato legittimamente principiato e continuato; poiché scrive il cardinal Turrecremata5 che tal rivocazione la fece Eugenio per puro timore, ritrovandosi il povero pontefice infermo e assediato dalle armi in casa e fuori, con Roma già presa, e di più minacciato da tutti che sarebbe restato solo e abbandonato anche da' suoi cardinali con grande scandalo della chiesa. Sicché la riferita rivocazione fu estorta per mero timore e non già libera.

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E avvertasi che i legati di Eugenio nella sessione 17, benché si fossero sottoscritti al decreto della superiorità del concilio al papa, nondimeno protestaronsi che sottoscriveano nomine prorio, ma non già come legati del papa. Del resto Eugenio, quantunque avesse dichiarato legittimo il concilio per evitare lo scisma, non mai però confermò i decreti fatti contro l'autorità pontificia; giacché altro è esser legittimo il concilio costantinopolitano, il calcedonese e 'l costanziese, ma non furono già approvati poi tutti i loro decreti da' pontefici Leone, Pelagio, Gregorio e Martino. E lo stesso Eugenio dichiarò nella stessa costituzione Dudum per valide le sole determinazioni che si appartenevano ad extirpationem haeresum, ad pacem inter principes et populos christianos et ad morum reformationem. E ciò più espressamente lo dichiarò nella sua lettera1, ove scrisse: Et nullatenus ad alias causas, quam ad praemissas, converti debeant. Anzi nella detta bolla Dudum vi appose la condizione espressa: Ut omnia et singula contra auctoritatem nostram facta prius omnino tollantur. Ma ciò i prelati di Basilea non l'adempirono, ed Eugenio all'incontro non volle approvare i loro decreti, come espresse poi nel concilio di Firenze dicendo: Nos quidem progressum concilii approbavimus, non tamen eius decreta. E di poi diede fuori la sua costituzione Moyses, ove dichiarò empie quelle proposizioni che erano iuxta pravum basileensium intellectum. Replicano gli avversarj che poi la predetta bolla Moyses fu abolita da Nicola V. Ma si risponde che nelle lettere di Nicola (come può vedersi presso Natale Alessandro) non altro si ritrova che la conferma delle censure e delle collazioni de' benefici fatte da' basileesi ed una generale amnistia di tutte le cose passate. E sebbene rivocò la bolla Moyses, in quanto alle pene ivi imposte a' basileesi, si protestò nondimeno espressamente che ciò concedea colla condizione: Ut omnia hinc inde conscripta, statuta, facta, promulgata abroganda essent, etiamsi universalem ecclesiam et auctoritatem conciliorum concernant2. Sicché da Nicola V. non solo non fu confermata l'autorità de' concilj, ma, come si legge, più presto abrogata. E con tal condizione il papa diede poi il diploma di concordia: Tanto nos pacem, etc.

48. Dice il p. Natale Alessandro che il concilio basileese fu valido, e fu ricevuto sino alla sessione 25. Ma noi non sappiamo qual conto debba aversi d'un tal concilio e di tali sessioni, che furon fatte da pochi, cioè dal cardinal Santangelo con cinque o sette soli vescovi ed alcuni chierici, come scrive Enea Silvio, benché molti vescovi avessero ostato. Tanto più che nel concilio si operò per odio contro Eugenio, come scrisse lo stesso Enea, che ne fu testimonio oculare, quando fu pontefice sotto il nome di Pio II. nella bolla della ritrattazione: Cardinales qui Basileam venerant, ob privatas inimicitias Eugenio notam inurere voluerunt. Di più si sa che ivi si operò senza libertà, ma per forza e minaccie, secondo scrisse Eugenio nella sua bolla nel 1431 dopo la sessione 1. all'arcivescovo coloniese, come di sopra si notò al numero precedente. Narra inoltre il medesimo Pio II.3, che opponendosi il cardinal Panormitano e l'arcivescovo di Milano alla sentenza dei basileesi, il patriarca d'Aquilea minacciò loro la morte. Ond'essi si alzarono in piedi, lagnandosi: libertas nobis eripitur. Per lo che attesta Enea Silvio che i cardinali contrarj ad Eugenio cuncti postea ad eum redierunt, et veniam errati petierunt. E queste cose avvennero certamente innanzi alla sessione 25; perché appresso tutti passarono alla parte di Eugenio. Quindi Pio II. scrisse: Recognovimus errorem nostrum, venimus Romam, basileensium dogma reiecimus reconciliati ecclesiae romanae. E finalmente Eugenio nel concilio fiorentino nella sua bolla Moyses,

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approvata già dal concilio nella pubblica sessione 6, o come altri vogliono 26, pronunciò quella sua condanna delle proposizioni adottate da' basileesi contro l'autorità pontificia, dicendo: Propositiones iuxta prava basileensium intellectum, velut sacrarum scripturarum et ss. patrum et ipsius constantiensis concilii sensui contrarium, tanquam impias, scandalosas etc., ipso sacro approbate concilio, damnamus et reprobamus. Ed in questo concilio intervennero quasi tutti i cardinali e vescovi, ch'erano intervenuti in quello di Basilea, alla presenza de' quali nella sessione 18. essendosi venuto a trattare co' greci della podestà del papa, il p. Giovanni di Montenero contro Marco arcivescovo di Efeso disse che unicum fulcimentum ac fundamentum omnibus christianorum ecclesiis est romana ecclesia, quippe quae germanam habet pietatem, et obstruit omne os haereticum loquens in excelso iniquitatem. Questo suo detto fu approvato da tutto il concilio. E lo stesso predicò dal pulpito s. Bernardino da Siena, con un prodigio di più, come attestano il Surio, Wadingo e Bernino1; poiché, essendo il santo ignaro della lingua greca, sermoneggiò speditamente in greco a lode della fede della chiesa romana, e da ciò mossi i greci non dubitarono di unirsi alla chiesa romana. Restava non però la difficoltà: An licuerit papae ut summo pontifici adiicere symbolo verbum FILIOQUE? I greci a principio si opposero, ma il p. di Montenero dimostrò che il papa, come vicario di Cristo e dottore della chiesa, ben potea determinarlo. Onde a luglio del 1439 si stese la costituzione Laetentur coeli, ove si disse al pontefice romano regendi ac gubernandi universalem ecclesiam a D.N. Iesu Christo plenam potestatem esse traditam etc. Inoltre si ha che nelle proposizioni di concordia tra Nicola V. ed i basileesi, come si è detto, e come si legge nel tom. 13 de' Conc. dell'edizione di Labbè pag. 1330 si disse: Omnia hinc inde conscripta, statuta, promulgata abroganda esse etiamsi auctoritatem conciliorum concernant. Abbiamo di più che Carlo VII. re di Francia nella sua legazione ad Eugenio non solo il riconobbe per vero papa, ma rifiutò i decreti di Basilea, e confessò essere il papa superiore al concilio. E il vescovo meldense legato di Carlo nello stesso concilio fiorentino, come si ha nella sessione 29, disse che il re dichiarava ciò ex consulto praelatorum et aliorum multorum sapientum regni sui. E di poi il re accettò il concilio lateranese V. e specialmente la sessione decima, dove si disse: Solum romanum pontificem pro tempore existentem auctoritatem super omnia concilia plenamque potestatem habere etc. E per fine gli stessi basileesi si sottoposero tutti a Nicola V., come apparisce dalla sua bolla.

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1 L. 2. c. 100. 

2 Histor. an. 1451. 

1 Questo principe era un principe santo, che per vivere solo a Dio avea rinunziato tutti i suoi stati, ed erasi ritirato in una solitudine; onde quando fu eletto papa da basileesi, egli per molto tempo ripugnò di accettare il papato, e finalmente l'accettò atterrito dal timore di offender Dio, come gli diceano, se non l'accettava; e per tanto quando egli cominciò a vedere che la sua elezione non era stata legittima, subito e volentieri lo depose.

2 In resp. ad basileens, habita in conc. Florent.

3 In actibus Basileens.

4 T. 2. in suis Anecdotis.

5 L. 2. c. 100. 

1 L. 17. p. 201. 

2 Edit. Veneta concil. t. 19. col. 56. 

3 L. 1. de Gestis. Basil. etc.

1 . 4. sess. 15. c. 6. 

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