mercoledì 25 gennaio 2012

Verità della Fede - LII

Tornano gli approfondimenti sulle Verità della Fede attraverso le attente analisi di Sant'Alfonso Maria de' Liguori. Concludiamo la lettura del capitolo nono con il quarto paragrafo. Ci stiamo avvicinando quasi al termine di questa imponente opera di uno dei più grandi Dottori della Chiesa:



Verità della Fede

di Sant'Alfonso Maria de' Liguori

PARTE TERZA


CONTRO I SETTARJ CHE NEGANO LA CHIESA CATTOLICA ESSERE L'UNICA VERA


CAP. IX.




§. 4. Si risponde agli altri argomenti raccolti dal p. Natale Alessandro, con cui gli avversarj pretendono di provare che il concilio è sovra del papa.

49. Non ho voluto qui tralasciare di addurre in ultimo luogo i mentovati argomenti raccolti dal p. Natale Alessandro nella sua istoria ecclesiastica al tom. 19. diss. 4. sul decr. 2. del Costanziese al §. 2. c. 4. , per far vedere quanto sono deboli i fondamenti a cui si appoggiano i contrarj. Le risposte sono così patenti, ch'io stimo esser facile ad ognuno il potervi rispondere. Per tanto io sarò breve nel rispondervi; poiché tali argomenti non richiedono lunghe risposte.

50. In primo luogo il p. Natale rapporta diversi testi di scrittura contro la nostra sentenza. Uno di tali testi è questo: Ubi enim sunt duo vel tres congregati in nomine meo, ibi sum in medio eorum2. Al che aggiunge la spiegazione di Celestino I. in epist. ad pp. Synodi Ephes., ove, il papa, citando prima il detto passo, scrisse: Si nec huic tam brevi numero Spiritus sanctus deest, quanto magis eum interesse credimus, quando in unum convenit tanta turba sanctorum? Da ciò ne inferisce poi il p. Natale non esser uopo di sottomettere

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i concilj al papa, perché Iddio abbastanza fa conoscer la verità ai vescovi nel concilio congregati. Questo argomento, se valesse, varrebbe a provare che non solo i concilj generali, ma anche i provinciali e i vescovili, benché divisi dal papa, sarebbero infallibili. Ma veniamo alla risposta diretta. Non si nega che lo Spirito santo assiste a' concilj generali, come scrisse Celestino, ma a' concilj legittimi, cioè uniti al suo capo, il sommo pontefice; altrimenti senza il papa i vescovi, per quanto siano copiosi in numero, non sono altro che un corpo monco, mentre son senza capo, onde non possono avere autorità irrefragabile. Lo stesso p. Natale al tom. 19. pag. 744. primae edit., parlando del papa non ripugna di dire che ne' concilj eo auctore omnia decernuntur. Nella pag. 776. aggiunge: Summi pontificis est declarare quae concilia vere oecumenica sint et an instructa conditionibus, quae concilii oecumenici rationem constituunt. E nella pag. 778. dice che al papa spetta l'approvare o riprovare gli atti del concilio: Dei providentia et Spiritus sancti assistentia hactenus effecerunt, ut romani pontifices bene gesta concilia approbarent, et male gesta rescinderent. Sicché Celestino parlò di quei concilj che sono approvati dal papa, il quale colla sua approvazione dà tutta la forza e l'autorità a' loro decreti. Di più rapporta il testo degli atti1: Visum est enim Spiritui sancto et nobis, col quale testo dice che manifestamente si prova che l'autorità de' concilj generali deriva immediatamente da Cristo. Ma a ciò si è risposto già in questo capo al §. 1. n. 25. Di più rapporta il testo di s. Matteo2: Si... peccaverit in te frater tuus, vade et corripe eum etc. Si autem te non audierit, adhibe tecum adhuc unum vel duos... Quod si non audierit eos, dic ecclesiae: si autem ecclesiam non audierit, sit tibi sicut ethnicus et publicanus. Ed a ciò anche si è risposto in questo stesso capo al n. 28. Di più rapporta l'altro testo degli atti3: Cum audissent apostoli qui erant Hiersolymis, quod recepisset Samaria verbum Dei, miserunt ad eos Petrum et Ioannem. Dal che ne dedusse Renato Benedetto, che la chiesa congregata è superiore al papa. Ma non si sa come possa dirsi che san Pietro fu mandato dalla chiesa congregata, non leggendosi negli atti che gli apostoli si fossero congregati in concilio per mandarlo ai samaritani; tanto più che in quel tempo la chiesa per la persecuzione stava dispersa. Oltreché, quantunque per ciò gli apostoli si fossero congregati, perché si ha da dire, che s. Pietro andò alla Samaria per ubbidire al concilio, e non più presto che andò ivi per compiacere i suoi compagni? Difficilmente l'argomento di questo testo persuaderà alcuno a fargli credere che il papa è soggetto al concilio. Ma dice il p. Natale che Gregorio XIII. approvò questa interpretazione. Ma di questa approvazione del papa non vi è altra prova, come riflette un dotto autore, se non che della dedicazione fatta a Gregorio del libro, ove Renato scrisse la mentovata interpretazione. Ma veniamo ora agli argomenti che raccoglie il p. Natale.

51. Per 1. rapporta il decreto di san Vittore, col quale scomunicò i vescovi asiatici, per non aver quelli voluto accettare il suo decreto di celebrar la pasqua, non già nel giorno della quartadecima luna secondo la legge antica, ma nella domenica seguente a tal giorno; e che ciò non ostante quei vescovi seguirono a celebrare secondo il costume antico, sin tanto che fu deciso il contrario dal concilio niceno. Dal che i contrarj argomentano (ex quibus patet, dice il p. Natale) che i vescovi asiatici stimarono di non esser tenuti alla definizione del papa, e perciò non vollero ubbidire a s. Vittore, né s. Vittore volle seguire ad obbligarli. Ma si risponde che la disubbidienza e l'insolenza di quei vescovi non possono provare che il papa non ha l'autorità neppure sopra le chiese particolari, il che non si pretende da altri che dagli eretici; ma provano solamente la carità e

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prudenza usata da s. Vittore, il quale pregato dagli altri vescovi e specialmente da s. Ireneo a sospendere il rigore, si contentò per giusti fini d'aspettare che quei vescovi si fossero ravveduti del loro errore colla decisione del concilio. Del resto lo stesso p. Natale confessa nella sua dissertazione IV. pag. 653. della prima edizione come dogma di fede: Quod romanus episcopus unus sit iure divino in ecclesia pontifex, cui omnes christiani parere tenentur, et qui potestatis primatum habet; e che secondo tal primato Ad universalis etiam ecclesiae disciplinam pertinere ut maiores ecclesiae causae ad sedem apostolicam referantur, et in fidei ac dubiae disciplinae causis consulatur illud christianae religionis oraculum, ut appellationes ex toto orbe christiano ad romanum pontificem fieri possint, secundum canones, ut ipsos canones temperare possit etc.

52. Per 2. rapporta la questione tra s. Stefano papa e s. Cipriano, se doveano o no ribattezzarsi quei ch'erano stati battezzati dagli eretici. In ciò egli adduce più testi di s. Agostino per dimostrare che, non ostante la risposta fatta dal papa a s. Cipriano Nihil novandum, nisi quod traditum est, pure il sentimento di s. Agostino era che per terminar la questione vi bisognava un concilio generale, come in effetto seguì: poiché il concilio niceno appresso si uniformò al giudizio di s. Stefano, e così cessarono tutte le dissensioni. Da ciò deducono che s. Agostino abbia creduto essere il concilio superiore al papa. Ma si risponde primieramente che s. Agostino tenea per certo essere il papa infallibile nelle sue definizioni, come lo spiegò in più luoghi. In un luogo disse: Numerate sacerdotes vel ab ipsa sede Petri; in ordine illo patrum quis cui successerit videte. Ipsa est petra, quam non vincunt superbae inferorum portae1. In altro luogo: In verbis apostolicae sedis tam antiqua atque fundata, certa et clara est catholica fides, ut nefas sit de illa dubitare christiano2. Or se il s. dottore tenea che il papa era infallibile, come poi potea credere che fosse sottoposto al concilio? Anzi da ciò che scrisse nel lib. 2. cap. 3. contra duas epist. Pelag. si vede che tenea l'opposto, dicendo: Per papae rescriptum causa pelagianorum finita est, totoque orbe post eius damnationem damnati sunt, ac litteris Innocentii tota de hac re dubitatio sublata est.

53. In quanto poi a quel che dice s. Agostino della controversia di s. Cipriano, dal contesto del libro del battesimo, in cui s. Agostino ne parla, si vede che il santo non parla propriamente dell'autorità che hanno le decisioni definitive del papa, ma più presto parla del fatto, cioè che s. Cipriano non si era sottomesso alla risposta del papa, ma che sarebbesi quietato col giudizio d'un concilio generale. Tanto più che s. Cipriano, come attesta s. Agostino3 e s. Girolamo4 e lo stesso s. Cipriano5, non giudicava che tal punto si appartenesse alla fede, ma alla sola disciplina: e perciò egli scrisse a' vescovi suoi aderenti sopra tal questione: Neminem iudicate, aut a iure communionis aliquem, si diversum senserit, amoventes6. Né all'incontro da s. Stefano fu in ciò fatta sentenza definitiva, come scrive lo stesso s. Agostino: Ipse autem (Stephanus) quaestionis difficultate permotus, et sanctis caritatis visceribus praeditus in unitate eis manendum (putavit) qui diversa sentirent7. Né s. Stefano incolpò s. Cipriano di eresia, ma sol minacciò di scomunicare i ribattezzati, e perciò non altro rispose se non che niente s'innovasse in tal punto contro la tradizione che vi era nelle altre chiese. Del resto difficilmente possiamo scusar s. Cipriano da ogni colpa nell'aver resistito al pontefice. S. Agostino stesso disse: Hanc culpam Cypriani falce martyrii fuisse purgatam8. Oltreché, come attestano il Baronio, il

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Tommasino ed altri coll'autorità di s. Girolamo nel luogo citato, s. Cipriano appresso soggettossi al giudizio di s. Stefano, mentr'egli stesso avea scritto: Haereses et schismata ex eo magis quod non uni sacerdoti, qui vice Christi iudicem agit, universa fraternitas obtemperat etc.1.

54. Per 3. rapporta che essendo stato accusato Ceciliano vescovo da' donatisti di aver tradite le sacre scritture, fu assoluto da s. Melchiade papa nel concilio romano; ma che, non cessando i nemici di reclamare contro Ceciliano, s. Agostino scrisse ch'eglino poteano domandare un concilio plenario, ed ivi sperimentar le loro ragioni: Ecce putemus illos episcopos qui Romae iudicarunt, non bonos iudices fuisse; restabat adhuc plenarium ecclesiae universale concilium, ubi causa posset agitari, ut, si male iudicasse convicti essent, eorum sententiae solverentur2. Ma qui la risposta è chiara che tal causa non era di fede, ma di mero fatto, il quale dipendea dalle prove, se Ceciliano avesse o no tradite le scritture; onde se mai il delitto si fosse provato nel concilio generale, ben potea rivocarsi la sentenza del romano.

55. Per 4. rapporta che, essendo stato scomunicato dal sinodo africano Apiario prete, questi appellò a Zosimo papa, ed ottenne che fosse mandato in Africa Faustino vescovo come legato a latere per riconoscer ivi la causa. Apiario giunto in Africa confessò da sé il suo delitto, e fu deposto. Dopo ciò i vescovi del sinodo scrissero a Celestino, e lo pregarono a non ricever più i chierici da loro scomunicati, né più ammettere le loro appellazioni, né mandar più legati in Africa, perché ciò non si trovava stabilito in alcun sinodo. Dunque, dice il p. Natale, quei vescovi, fra' quali era anche s. Agostino, ebbero per vero che il papa è soggetto ai canoni de' concilj. Ecco di qual fatta sono gli argomenti raccolti dal p. Natale per provare la soggezione del papa al concilio. Si risponde che la lettera dei vescovi (alla quale non sappiamo se acconsentì s. Agostino) non contenea se non una semplice preghiera, e questa preghiera era affatto impertinente, volendo che il papa si astenesse di fare quello che non era stabilito da' concilj, mentre lo stesso p. Natale concede nella dissertazione 4. : Ut ipsos canones (pontifex) temperare possit.

56. Si porta ancora da' contrarj una lettera di Siricio papa, ove confessa non poter egli giudicare contro il giudizio fatto dal sinodo capuano. Ma a ciò risponde lo stesso p. Natale, dicendo che tal argomento probaret nimis, mentre proverebbe che il papa è soggetto anche a' concilj particolari.

57. Per 5. rapporta che dopo essere stato Nestorio condannato da Celestino I. nel concilio di Roma, lo stesso pontefice commise a s. Cirillo l'esecuzione della sentenza, costituendolo suo legato a latere. Ma non avendo ubbidito Nestorio al giudizio di Celestino, fu dall'imperatore Teodosio convocato in Efeso un concilio generale, ove di nuovo Nestorio fu condannato. Dal che deducono avverarsi che il concilio generale è l'ultimo tribunale delle cause di fede. Ma si risponde primieramente che il concilio non fu convocato da Teodosio, ma Teodosio (come scrive il Baronio3) mandò al papa s. Petronio (che fu vescovo di Bologna) pregandolo ad ordinare la convocazione del concilio. Il papa vi consentì, e destinò tre legati; ma questi prima di giugnere in Efeso trovarono che s. Cirillo, come legato a latere prima già promesso da Celestino, e rappresentante le veci del papa, avea radunato il concilio, in cui leggendosi la lettera di Celestino, di nuovo era stato Nestorio condannato. Giungendo per tanto dopo ciò i legati, si lesse una nuova lettera di Celestino, nella quale dicea ch'egli spediva i legati Ut intersint his quae aguntur, et quae a nobis antea statuta sunt exequentes; dichiarando i padri del concilio con queste parole esecutori, non già

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revisori della condanna già fatta in Roma. Indi furono riletti nel concilio fatti coll'espressione di soggezione al papa e di ubbidienza a' di lui legati (come dagli stessi atti apparisce), i quali, sottoscrivendo la condanna, scrissero così: Nulli dubium est a s. Petrum etc., necnon per successores suos hucusque semper vivere, causasque decernere, semper victurum esse. Aggiunge Gennadio1: Caelestinum papam decreta synodi adversus Nestorium dictasse, volumenque descriptum ad orientis et occidentis ecclesias dedisse. Ed i padri nel pronunciar la sentenza contro Nestorio, come scrive Evagrio, dissero2: Tum ecclesiae canonibus, tum epistola s. patris nostri et collegae Caelestini episcopi ecclesiae romanae necessario compulsi, idque non sine lacrymis ad hanc severam sententiam contra eum pronuntiandam venimus. Onde poi nella lettera a s. Celestino, in cui gli davan conto dell'operato nel concilio, scrissero: Perlectis commentariis auctorum... quae a tua pietate de ipsis decreta sunt, iudicavimus nos ea solidaque permanere debere. Lo stesso monsignor Bossuet nel suo discorso sull'istoria universale confessa che Nestorio fu condannato da Celestino, e che i padri del concilio eseguirono la di lui sentenza. Da tutto ciò non sappiamo intendere come il p. Natale possa dedurne che il concilio sia l'ultimo tribunale, e non più veramente che il concilio sia sottoposto al papa, e che nell'esaminare le cose già definite del papa il suo esame non già sia di giurisdizione, ma esame di dichiarazione, eseguendo ciò che prima dal pontefice sta deciso.

58. Per 6. dicono che s. Leone papa, dopo aver condannata l'eresia di Eutichete, si contentò che si celebrasse il secondo concilio efesino, a cui scrisse di poi s. Leone: Volui episcopale concilium, ut pleniore iudicio omnis possit error aboleri. Dunque, dicono, notando quelle due parole pleniore iudicio, credea già s. Leone che l'autorità del concilio fosse maggiore della pontificia. Inoltre adducono che, essendo riuscito questo concilio un esecrando conciliabolo, mentre ivi fu assoluto Eutichete, e condannato, anzi ucciso con violenza s. Flaviano, che gli si era opposto, s. Leone pregò Teodosio a convocare un altro sinodo, il quale omnes offensiones aut repellat, aut mitiget, ne aliquid ultra esset in fide dubium, vel in caritate divisum. Quindi dice il p. Natale che se s. Leone non avesse creduto che il concilio generale era il supremo tribunale non avrebbe detto ne aliquid ultra esset in fide dubium; ma egli stesso avrebbe recisi tutti gli atti dell'efesino. Inoltre adducono che, essendosi poi da Marciano adunato il nuovo concilio in Calcedonia, in quello fu esaminata l'epistola di s. Leone ed indi approvata. Quindi dicono che se i legati del papa non avessero creduto esser il concilio il supremo tribunale, non avrebbero permesso che il giudizio del papa si fosse di nuovo posto ad esame. Inoltre s. Leone nella sua epistola 63. o. 93. a Teodoreto scrisse: Quae nostro prius ministerio Dominus definierat, universae fraternitatis irretractabili firmavit assensu. Dunque (dicono) s. Leone stesso giudicò che il suo giudizio non era irretrattabile, se non fosse stato confermato dal concilio.

59. Rispondiamo ad uno ad uno. S. Leone per la condanna di Eutichete scrisse già la sua celebre epistola dogmatica a s. Flaviano, e la mandò ancora a tutti i vescovi cattolici, affinché ognuno sapesse quel che si dovea tenere per fede. Quindi dissero i seicento padri del concilio calcedonese, che di poi fu celebrato: Nobis inexpugnabilem in omni errore propugnatorem Deus providit, et romanae ecclesiae papam ad victoriam praeparavit, colle quali parole dichiararono già che il papa è l'estirpator vittorioso di ogni errore. Si aggiunge che nel concilio volendo i padri far una professione di fede diversa da quella di s. Leone, reclamarono i legati, e dissero che non doveano farne altra che la prescritta dal pontefice,

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altrimenti si sarebbero partiti: Si non consentiunt (così sta registrato nella sessione V.) epistolae apostolici et bb. viri papae Leonis, iubete nobis rescriptam dari, ut revertamur. Episcopi clamaverunt: Altera definitio non sit: qui contradicunt, Romam ambulent... Iudices dixerunt: Ergo addite definitioni secundum iudicium ss. patris Leonis duas esse naturas in Christo etc. Da ciò primieramente si vede che le parole di s. Leone, ut pleniori non possit error aboleri, altro non significavano, se non che voleva il papa che l'errore si condannasse anche col consentimento universale de' padri, affinché la sua definizione fosse ricevuta da' fedeli con maggior pace e minor contrasto dagli eretici; sicché non intendea che il giudizio de' padri fosse più pieno di autorità, ma più pieno di voci e di motivi, acciocché si quietassero i rumori, restasse abbattuta l'audacia de' nemici. Di più alle parole di Leone: Ne quid ultra esset in fide dubium, si risponde similmente non aver inteso con ciò il papa di dire che il suo giudizio era dubbio, finché non l'avesse approvato il concilio; ma che coll'approvazione del concilio si sarebbero più facilmente quietati quei che sino a quel tempo aveano resistito al giudizio di esso pontefice. Del resto lo stesso s. Leone nella lettera scritta a' padri del concilio costituì la legge, a cui essi doveano uniformarsi, dicendo: Non liceat defendi quod non licet credi, cum secundum evangelicas auctoritates plenissime et lucidissime per litteras, quas ad Flavianum misimus, fuerit declaratum quae sit de sacramento Incarnationis Domini nostri Iesu Christi pia et sincera confessio. Dal che si vede che il pontefice tenea per certo non potersi più dubitare della verità del dogma da lui definito. Inoltre non è vero che il concilio, e non già s. Leone, dichiarò nulli gli atti del conciliabolo Efesino; mentre esso pontefice in un altro concilio di vescovi prima tenuto in Roma lo riprovò, ordinando che un tal congresso fosse abolito da' sacri libri, dicendo: Nam iniquum nimis est eos, qui innocentes sua persecutione vexarunt, sanctorum nominibus sine discretione misceri. E quindi fu che quel concilio il quale sarebbe stato riputato ecumenico, se fosse stato approvato dal papa, fu dichiarato invalido per essere stato dal papa riprovato. Così anche non è vero che i padri del calcedonese volessero esaminar l'epistola di s. Leone; ma lo stesso pontefice volle ch'essi di nuovo esaminassero l'errore di Eutichete, non già però affinché colla decisione del concilio la sua definizione avesse acquistata più autorità, ma acciocché con l'esame del concilio si fosse maggiormente dichiarata la verità. E perciò essendosi nel concilio proposto l'errore di Eutichete e la definizione di s. Leone (come si ha dall'Azione 2. ) disse Cecropio vescovo di Sebaste: Emerserunt quae ad Eutychem pertinebant; et super his forma data est a ss. archiepiscopo romanae urbis; et sequimur eum, epistolae omnes subscripsimus. E dopo lui sottoscrivendo gli altri vescovi, dissero: Ita omnes dicimus; sufficiunt quae exposita sunt, alteram expositionem non licet fieri. Ed essendosi letta l'epistola di s. Leone, esclamarono i padri: Haec patrum fides: haec apostolorum fides: ita credimus... Petrus per Leonem ita locutus est. Ed, essendosi nel concilio posta di poi a fronte l'autorità di Dioscoro a quella di s. Leone, fu proposto a' padri: Quem sequimini? Ss. Leonem aut Dioscorum? E tutti esclamarono ut Leo, sic credimus; e di nuovo fu stesa la confessione di fede, conforme così a' tre passati concilj ecumenici, come a quanto avea dichiarato s. Leone nella mentovata epistola a s. Flaviano. In somma dall'esaminar questi argomenti che rapporta il p. Natale per provare la superiorità del concilio, maggiormente si fa chiara la superiorità del pontefice. Passiamo avanti.

60. Per 7. rapporta il p. Natale che nel concilio costantinopolitano II. fu deciso l'opposto di quel che avea risposto Vigilio papa intorno a' tre capitoli

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di Teodoro, Iba e Teodoreto. Dal che ricavano che l'autorità del concilio avesse prevaluto a quella del papa, mentre il concilio condannò così gli scritti, come gli autori de' tre capitoli, contro il giudizio di Vigilio, il quale avea condannati gli scritti, ma non le persone. Si risponde primieramente che Vigilio in tal giudizio si uniformò al sentimento del concilio calcedonese, benché appresso si ritrattò; in quanto poi al costantinopolitano egli non tenne quel concilio per ecumenico, finché non l'approvò come legittimo: e ciò apparisce (secondo avvertì anche Pietro de Marca) dal suo costituto, che di poi formò, ove non fece alcuna menzione di questo concilio, e con tal silenzio ben dimostrò di non tenerlo per legittimo. Quindi scrisse nel suo costituto: Crediamo necessario delle soprascritte questioni de' tre capitoli diligentemente discutere tutte le cose, e definirle colla cauta ponderazione di ben considerata sentenza. Dal che anche si deduce che ne' primi giudizj che Vigilio diede sopra tal questione, cercò di accomodarsi alle circostanze de' tempi, affin di sedare le turbolenze dell'oriente siccome scrisse nella sua lettera enciclica: Quaedam pro tempore medicinaliter existimavimus ordinanda, affin di non maggiormente accendere lo scisma, che allora ardeva per tal affare; onde scrisse Pietro di Marca1 che l'incostanza di Vigilio da' dotti fu chiamata prudenza. Sicché il papa col suo primo sentimento procurò di dar temperamento alla controversia, ma non intese di far sentenza definitiva, come poi la fece nel formare il suo costituto, ove condannò così gli scritti, come le persone, scrivendo nella sua lettera ad Eutichio: Quel che da noi si dee definire già si è adempiuto, rivelandocelo il Signore, manifestatasi la verità. Così presso il p. Orsi2. E perciò nel suo costituto vietò definitivamente ad ognuno il contraddire a' suoi detti: Statuimus nulli licere contrarium his quae praesenti statuimus constituto, de tribus capitulis aut conscribere, vel proferre, vel docere. Onde non vale opporre contro Vigilio che si sia contraddetto; poiché i primi suoi giudizj, come si è notato, non furono positive definizioni, quale fu poi quella che fece nel suo costituto. Ecco come Pelagio papa rispose a' vescovi dell'Istria, che riprovavano in tal fatto l'incostanza di Vigilio: Se dunque nell'affare de' tre capitoli fu tenuto un diverso linguaggio, quando si cercava la verità, e quando la verità fu trovata; con qual giustizia si rinfaccia a questa sede come un delitto l'aver mutata sentenza? Non il mutar di opinione, ma l'incostanza dell'animo si dee ascrivere a colpa. E come si ha dalla lettera scritta ad Eutichio vescovo di Costantinopoli a Vigilio ed anche dagli atti del concilio3, i padri del medesimo non vollero procedere all'esame de' tre capitoli senza la presidenza del pontefice: Ad apostolicam sedem V. Beatitudinis manifestum facimus, quod... suscipimus et epistolas praesulum romanae sedis apostolicae; et ideo petimus, praesidente nobis V. Beatitudine, de tribus capitulis quaerere conferri. E Vigilio rispose: Annuimus, ut de tribus capitulis, facto regulari conventu, collatio habeatur, et finis detur placitus Deo. Ma perché poi il concilio volle da sé definir la questione, perciò la sentenza del concilio si ebbe per nulla nell'Africa, nell'Illirico, nell'Ibernia ed in tutto l'occidente, fintanto che col consenso del papa non fu ricevuta, ed allora questo concilio si ebbe per ecumenico.

61. Per 8. dice che Gregorio4, parlando de' primi cinque concilj ecumenici, scrive che tutti son tenuti, anche gli stessi pontefici, a' loro decreti, e ne apporta la ragione: Quia dum universali sunt consensu constituta, se et non illa destruit quisquis praesumit aut solvere quos ligant, aut religare quos solvunt. Ma da ciò come può ricavarne il p. Natale, che i concilj sieno superiori al papa? Chi può negare o dubitare, che i decreti dogmatici de' concilj approvati

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dal pontefice, debbono anche da' pontefici osservarsi? Poiché essendo quelle verità dichiarate irrefragabili coll'autorità pontificia, neppure il pontefice può appresso negarle. Ma nella nostra questione non si tratta de' concilj autorizzati dal papa, ma de' concilj da lui separati, e se il papa sia tenuto di stare a' loro canoni, ancorché il papa sia certo e non sia eretico. Certamente non disse ciò s. Gregorio; ma disse che nelle cause di fede la sede apostolica, cioè il pontefice è quegli che senza dubbietà le definisce: Si quam contentionem de fidei causa evenire contigerit, cuius dubietas iudicio sedis apostolicae indigeat, relatione ad nostram studeat producere notionem, quatenus a nobis valeat congrua sine dubio sententia terminari1, ben sapendo il santo che non già dal concilio si danno le leggi al papa, ma dal papa al concilio, come confessarono gli stessi padri del sinodo calcedonese: Imperari sibi a pontifice romano, legesque dari, et fidei formam praescribi patiuntur, et parent2.

62. Per 9. si rapporta che il sinodo VI. prima esaminò la lettera dogmatica di s. Agatone, e poi l'approvò; dal che dice il p. Natale che manifestamente si prova che il concilio ecumenico sia il supremo tribunale. A questo argomento già si è risposto di sopra che il concilio ecumenico non può esser mai ecumenico se non è avvalorato dall'autorità del papa. Ma, parlando specialmente poi di questo sesto concilio, che fu il costantinopolitano III., già riferimmo di sopra al num. 12. che s. Agatone nella sua epistola ordinò a' padri del concilio che si uniformassero a quanto egli avea definito: Non tamen tanquam de incertis contendere, sed ut certa atque (si noti) immutabilia compendiosa definitione proferre. E prima ordinò a' suoi legati ut nihil profecto praesumant augere, minuere, vel mutare; sed traditionem huius apostolicae sedis, ut a praedecessoribus pontificibus instituta est, sinceriter enarrare. Onde i padri del concilio3 dissero: Et nos notionem accipientes suggestionis directae ab Agathone, et alterius suggestionis quae facta est a subiacente ei concilio (si notino queste parole: a subiacente ei concilio), sic sapimus et credimus... Per Agathonem Petrus loquebatur. Ed appresso nelle lettere mandate al pontefice dissero: Itaque tibi ut primae sedis antistiti universalis ecclesiae quid operandum sit relinquimus stanti super firmam fidei petram. Ecco che lo stesso concilio non già si dichiara tribunal supremo, ma in tutto sottoposto al pontefice romano. In quanto poi alla condanna di Onorio papa, che si suppone fatta dallo stesso sinodo VI. per le lettere scritte a Sergio, risponderemo a lungo nel capo seguente al num. 24.

63. Per 10. rapportano il canone 21. del sinodo VIII., o sia costantinopolitano IV., dove si disse: Porro si synodus universalis fuerit congregata, et etiam facta fuerit de s. romana ecclesia controversia, oportet venerabiliter de proposita quaestione sciscitari, et solutionem accipere, et non audacter sententiam dicere contra summos Romae pontifices. Dunque, dicono, se i concilj possono giudicare sopra del papa, il papa è loro soggetto. Rispondiamo non dubitarsi che in qualche caso il concilio può esser giudice del papa, ma quando? In due soli casi: quando il papa è eretico dichiarato o quando è dubbio, siccome abbiamo veduto essersi proceduto nel concilio pisano e costanziese; ma fuori di questi due casi il concilio non ha alcuna autorità sopra de' pontefici, ma il concilio è tenuto ubbidire al papa, come abbiam provato di sopra con tanti attestati degli stessi concilj.

64. Solamente allorché vi sono controversie, o sieno lagnanze contro del papa, può il concilio colla dovuta riverenza interrogarnelo, ed attendere con sommissione la risposta, ma non già aver l'audacia di giudicare sulle procedure del pontefice; e questo è

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quel che dinotano le riferite parole del sinodo VIII., sulle quali fa tanto fondamento il p. Natale. Del resto allorché cominciò a trattarsi di questo concilio circa l'intrusione di Fozio nella chiesa del patriarca Ignazio, ecco quel che scrisse a' vescovi il pontefice s. Nicola: Et ut vos huius sedis (apostolicae) privilegium rite servantes... pari nobiscum super ven. Ignatii patriarchae sacerdotii recuperatione et Photii pervasoris expulsione eadem sentiatis, apostolica auctoritate vobis iniungimus etc. E nella lettera a Michele imperatore, la quale poi fu letta e ricevuta nel concilio1 scrisse: Patet profecto sedis apostolicae, cuius auctoritate maior non est, iudicium a nemine fore retractandum, neque cuiquam de eius licere iudicare iudicio; siquidem ad illam de qualibet mundi parte canones appellari voluerunt, ab illa autem nemo sit appellare permissus. Essendo poi defunto il papa s. Nicola, gli successe Adriano II., e questi mandò i suoi legati al concilio con un formolario da lui formato, con ordine che lo facessero sottoscrivere da' padri, e così si fece; ed i padri dopo la sottoscrizione soggiunsero queste parole: Quoniam sicut praediximus sequentes in omnibus apostolicam sedem, et observantes omnia eius constituta, separamus, ut in una communione, quam sedes apostolica praedicat, esse mereamur, in qua est integra et vera christianae religionis soliditas. Ecco come il concilio VIII. riconobbe la sua soggezione all'autorità suprema del pontefice romano.

65. Per 11. Leone III. interrogato dai vescovi della Francia se poteano cantar nella messa la parola Filioque aggiunta nel simbolo, dopo che ne' concilj generali tal parola non vi era, anzi stava proibito di aggiungervi altra parola, rispose: Non audeo dicere non bene fecisse, si fecissent: nam et ego me illis (scilicet conciliis) non dico praeferam, sed etiam illud absit ut coaequare praesumam. Da ciò ricavano aver dichiarato il papa essere la sua autorità inferiore a quella de' concilj. Ma chi non vede che tal risposta fu una espressione di mera umiltà, e non già una dichiarazione di superiorità del concilio? Oltreché Leone di quai concilj parlava? Parlava di quei concilj già approvati da' pontefici, dall'autorità de' quali erano stati avvalorati. Or come da ciò può dedursi che il papa sia sottoposto al concilio?

66. Per 12. rapporta il p. Natale due fatti, con cui pretende di far vedere esser antico sentimento dei vescovi della Francia che il papa non è superiore a' concilj. Il primo fatto è che nel secolo XI. Giovanni XVIII. commise la consecrazione di una chiesa a Pietro cardinale: ciò dispiacque agli altri vescovi, perché sembrava un attentato contro i canoni. Il secondo fatto si è che il vescovo matisconese si lagnò dell'arcivescovo di Vienna, per aver ordinato un monaco cluniacense senza la sua licenza; l'abate difese l'ordinazione col privilegio pontificio concessogli; ma ciò non ostante i vescovi del concilio presso Ansa dissero che il privilegio era contro i canoni, e perciò non dovesse aver luogo. Ora a questi due fatti io lascio al mio lettore di considerare se mai il sentimento di questi vescovi particolari potea derogare alla suprema del papa predicata così da' santi padri, come da' concilj. Basti qui almeno a rispondere quel che confessa lo stesso p. Natale che il papa può moderare i canoni, ut ipsos canones temperare possit2.

67. Per 13. rapporta il p. Natale che Innocenzo III. fu richiesto dal re di Francia Filippo Augusto a dispensare dallo scioglimento del matrimonio dal re contratto con Ingeburge, colla quale avea esposto adfuisse commixtionem sexuum, sed non seminum. Il papa rispose: Verum si super hoc absque generalis deliberatione concilii determinare aliquid tentaremus, praeter divinam offensam quam ex hoc possemus incurrere, forsan ordinis et officii nobis periculum immineret. Del che ricavano aver inteso Innocenzo che il concilio

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avrebbe potuto deporre il papa, se avesse dispensato a tale matrimonio contro la legge divina. Unde vero (dice il p. Natale) periculum illud, nisi a concilio, a quo se posse coerceri agnoscit, si de lege divina dispensaret? Ma noi rispondiamo non esser dubbio che il papa possa essere deposto dal concilio, quando fosse stato dichiarato eretico, come quegli che definisse una dottrina opposta alla divina legge; e questo era il pericolo accennato da Innocenzo (come ben riflette il p. Benetti1 di essere privato dell'ordine e dell'officio: che perciò egli prima nella stessa lettera avea scritto che non aveva ardire di definir questo punto contro il vangelo che dice: Quod Deus coniunxit, homo non separet. Ma perché il pericolo era molto rimoto, ed all'incontro il papa volea con qualche apparente scusa liberarsi dalle istanze del re per la dispensa che cercava, perciò scrisse quelle parole oscure e dubbiose: forsan ordinis et officii nobis periculum immineret.

68. Del resto certamente Innocenzo non intese con tali parole di dire che il papa, fuori del caso di eresia, anche fosse sottoposto al concilio contro l'autorità di tanti pontefici suoi predecessori, che avevano dichiarato il contrario. S. Bonifacio scrisse: A nemine (pontifex) est iudicandus, nisi deprehendatur a fide devius2. S. Anacleto: Electionem vero summorum sacerdotum sibi Dominus reservavit, licet electionem bonis sacerdotibus concessisset3. S. Antero: Facta subditorum iudicantur a nobis, nostra vero iudicat Deus4. S. Gelasio, parlando della sede apostolica, dice essere stabilito dai canoni, Ullam de tota ecclesia iudicare, ipsam ad nullius commeare iudicium5. Inoltre lo stesso Innocenzo dichiarò6 che la podestà del papa non può essere limitata da niun'altra podestà, dicendo: Quamvis autem canon (scilicet tertius) lateranensis concilii ab Alexandro praedecessore nostro editus non legitime genitos adeo persequatur, quod electionem talium innuit nullam esse; nobis tamen per eum adempta non fuit dispensandi facultas... quum non habeat imperium par in parem. E si noti qui che da Innocenzo il canone del concilio chiamasi canone stabilito dal papa Alessandro; e perché? Perché sapeva Innocenzo che tutti i canoni de' concilj ricevono il lor vigore dall'autorità del papa.

69. Questi sono gli argomenti raccolti con molta diligenza e fatica dal p. Natale, per li quali cercano gli avversarj di provare la soggezione del papa a' concilj. Ma non sappiamo intendere come facciano tanta impressione presso loro le resistenze di alcuni vescovi a' decreti del papa; o le ingiuste pretensioni di altri contro l'autorità pontificia; o l'aver alcun concilio fatto qualche decreto opposto alla sentenza, ma non definitiva, del papa; o l'aver i concilj esaminati di nuovo alcuni punti di fede già dal papa definiti, cosa voluta dagli stessi pontefici per maggiormente quietare i rumori e l'audacia degli eretici: o pure finalmente qualche parola equivoca buttata e scritta per accidente in altro proposito da qualche papa; e poi così poca impressione fanno a' nostri contrarj tante dichiarazioni espresse de' pontefici, dei santi padri e degli stessi concilj ecumenici, che fan vedere indubitatamente esser l'autorità del papa superiore a quella de' concilj. Si legga su di ciò quel che si è detto in questo capo al num. 7. , e quel che si dirà nel capo seguente dal num. 5. sino al 13. Ma qui mi si permetta di accennare brevemente parte di quel che dicono i concilj generali. Il niceno I. dichiarava aver il papa potestatem super cunctam ecclesiam. Il lugdunese II. dichiara che il papa ha piena autorità super universam ecclesiam cum potestatis plenitudine, e soggiunge che le quistioni di fede debeant suo iudicio definiri, observata praerogativa in generalibus conciliis. Il calcedonese ubbidisce a s. Leone

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con uniformarsi a ciò che stava da lui già definito, dicendo i padri: Altera definitio non sit, che quella già fatta dal pontefice. Il sardicense dichiara a synodo ad romanam sedem posse appellari. Il lateranese III. dichiara da' decreti della chiesa romana non posse recursum ad superiorem haberi. Il romano sotto Simmaco papa dichiara papam nullius, extra casum haeresis, iudicio subiectum. Il costantinopolitano IV. dichiara nos sententiam a papa Nicolao pronunciatam nequaquam possumus immutare. Il viennese confessa dubia fidei declarare, ad sedem apostolicam pertinere. Il fiorentino dichiara plenam potestatem (pontifici) traditam esse, quaedmadmodum etiam in gestis aecumenicorum conciliorum et canonibus continetur.

70. Inoltre a' nostri avversarj fanno impressione alcuni detti oscuri de' pontefici e de' padri, e poi non fa impressione quel che dice s. Anacleto: Huius s. sedis auctoritate omnes ecclesiae reguntur1: quel che dice s. Gelasio: Sedem b. Petri... de omni ecclesia ius habeat iudicandi2: quel che dice Bonifacio VIII.: Subesse romano pontifici omnem humanam creaturam3: la scomunica di Pio II. e Sisto IV. contro coloro che presumono di appellare dai pontefici a' concilj: quel che dice s. Cirillo: Sicut Christo a Patre omnis potestas data est, sic Petro, eiusque successoribus supremam ecclesiae curam, nullique alteri commissam4: quel che dice s. Isidoro: Epistolas rom. pontificum, eorumque decreta pro culmine sedis apostolicae nec imparis esse cum conciliis auctoritatis, nec ullam synodum legi ratam fuisse, quae non fuerit auctoritate apostolicae sedis congregata, vel fulta5: quel che dice s. Pier Grisologo: Petrus qui in propria sede et vivit et praesidet, praestat quaerentibus fidei veritatem6. S. Tommaso l'angelico il quale dice che nella chiesa l'unità della fede servari non posset, nisi quaestio fidei determinetur per eum qui toti ecclesiae praeest, cioè il pontefice romano7. Ecco quel che anche ne dice Andrea Duvallio cattedratico i Sorbona nella sua disput. De suprema rom. pont. potest., part. 2. qu. 4. in fin. Ivi fortemente difende l'infallibilità del papa, e, oltre s. Tommaso, cita per questa sentenza più dottori parigini, s. Bonaventura, Herreo, Armonio, Errico di Gandavo e Giovanni di Cellaia. E nella part. 4. qu. 7. dello stesso trattato scrive di questa sentenza: Totus orbis, exceptis pauculis doctoribus, eam amplectitur, et rationalibus validissimis tum ex scriptura, conciliis et patribus, tum ex principiis theologiae petitis confirmatur. E nell'anteloquio §. Quo pacto, parlando del concilio di Basilea, dice: Concilium basileense, in hoc puncto pontificiae auctoritatis inimicum, ab universali ecclesia explosum semper, reiectumque fuisse. Vedasi quel che sta notato in questo capo al n. 2. e 3. E lascio le altre autorità de' concilj e de' santi padri, che parlano dell'infallibilità delle definizioni pontificie; queste si leggeranno nel capo seguente.

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2 Matth. 18. 20. 

1 15. 28. 

2 18. 15. 

3 8. 14. 

1 In ps. cont. par.

2 Epist. 157. 

3 L. 2. contra Donat. c. ult.

4 L. advers. Lucil.

5 Ep. 29 e 72. 

6 Apud s. Aug. l. 2. c. 13. 

7 L. 5. contra Donat. c. 25. 

8 L. 1. contra Donat. c. 18. 

1 S. Cypr. l. 1. ep. 3. sub initio.

2 Ep. ad Glorium 62. 

3 An. 430 n. 61. 

1 De scriptor. eccles. c. 54. 

2 L. 1. histor. c. 4. 

1 De concord. l. 3. c. 13. 

2 Ist. eccl. t. 18. 

3 Collaz. 1. 

4 L. 1. ep. 24. 

1 L. 7. ep. 21. v. 32. 

2 Ex Act. conc. 1. 3. et 16. 

3 Act. 8. 

1 Act. 1. 

2 T. 20. schol. p. 57. 

1 T. 1. p. 284. 

2 Can. 6. Si papa dist. 4. 

3 Can. electionem 2. dist. 79. 

4 Can. Facta, caus. 9. q. 3. 

5 Loc. cit. can. 16. 

6 C. innotuit de elect.

1 In c. sacrosancta, 2. dist. 22. 

2 In c. cuncta 18. caus. 9. q. 3. 

3 In extrav. unam sanctam c. 2. de maiorit. etc.

4 L. Thesaur. t. 2. 

5 Praefat. in op. concil.

6 Ep. ad Euthyc.

7 2. 2. q. 1. a. 9. ad 2. 

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